“Orion e il buio” di Sean Charmatz

(USA/Francia, 2024)

Tratto dal libro illustrato “Orion and the Dark” firmato da Emma Yarlett e pubblicato nel 2014, questo sfizioso film d’animazione ci parla dell’atavica paura del buoi che tutti gli essere umani, prima o poi, hanno almeno una volta provato nella loro esistenza.

E’ fondamentale sottolineare come la sceneggiatura è stata firmata da Charlie Kaufman, visionario e geniale scrittore di Hollywood, che ha al suo attivo script di film come “Se mi lasci ti cancello” di Michel Gondry o “Essere John Malkovich” di Spike Jonze o il romanzo “Formichità“.

Perché il viaggio nelle sue paure che compie il piccolo Orion – ed assieme a lui noi spettatori – è fantastico ma anche spiazzante e affatto lineare, proprio nella maniera che ama Kaufman. Perché una notte, stanco di essere biasimato e insultato il Buio, proprio lui, si ferma nella stanza di Orion che, terrorizzato, si appresta a passare l’ennesima notte insonne in preda alle sue innumerevoli paure, su cui svetta quella per l’oscurità.

E così il Buio gli propone di seguirlo per 24 ore e assistere a tutte le cose belle che compie nel suo infinito giro intorno al mondo, lasciandosi sempre la luce alle spalle. Ma Orion, che accetta quasi a forza, non è un bambino qualsiasi, e così i suoi dubbi e le sue angosce rischieranno di influenzare anche il Buio e i suoi antichi collaboratori…

Sfiziosa e divertente commedia d’animazione che ci parla del bene e del male, e di come sia importante conoscere ed accettare i propri limiti, e di come nella vita siano importanti le cose belle e quelle meno belle, che hanno il fondamentale compito di ricordarci quanto siano importanti le prime.

“Gli ordini sono ordini” di Franco Giraldi

(Italia/Francia, 1972)

Tratto dall’omonimo racconto di Alberto Moravia, questo film ci racconta la storia di una donna italiana che, come tante, è ingabbiata nel suo matrimonio patriarcale.

Giorgia (Monica Vitti) è “felicemente” sposata con Amedeo (Orazio Orlando), direttore di banca. Hanno una bella casa e una routine ben stabilita dove lui esce di casa per andare in banca, e lei si occupa della casa, per poi accudirlo quando torna la sera.

Tutta l’esistenza della donna ruota intorno ai bisogni, anche quelli più banali, del marito ma lei, apparentemente, non sembra soffrirne. Un giorno, però, nella testa di Giorgia risuona una voce maschile decisa e al tempo stesso suadente, che le ordina di compiere degli atti impensabili per lei, come prendere l’auto e fermarsi sulla spiaggia per fare l’amore con un ragazzo che sta ridipingendo le cabine di uno stabilimento balneare.

Sconvolta, Giorgia torna a casa e racconta tutto a Amedeo, che però non le crede. La voce torna insistente nella sua testa e la costringe a lasciare la tanto “amata” casa. La donna torna così della madre, una delle sensali più famose della zona, che le ricorda però l’importanza del matrimonio: senza il quale una donna non ha di fatto alcuna rilevanza sociale.

Rassegnata, la donna si allontana e, mentre vaga incerta, incontra Nancy (Claudine Auger) una studiosa di tradizioni vocali che gira la regione registrando canzoni, poesie e filastrocche tradizionali. Le due decidono di convivere e Giorgia diviene la sua assistente. Casualmente le due assistono ad una performance pubblica dell’artista Mario Pasini (Gigi Proietti) di cui subito Giorgia si innamora.

La donna decide così di convivere con l’artista. Se il primo periodo sembra idilliaco, lentamente però lei si ritrova in un meccanismo sentimentale e materiale del tutto simile a quello che aveva con Amedeo, e così quella vocina torna a farsi sentire…

Bisogna riconoscere che, nonostante il grande cast artistico e gli autori della sceneggiatura che sono nientemeno che Tonino Guerra e Ruggero Maccari, questa pellicola ha dei limiti strutturali che la rendono meno graffiante e pungente di quello che avrebbe potuto essere.

Ma è giusto ricordarla perché, oltre cinquant’anni fa, quando il nostro Paese aveva appena introdotto la legge sul Divorzio (1970) la nostra società e, soprattutto la maggior parte delle donne italiane, non erano preparate. Perché dopo secoli di educazione patriarcale, poche sapevano esattamente affermare le proprie esigenze e i propri diritti, pubblici e privati.

Così, rivedendo questo film, apprezziamo sempre di più quel “C’è ancora domani” di Paola Cortellesi che ci racconta una storia che sembra lontana nel tempo, ma che in realtà non lo è. Nonostante una regia e una trama un pò troppo legate al momento storico in cui venne realizzato, “Gli ordini sono ordini” rimane un originale e prezioso documento storico dell’evoluzione e dei cambiamenti del nostro Paese.

