“L’assassino” di Georges Simenon

(Adelphi, 2012)

Il dottor Hans Kuperus è un uomo ordinario e rispettoso delle regole morali e sociali con le quali è cresciuto.

Ha uno studio medico a Sneek, la piccola cittadina dove è nato, situata nella Frisia, nel nord dell’Olanda. Mantenendo i prezzi bassi, la sua sala d’aspetto è sempre piena. Anche se è sposato da anni, non ha figli ed il rapporto con sua moglie si è serenamente adeguato alla situazione.

Periodicamente partecipa alla riunione dell’Associazione di Biologia Olandese ad Amsterdam. Ma questo martedì, una volta arrivato nella capitale, non si reca all’assemblea per poi dormire a casa della cognata, come fa sempre. Si ferma, invece, in un negozio di armi, compra una pistola e corre in stazione a prendere l’ultimo treno per tornare a casa.

Giunto nelle vicinanze di Sneek il treno si ferma a causa di un imprevisto e Kuperus ne approfitta per scendere, senza essere visto, e seguire la riva del lago Zuidersee. Come indicato nella lettera anonima che stringe con rabbia in tasca, in un capanno lì vicino sua moglie ha un appuntamento galante con il conte Shutter, l’uomo più ricco della regione e impenitente donnaiolo, che da anni gli soffia regolarmente la presidenza dell’Accademia del Biliardo di Sneek.

Kuperus li sorprende mentre escono dal bungalow e li fredda senza pietà, spingendo poi i corpi nel lago che, vista la stagione, sta per ghiacciarsi. Liberatosi dalla rabbia che lo attanagliava, il medico torna in città e si reca subito al caffè Onder de Linden per giocare al suo tanto amato biliardo. La sera, rientrato a casa, Kuperus decide di possedere Neel, la giovane procace e volitiva cameriera che ha a servizio. Da tempo sogna il suo corpo, ma prima di uccidere la moglie e il suo amante mai avrebbe osato sfiorarla.

Il medico, il giorno dopo, denuncia candidamente la scomparsa della moglie e l’intera cittadina, venuta a conoscenza ance dell’improvviso allontanamento di Shutter, subito pensa a una classica e clandestina fuga d’amore. Kuperus, così, viene considerato da tutti una vittima e il suo ruolo sociale acquista più prestigio fino ad essere nominato il nuovo presidente dell’Accademia del Biliardo, data la latitanza del conte che si è reso, inoltre, colpevole di aver creato uno scandalo che difficilmente Sneek potrà dimenticare.

Ma quando, con la primavera, il ghiaccio libera i corpi dei due amanti, anche senza prove inappellabili, la comunità comprende che dietro al duplice omicidio c’è lui, che oltretutto non nasconde affatto la relazione con la sua cameriera. Per questo, da quelli che una volta erano i suoi più “cari amici” e che sono al tempo stesso i notabili più prestigiosi della zona, riceve il “caloroso” invito a lasciare la cittadina e permettere a tutti di dimenticare il più in fretta possibile la tragica e scandalosa vicenda.

Ma il medico, ormai in preda a un vero e proprio delirio emotivo, non vuole lasciare la sua casa e il suo studio, anche se ormai la sala d’aspetto è deserta. Per molti suoi concittadini, infatti, Kuperus oltre ad essere un assassino, ha la grave colpa di non comportarsi secondo le regole sociali e morali…

Il maestro Simenon ci regala una morbosa, carnale e claustrofobica discesa agli inferi di un uomo, educato e cresciuto nell’assoluto rispetto delle regole sociali, che non riesce a concepire chi, come sua moglie ed il suo amante, non lo fa e per questo li uccide.

Ma il diventare un assassino e, soprattutto, essere riconosciuto come tale da tutti per Kuperus è insostenibile proprio per lo stesso motivo, tanto da compromettere inesorabilmente la sua esistenza. Un romanzo tagliente e spietato, come il più becero e ottuso perbenismo.

Scritto nel 1935 e pubblicato per la prima volta nel 1937, “L’assassino” è drammaticamente attuale come il suo intramontabile e immortale autore.

“Il telefono del signor Harrigan” di Stephen King

(Sperling & Kupfer, 2020)

Craig oggi è un uomo, ma ci racconta l’incontro che gli ha cambiato la vita quando a nove anni viveva in una cittadina della provincia americana, come ce ne sono molte. Il nuovo millennio era iniziato da poco quando il ricco e solitario padrone della grande casa in cima alla via nella quale abitava assieme al padre, gli chiese di leggere per lui dietro un piccolo compenso.

Il signor Harrigan, questo era il suo nome, alla soglia dei settant’anni soffriva di una grave forma di artrosi e così provava dolore nel tenere in mano anche solo un libro. Nell’austera dimora, Harrigan non aveva il televisore, ma solo una vecchia radio per ascoltare la sua amata musica country. Ma ogni giorno leggeva puntualmente tutti i giornali economici del Paese che gli venivano recapitati per posta, perché Harrigan era stato uno dei più scaltri e spietati affaristi di Wall Street.

Quando a Craig, per i suoi 11 anni, il padre gli regalò un tanto atteso Iphone, il primo della lunga serie della casa di Cupertino, il ragazzino non vide l’ora di mostrarlo fiero ad Harrigan che però ne rimase perplesso. Nonostante ciò, quando Craig vinse un piccola somma con il gratta e vinci che regolarmente gli regalava Harrigan, decise di regalare un Iphone proprio al suo datore di lavoro.

L’anziano osservò perplesso quello strano telefono e quando capì che ci avrebbe potuto consultare i valori della Borsa in tempo reale, così come tutte el notizie del pianeta, la sua espressione divenne seria e indecifrabile. Confidò a Craig che quel piccolo elettrodomestico, come lo chiamava lui, aveva un potere enorme che sarebbe potuto anche sconfinare, se usato con dolo, nella manipolazione e nella coercizione