Nel cast anche Corrado Pani, nella parte di un malvivente che accetta di dare un passaggio a Giorgia.

“Benny & Joon” di Jeremiah S. Chechik

(USA, 1993)

Questa pellicola, apparsa sul grande schermo agli inizi degli anni Novanta, è divenuta nel corso del tempo una delle più rappresentative del giovane cinema americano di quel decennio.

E questo non solo perché alcuni dei suoi protagonisti, a partire da Johnny Depp, sono diventati vere e proprie star di Hollywood – come anche Julianne Moore – ma perché parla con sincerità e lucidità della generazione che quel decennio lo stava affrontando da poco più che adulta.

Inoltre, mi è già capitato di sottolineare come nel mondo anglosassone, e soprattutto nella cultura degli Stati Uniti, parlare di disabilità sia molto più semplice e onesto, rispetto che nella nostra, dove è difficile per qualcuno evitare compassione o pietà, che spesso nascondono poi ignoranza e pregiudizi.

Così, questa pellicola, ci parla senza ipocrisie dell’autismo e delle sue problematiche nella vita quotidiana di una ragazza di vent’anni.

In una piccola cittadina nella provincia degli Stati Uniti vivono Benny (Aidan Quinn) e Joon (Mary Stuart Masterson) Pearl. Abitano da soli in una grande casa sul fiume, perché poco più di dieci anni prima i loro genitori sono morti in un incidente automobilistico.

Benny è il proprietario di un’officina e la sua vita consiste, soprattutto, nel lavorare e badare a sua sorella minore Joon, che è afflitta dai disturbi dello spettro autistico. Col passare del tempo Benny ha sacrificato tutta la sua vita personale per la sorella, ma lo sente come un dovere irrinunciabile che i suoi genitori idealmente gli hanno lasciato.

Uno dei pochi svaghi del ragazzo è la partita settimanale a poker con gli amici, fra cui spicca Eric (Oliver Platt) il suo aiutante in officina. Le partite però non si giocano a soldi, ma a beni che ogni giocatore è pronto a scommettere. Proprio durante una di queste Joon, approfittando dell’assenza temporanea del fratello, decide di giocare una mano alla fine della quale vince la posta in gioco: Sam (Johnny Depp) il cugino “strambo” di Mike (Joe Grifasi), uno degli amici del fratello.

Benny è così costretto a portarsi a casa il ragazzo che, col passare del tempo, allaccerà con Joon un rapporto sempre più profondo. Intanto, nel locale dove va a fare colazione, Benny incontra Ruthie (Julianne Moore) un ex attrice di film dell’orrore che ha abbandonato i suoi sogni di gloria per fare la cameriera e la portinaia…

Commedia originale che ci regala dei veri momenti di poesia, soprattutto grazie all’interpretazione di Depp che cita e richiama le gag più famose di grandi artisti come Charlie Chaplin e Buster Keaton. Scritto da Lesley McNeil e Barry Berman, “Benny & Joon” ci ricorda quanto le piccole cose della vita siano fondamentali come le grandi, e che l’amore, la tolleranza e la fiducia sono le cose che ci permettono di consumare un’esistenza degna di questo nome.

“Povere creature!” di Yorgos Lanthimos

(USA/UK/Irlanda, 2023)

Nel 1992 lo scozzese Alasdair Gray (1934-2019) pubblica il romanzo surreale e gotico “Poor Things”, che nel nostro Paese viene pubblicato prima col titolo “Poveracci!” e successivamente con quello “Vita e misteri della prima donna medico d’Inghilterra”.

Il regista greco Yorgo Lanthimos (già autore di pellicole caustiche e assai originali come “The Lobster” del 2015 e “La favorita” del 2018) ne dirige l’adattamento cinematografico con la sceneggiatura scritta da Tony McNamara, autore di fiducia dello stesso regista nonché coautore dello script di “Crudelia“.

Nei primi anni del Novecento, il dottor Godwin “God” Baxter (un davvero bravo Willem Dafoe) è uno dei più rinomati scienziati e chirurghi di Londra. Oltre ad insegnare all’Università, Baxter ha un laboratorio e una funzionale ed efficiente camera operatoria nella sua residenza privata.

Sul suo corpo e sul suo viso, Baxter, porta le terribili cicatrici degli esperimenti che suo padre, anche lui medico chirurgo e scienziato rinomato, gli fece sin dalla tenera età per portare a termine i propri esperimenti nel nome della ricerca.

Godwin Baxter ama incondizionatamente la scienza e così, per sviluppare i suoi studi, accetta in casa i corpi di sconosciuti appena morti che, in cambio di qualche sterlina, ogni tanto qualcuno senza scrupoli gli porta.

E proprio su quello di una giovane donna in stato interessante, che si è buttata nel Tamigi poche ore prima, compie un esperimento senza precedenti. Nel corpo della suicida inserisce il cervello del suo feto. L’intervento riesce e così per casa Baxter si aggira la giovane donna, con la mente e la coscienza di un neonato, che lui decide di chiamare Bella (una bravissima Emma Stone).

Come aiutante personale Baxter sceglie il suo studente Max McCandles (Ramy Youssef) dandogli il compito di seguire e annotare attentamente ogni progresso della ragazza. Quando Bella, però, scopre il sesso attraverso la masturbazione, le cose per McCandles si complicano. Il giovane studente, infatti, non riesce più a mantenere quel distacco necessario all’analisi scientifica.

Godwin Baxter ha un’idea: far sposare i due e farli vivere nella sua grande magione, impedendo così alla ragazza definitivamente di allontanarsi. Per stilare il contratto matrimoniale fra lui e il suo studente, Baxter chiama il legale Duncan Wedderburn (un ottimo Mark Ruffalo). Il nuovo venuto, impenitente libertino, compresa la particolare situazione di Bella, la esorta a fuggire con lui a Lisbona.

Bella accetta entusiasta e alla fine anche lo stesso Godwin non può che darle il suo benestare. I due amanti così arrivano in Portogallo dove esplorano ogni angolo dei loro corpi. Ma Bella, oltre al sesso, ama la conoscenza e così, mentre Duncan riposa esausto, lei vaga per Lisbona dove la sua mente giovane e fresca si espande.

La cosa, però, inizia a creare delle profonde gelosie in Duncan, scapolo impenitente e donnaiolo con sulla coscienza non poche giovani donna “traviate”. E col passare del tempo e delle esperienze la libertà di Bella diventa insostenibile per Duncan, che alla fine la costringe a seguirlo su una lunga crociera nel Mediterraneo, dove lei “finalmente”, non potrà più allontanarsi.

Sulla nave la ragazza conosce Martha von Kurtzroc (Hanna Schygulla) e Harry Astley (Jerrod Carmichael) che contribuiranno ad aprirle ancora di più gli orizzonti mentali ed emotivi. Anche per questo, la ragazza donerà tutti i soldi di Duncan ai poveri, cosa che li costringerà ad essere sbarcati come clandestini a Marsiglia.

Raggiunta faticosamente Parigi, Bella inizierà a lavorare in un bordello per mantenersi e per comprendere ancora di più l’umanità, mentre Duncan, ferito nell’orgoglio, passerà definitivamente da attraente e fatale playboy a patetico e meschino innamorato rifiutato. Ma un giorno arriva a Bella la lettera di Goodwin in fin di vita…

Cattivissima e originale pellicola gotica che ci parla in maniera diretta e senza sconti, nella tradizione del suo regista, della situazione della donna nella società contemporanea. Anche se la storia è ambientata oltre un secolo fa, Bella deve continuamente subire, come accade fin troppo spesso ancora oggi, le scelte degli uomini e delle donne che aderiscono al più feroce patriarcato, lei che vuole più di ogni altra cosa la conoscenza.

E alla fine appariranno addirittura meno meschini quelli che la pagheranno per avere il suo corpo rispetto a quelli che dicono di amarla, ma che in realtà vogliono solo controllarla e possederla, perché la cosa che li terrorizza di più, senza dubbio, è una donna libera moralmente.

Personalmente reputo molto più efficace e segnate, soprattutto in relazione alla discriminazione di genere, questa pellicola surreale e claustrofobica – grazie anche all’ottima regia – rispetto alla tanto osannata “Barbie” che trovo, invece, molto più superficiale e furbetta.

Il film vince il Leone d’Oro alla Festa del Cinema di Venezia 2023, incassa 11 candidature agli Oscar e 7 ai Golden Globe, premio che Emma Stone conquista assieme a numerosi altri in tutto il mondo.

Da vedere.

“Everything Everywhere all at Once” di Daniel Kwan e Daniel Scheinert

(USA, 2022)

Il rapporto fra genitori e figli, raramente, è sempre sereno. Se i figli, per loro natura, a partire dall’adolescenza stentano a capire i propri genitori, anche questi hanno serie difficoltà nel comprendere i loro bambini che stanno diventando adulti.

Su questo ancestrale conflitto generazionale si è detto e raccontato tanto nel corso del tempo, e così diventa sempre più difficile farlo senza rischierare di essere noiosi o ripetitivi. Ma Daniel Kwan e Daniel Scheinert ci sono riusciti, scrivendo prima e dirigendo poi una pellicola straordinaria, onirica e surreale.

Evelyn Quan Wang (Michelle Yeoh) è emigrata dalla Repubblica Popolare Cinese negli Stati Uniti per cercare una vita migliore. A convincerla è stato, anni prima, il suo giovane fidanzato e ora marito Waymond (Ke Huy Quan, che da piccolo ha partecipato alle pellicole cult “Indiana Jones e il tempio maledetto” e “I Goonies“) col quale ha avviato una lavanderia a gettoni.

La loro figlia adolescente Joy (Stephanie Hsu) da tempo ormai sta cercando di confessarle la propria omosessualità e, sopratutto, che la sua “migliore amica” Becky è in realtà la sua compagna. Ma Evelyn certe cose proprio non le vuole vedere, visto poi che suo padre Gong Gong (James Hong, storico comprimario della TV americana e di Hollywood, che ha partecipato, tra le altre cose, al mitico “Grosso guaio a Chinatown“) che era contrario alla sua fuga d’amore con Waymond, sta arrivando per una tanto attesa visita di cortesia da Hong Kong.

Ma non basta: l’Internal Revenue Service – paragonabile in tutto e per tutto alla nostra Agenzia delle Entrate – attraverso gli occhi glaciali e implacabili della sua integerrima ispettrice Deirdre Beaubeirdre (una bravissima e cattivissima Jamie Lee Curtis) sta eseguendo un controllo fiscale nel quale sono emerse alcune gravi irregolarità. Irregolarità che però Evelyn proprio non condivide visto che non riesce a comprenderle.

Le cose che le contesta Beaubeirdre non sembrano aver senso, fatto che la indispone profondamente, visto che lei deve aver sempre tutto ben chiaro e sotto controllo. Forse per questo Waymond ha preparato le carte per divorziare, carte che però stenta a mostrale. Ma, proprio quando l’ispettrice sembra concedere l’ennesima proroga, il mondo di Evelyn si spacca in infiniti multiversi, tutti messi in pericolo dal terribile Jobu Tupaki…

Scintillante e frenetica pellicola visionaria che ci ricorda quanto siano importanti gli affetti cari e sinceri, e come i genitori – anche con sforzi al limite dell’umano – dovrebbero diventare quegli archi dai quali scoccare le frecce che sono i loro figli, come diceva nel suo splendido “Il profeta” Khalil Gibram. Farlo, però, può diventare l’avventura più devastante e massacrante di tutte, ma al tempo stesso anche la più incredibile e indimenticabile della propria esistenza.

Fra i numerosi premi che questo film indipendente ha vinto il tutto il mondo – quasi 400… – ci sono anche 7 Oscar – su 11 candidature – fra cui miglior film, miglior sceneggiatura, miglior attrice protagonista a Michelle Yeoh, miglior attrice non protagonista a Jamie Lee Curtis, e miglior attore non protagonista a Ke Huy Quan.

Da vedere, sia da figli che da genitori.

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“Il pupazzo di neve” di Dianne Jackson e Jimmy T. Murakami

(UK, 1982)

Nel novembre del 1978 l’artista Raymond Briggs (1934-2022) pubblica lo splendido tomo illustrato “The Snowman” (che da noi viene tradotto “Il pupazzo di neve”). Il volume è privo di dialoghi, ma racconta superbamente l’avventura natalizia di un ragazzino e del suo pupazzo fatto con la neve del proprio giardino.

All’inizio il libro viene etichettato come “per bambini”, ma il successo clamoroso obbliga il pubblico – e soprattutto i famigerati “addetti ai lavori” – a riconoscerlo come un vero e proprio racconto di Natale per tutte le generazioni, anche quelle future, visto che Briggs realizza di fatto uno dei primi veri e propri graphic novel dell’era contemporanea.

Proprio grazie al grande successo del libro, che supera i confini della Gran Bretagna per approdare in tutto il mondo, l’emittente televisiva Chanel 4 decide di realizzare un cortometraggio con la sceneggiatura redatta dallo stesso Briggs.

Lo script e i disegni dell’artista inglese diventano 26 minuti di vera e propria poesia che tocca le corde più profonde e personali di tutti gli spettatori, non solo quelli più piccoli. La sincera amicizia fa il piccolo James e il suo pupazzo di neve, che la notte di Natale lo porta a conoscere Father Christmas, è di quelle difficili da dimenticare.

Per la magia che suscita ancora oggi questo corto rimane nella storia delle arti visive. Briggs, Dianne Jackson e Jimmy T. Murakami, infatti, realizzano un’opera – che non ha dialoghi se non la breve introduzione iniziale e il brano “Walking in the Air” scritto da Howard Blake e interpretato da Peter Auty – che suscita ancora oggi emozioni e meraviglia del tutto paragonabili, ad esempio, alle opere del maestro Hayao Miyazaki.

L’accoglienza del pubblico è così calda che sin dalla sua prima messa in onda “Il pupazzo di neve” è diventato uno degli appuntamenti fissi più attesi delle festività natalizie in Gran Bretagna. Nell’edizione originale a narrare la breve introduzione è lo stesso Briggs, mentre in quella successiva la voce è del grande David Bowie.

Nel 2012, in occasione del 30esimo anniversario della prima messa in onda, Chanel 4 produce e trasmette il cortometraggio “The Snowman and the Snowdog” diretto da Hilary Adus, godibilissimo sequel all’altezza dell’originale.

Per gli amanti delle opere di Briggs, anche ne “Il pupazzo di neve” si possono cogliere alcuni deliziosi cenni autobiografici, così come nel volume “Quando soffia il vento” e nello splendido lungometraggio animato “Ethel & Ernest – Una storia vera”, entrambi ispirati e dedicati ai suoi genitori.

Da vedere.

Il pupazzo di neve

“Il ragazzo e l’airone” di Hayao Miyazaki

(Giappone, 2023)

Tornano al cinema, dopo oltre in decennio, il maestro Hayao Miyazaki e la sua arte con un nuovo ed inedito lungometraggio animato.

Le genesi di questo film è stata molto lunga e travagliata – ci si è messa anche la pandemia, per esempio – ma il genio giapponese alla fine è riuscito a regalarci un’altra storia fantastica ed indimenticabile, piena di sublimi citazioni e auto citazioni che mandano in estasi gli amanti dello Studio Ghibli, come me.

Il maestro Miyazaki, a cui la produzione – a cui ha partecipato anche lo Studio Ponoc – non ha messo alcun vincolo di tempo o di trama – rendendo questa pellicola di fatto una delle più costose del cinema giapponese – scrive e dirige una storia che ha accenni autobiografici ambientata in un periodo ricorrente per il regista: la Seconda Guerra Mondiale, che per il Giappone, più che per altri paesi, ha segnato un momento tragico devastante e sanguinario.

Tokyo 1943, il piccolo Mahito – che nei tratti e nell’abbigliamento ricorda molto Seita, il protagonista dello struggente “La tomba delle lucciole” diretto nel 1988 da Yasao Takahata, stretto e storico collaboratore di Miyazaki – viene svegliato nella notte dalle sirene che urlano a causa del grande incendio che sta divorando l’ospedale dove è ricoverata sua madre.

Nonostante i soccorsi e la corsa disperata del padre Shoichi e dello stesso Mahito, la donna muore arsa dalle fiamme, così come molti altri pazienti. L’anno successivo, insieme a suo padre noto ingegnere aeronautico, Mahito si trasferisce nell’antica tenuta di campagna della famiglia di sua madre, non lontana dalla fabbrica che Shoichi ha iniziato a dirigere.

Nella tenuta ad attenderli c’è Natsuko, la sorella di sua madre che ora è la nuova consorte di Shoichi e da lui aspetta un bambino. Mahito, che non ha minimamente superato la morte della madre e il senso di colpa nel non essere riuscito a salvarla, stenta ad ambientarsi fino a quando non scopre un’antica torre costruita dal pro zio della madre.

Le persone di servizio presso la residenza gli raccontato che quello strano edificio è stato costruito intorno ad un misterioso meteorite caduto dal cielo. Molti anni prima una ragazza era scomparsa nei suoi pressi ed era tornata solo l’anno successivo, in perfetta salute e apparentemente non invecchiata di un giorno. Per questo gli accessi alla torre sono stati tutti murati. Ma uno strano e aggressivo airone cenerino inizia a inseguire Mahito, attirandolo proprio in quella torre misteriosa…

Ancora una volta Miyazaki ci regala 124 minuti di vera struggente e memorabile poesia in movimento, con una storia di formazione dolorosa ma allo tempo stesso splendente. I riferimenti alla sua cinematografia come alla letteratura sono numerosi e bellissimi; possiamo goderci, infatti, quelli a Dante, così come quelli dichiarati al romanzo “E voi come vivrete?”, scritto da Genzaburō Yoshino nel 1937, e ispirazione primaria per la stesura dello script del film.

Fantastici, come sempre, anche quelli visivi a partire dal quadro “L’isola dei morti” che l’artista svizzero Arnold Böcklin realizzò a partire dal 1880. E proprio nel quadro di Böcklin, Miyazaki ambienta un nodo narrativo cruciale, che connota alla pellicola un’atmosfera cupa, sia per l’ombra sempre più opprimente della Seconda Guerra Mondiale – che direttamente però non appare mai – sia per il lutto che rappresenta l’abbandono definitivo dell’infanzia, lutto che avviene per l’inesorabile passare del tempo o per la perdita di un affetto caro, come nel caso di Mahito.

Chi ama il cinema, l’arte e la fantasia non può non vedere questa nuova pellicola del genio giapponese, che rende il nostro mondo – che sta vivendo un momento storico particolarmente tragico e drammatico, tanto e troppo simile al periodo narrato – meno duro e più sopportabile.

“Cadaveri eccellenti” di Francesco Rosi

(Italia/Francia, 1975)

Fra i compiti della vera arte c’è anche quello di anticipare gli eventi e le svolte – anche terribili – della storia e della società. Così Francesco Rosi, con questo suo indimenticabile “Cadaveri eccellenti”, preannuncia di pochissimo uno degli eventi più traumatici e funesti della storia della Repubblica Italiana: il rapimento e l’uccisione del presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro.

Siamo a metà degli anni Settanta, uno dei decenni più complicati della nostra storia a partire dal secondo dopoguerra. La parte più reazionaria della società non vuole il cambiamento che quella più giovane chiede, anche scendendo in piazza e manifestando. Ci sono, per questo, poteri che lavorano nell’ombra, pronti a tutto, come la mafia i servizi segreti deviati e la loggia P2.

Temono che dopo trent’anni ininterrotti di governo, la Democrazia Cristiana stia entrando in crisi, soprattutto per la nuova spinta della parte più fresca del Paese che non tollera più l’ipocrisia perbenista e la corruzione di molti politici. Fra quelli che vedono con favore il cambiamento, invece, c’è il presidente della DC Aldo Moro, che già da tempo parla in maniera sempre più positiva del Compromesso Storico, ovvero formare un governo assieme al Partito Comunista Italiano, proposta partita proprio dal suo segretario Enrico Berlinguer.

L’idea di Berlinguer nasce sulla scia del sanguinoso colpo di stato militare avvenuto poco tempo prima in Cile, per mano del generale Pinochet che ha rovesciato e ucciso il presidente democraticamente eletto Salvador Allende, assieme a moltissimi suoi concittadini. La coalizione di governo DC-PCI, che avrebbe concesso ai rappresentanti dello storico partito d’opposizione ruoli chiave, avrebbe messo al sicuro – secondo lo stesso Berlinguer – il nostro Paese dalla cosiddetta strategia della tensione, da derive autoritarie e quindi da ipotetici e tragici golpe.

Il 16 marzo del 1978, proprio mentre il IV Governo Andreotti si apprestava a ottenere il voto di fiducia, grazie anche all’appoggio esterno del PCI, il presidente Moro venne rapito dalle Brigate Rosse, che trucidarono senza pietà tutti gli uomini della sua scorta, e che lo uccisero a sangue freddo, dopo 55 giorni di prigionia, il 9 maggio seguente. Il tragico evento, come era prevedibile, fece naufragare definitivamente il Compromesso Storico.

Ispirato al romanzo “Il contesto. Una parodia” che il maestro Leonardo Sciascia pubblica nel 1971, “Cadaveri eccellenti” ci porta in Sicilia dove, dopo una delle sue solite visite nella secolare catacomba dei Cappuccini di Palermo, il procuratore Varga (Charles Vanel) viene freddato in strada da un colpo d’arma da fuoco. La notizia fa scalpore, e il capo della Polizia (Tino Carraro) su insistenza del Ministro della Sicurezza (Fernando Rey) manda il suo investigatore migliore, l’ispettore Amerigo Rogas (Lino Ventura, che nella nostra versione si doppia da solo).

Poche ore dopo però viene rinvenuto sull’autostrada il corpo senza vita del giudice Sanza, ucciso con le stesse modalità di Varga. Rogas inizia a studiare tutti i casi in cui hanno lavorato i due giudici e scopre che sono stati tre, e tutti hanno portato a sentenze assai dubbie che nel corso del tempo sono state poi smentite dai fatti. Le condanne emesse, però, hanno rovinato definitivamente la vita ai presunti colpevoli.

Così l’ispettore si mette sulle tracce del farmacista Cres, uno dei tre condannati, che da qualche giorno ha fatto perdere le sue tracce. Scopre così che nel processo ai suoi danni hanno partecipato, sia direttamente che indirettamente, anche il giudice Rasto (Alan Cuny) e il Presidente della Corte Suprema (Max von Sydow, superbamente doppiato da Alberto Lionello).

L’ispettore si precipita ad avvertirli, ma entrambi rifiutano seccati il suo aiuto, cosa che costerà loro la vita. Dopo la morte del Presidente della Corte Suprema, Rogas comprende che dietro i delitti non c’è più solo Cres, ma una vera e propria organizzazione clandestina di cui fanno parte alti rappresentanti della nostra Repubblica.

Come ultima spiaggia non gli rimane che incontrare di persona il Segretario del Partito Comunista Italiano, per avvisarlo del complotto, atto a tenere sotto controllo la linea del Governo e del Paese. Grazie al giornalista Cusano (Luigi Pistilli) suo vecchio e personale amico, Rogas riesce ad ottenere un incontro riservato, nel quale però…

Non mi piace di solito rivelare l’epilogo di un film – o di un libro – ma per questo capolavoro della nostra cinematografia è necessario farlo, visto che la pellicola si chiude con l’omicidio di Rogas e, soprattutto, del Segretario del PCI per mano dello stesso killer degli omicidi precedenti. Evento tragico che però gli inquirenti archiviano come omicidio-suicidio commesso dall’ispettore in preda allo stress e alla follia provocati dall’indagine stessa.

Rosi ci preannuncia così che i famigerati poteri forti erano disposti a tutto pur di evitare una rivoluzione ai loro danni, anche ad assassinare il capo di uno dei maggiori partiti italiani. La storia ci ha detto chiaramente, nel corso dei decenni successivi, che sarebbe stato molto più deflagrante per il “vecchio” potere costituito un Presidente Moro vivo piuttosto che assassinato, e che quindi il suo omicidio ha contribuito a mantenere lo status quo allora vigente.

Poco tempo fa è scomparso, dopo aver superato il venerando secolo di età, Henry Kissinger che negli anni in cui venne realizzato questo film rivestiva la carica di Segretario di Stato degli Stati Uniti. Fra le cose che i media hanno ricordato di lui, oltre al premio Nobel per la Pace che gli venne assegnato nel 1973, ci sono le dichiarazioni che fece a favore del golpe di Pinochet apertamente appoggiato dagli USA, e i “consigli” che diede al presidente Aldo Moro nel 1974 proprio sul Compromesso Storico: “Onorevole lei deve smettere di perseguire il suo piano politico per portare tutte le forze del suo Paese a collaborare direttamente. Qui o lei la smette di fare queste cose o lei la pagherà cara. Veda lei come la vuole intendere” (come ricordato anche nell’articolo di Orson Francescone pubblicato su “Il Sole 24 Ore” del 18 dicembre 2023).

Naturalmente il film, alla sua uscita nelle nostre sale, accese numerose polemiche, sia nella parte più reazionaria della nostra società che in quella più progressista, che Rosi descrive molto statica e poco reattiva. Fu soprattutto la battuta finale, detta da Florestano Vancini nei panni di un dirigente del PCI davanti ai cadaveri di Rogas e del Segretario, che fece indignare molti sostenitori del partito d’opposizione: “La verità non è sempre rivoluzionaria”. Noi che oggi siamo i posteri, possiamo esprimere la nostra ardua sentenza.

Scritto dallo stesso Rosi assieme a Tonino Guerra e Lino Jannuzzi, “Cadaveri eccellenti” è un vero e proprio pezzo di storia del nostro Paese, da custodire gelosamente e da far vedere a scuola. Nel ricco cast da ricordare anche: Renato Salvatori, Paolo Bonacelli, Paolo Graziosi, Corrado Gaipa e Renato Turi.

“Maestro” di Bradley Cooper

(USA, 2023)

Leonard Bernstein (1918-1990) è stato una delle maggiori figure di spicco della musica, nel solo quella classica, e della cultura del Novecento. Musicista poliedrico e assai prolifico, è stato compositore, arrangiatore, concertista, insegnante e, naturalmente, direttore d’orchestra.

Come direttore di un’orchestra sinfonica, per esempio, è considerato secondo, di un passo, solo ad Herbert von Karajan. E questo non dai famigerati “esperti” o critici – di cui naturalmente l’opinione lascia il tempo che trova, soprattutto col passare del tempo – ma dai musicisti stessi che hanno suonato e hanno avuto entrambi come direttori per un concerto. Parliamo dei maestri della Berliner Philharmoniker, dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia di Roma o della Metropolitan Opera House di New York, solo per citarne alcune.

L’impatto di Bernstein sulla cultura contemporanea, quindi, è stato molto rilevante. Basta pensare che il termine “radical chic” venne coniato dal giornalista Tom Wolfe nel 1970, che scrisse un articolo caustico sul New York Magazine dedicato ad una festa esclusiva organizzata da lui e da sua moglie Felicia Montealegre per raccogliere fondi a favore del gruppo rivoluzionario marxista-leninista delle Pantere Nere.

Anche la sua privata è stata al centro dei riflettori, soprattutto da quando nel 1976 rese pubblica la propria omosessualità, separandosi da sua moglie per convivere con un giovane direttore d’orchestra.

Bradley Cooper e Josh Singer decidono di raccontare la sua storia dalla mattina del novembre del 1943 quando venne chiamato a sostituire il direttore Bruno Walter per un concerto alla Carnegie Hall di New York. Si aprono così, finalmente, le porte per il giovane Lenny (un bravissimo Cooper, truccato in maniera davvero incredibile) della fama e del successo. La sua direzione lascia tutti entusiasti, soprattutto perché il giovane Bernstein, vista l’urgenza della sostituzione, ha diretto l’orchestra senza neanche poter fare una prova.

Sulla scia dei festeggiamenti per il suo clamoroso esordio, ad una festa, sua sorella Shirley (Sarah Silverman) le presenta la giovane attrice Felicia Montealegre (una straordinaria Carey Mulligan). Fra i due scocca subito la scintilla, anche se Leonard da tempo convive con David (Matt Bomer). Felicia accetta la sua sessualità fluida, che lui d’altronde non le nasconde, ma soprattutto la ragazza decide di convivere con il suo essere sempre alla ricerca di “onorare” il dono del genio musicale che gli è stato concesso.

Quattro anni dopo i due si sposano e nel giro di pochi anni diventano genitori di tre bambini, due femmine e un maschio. Intanto, la carriera artistica di Leonard è definitivamente decollata nonostante le sue umili origini di figlio di ebrei ucraini immigrati, che allora era un vero e proprio “limite”, tanto che il suo professore, agli inizi, gli propose di cambiare il cognome da Bernstein in Burns. Anche Felicia riesce a calcare con successo il palcoscenico dei teatri più noti degli Stati Uniti, a partire da quelli di Broadway.

Tutto sembra idilliaco, ma alla fine Felicia non riesce più a conciliare la natura e i desideri di Leonard con il suo ruolo di madre e moglie. Soprattutto quello di madre che cerca in ogni modo di proteggere e tenere nascosti ai figli, che crescono, i commenti e i pettegolezzi sulla “dubbia” sessualità del loro padre. Costringe per questo il marito a mentire spudoratamente a Jamie (Maya Hawke), la maggiore, quando preoccupata la ragazza gli chiede conferma se le voci che le sono arrivate sulla sua omosessualità siano vere.

Inesorabilmente arriva la rottura e nel 1976 Felicia e Leonard si separano ufficialmente. Mentre Lenny non nasconde la sua relazione con un giovane direttore d’orchestra, Felicia stenta a trovare un nuovo compagno. Quando però le viene diagnosticato un tumore al seno Leonard lascia tutto, lavoro e relazione, per dedicarsi a lei senza sosta…

Prodotto da Steven Spielberg e Martin Scorsese, “Maestro” ci racconta la storia di un uomo geniale che è riuscito a realizzarsi e a regalare al mondo opere uniche e immortali, così come concerti memorabili, grazie anche alla donna che gli è stata accanto, non certo come moglie tradizionale e devota – come vorrebbero i nostalgici del patriarcato – ma come compagna e alleata nei momenti più difficili e focali, legata a lui da un amore sconfinato che va oltre i canoni e i limiti ottusi della società più retrograda.

Se è vero, come diceva il giovane Fabrizio De Andrè al giovane Paolo Villaggio, che: “Ci vuole un genio per riconoscere un genio” allora dobbiamo riconoscere a Felicia Montealegre tutta la sua indiscussa genialità.

Da vedere ed ascoltare, visto che le musiche sono firmate dal maestro Leonard Bernstein …in persona.

“La maledizione dello scorpione di giada” di Woody Allen

(USA, 2001)

Gli anni Quaranta sono stati per Woody Allen quelli dell’infanzia, che ha magnificamente raccontato nel delizioso “Radio Days“. In questa sua opera, invece, li usa come ambientazione per narrare una storia su uno degli argomenti più affascinanti ed esotici di quel momento: l’ipnotismo.

Negli anni della definitiva esplosione della jazz – musica non a caso tanto amata dallo stesso Allen – la società era incantata da alcuni sedicenti maghi che riuscivano in pochi istanti ad ipnotizzare le persone davanti a un pubblico sempre più numeroso.

Da questo spunto il genio newyorkese scrive dirige e interpreta una deliziosa pellicola in pieno stile hollywoodiano da sophisticated comedy – in cui ha brillato, per esempio, la coppia Katharine Hepburn e Cary Grant – e i cui due ingredienti principali sono l’amore e il mistero. Non è un caso, quindi, se la colonna sonora del film è centrata su alcuni pezzi storici dell’epoca fra cui “Sophisticated Lady” firmata ed eseguita da Duke Ellington, con testo di Irving Mills.

1940, CW Briggs (lo stesso Allen) è l’investigatore più esperto – …e più anziano – di una grande compagnia di assicurazioni di New York. Nonostante i suoi metodi elementari e poco ortodossi, Briggs riesce sempre a smascherare le truffe e a ritrovare i pezzi trafugati e assicurati dalla sua società.

I problemi arrivano quando Chris Magruder (Dan Aykroyd), presidente delle assicurazioni nonché figlio del fondatore, assume Betty Ann Fitzgerald (una bravissima Helen Hunt) per rinnovare e svecchiare la compagnia.

Fra Briggs e Fitzgerald scoppiano però subito delle acredini e delle scintille, e a complicare tutto ci si mette un prestigiatore che una sera, nel locale dove i due assieme a Magruder e ad altri colleghi cenano, li ipnotizza con un ciondolo di giada a forma di scorpione ordinandogli di essere per alcuni momenti due felici innamorati. Intanto, nella città che non dorme mai, iniziano ad essere messi a segno clamorosi furti che hanno come obiettivo gioielli assicurati proprio dalla compagnia di Magruder…

Deliziosa ed esilarante commedia con dei dialoghi irresistibili, grazie anche alla bravura della Hunt che riesce davvero a tenere testa ad Allen come poche altri attrici hanno saputo fare. Un grande omaggio ai film di quegli anni, su cui già calava inesorabile la terribile ombra del secondo conflitto mondiale, che con una risata riuscivano a far sopravvivere gli spettatori alla “orribile realtà”, come la chiama Briggs/Allen in una delle ultime scene.

Nel cast anche una prorompente e fascinosa Charlize Theron e Wallace Shan, quest’ultimo uno degli attori preferiti in assoluto da Allen.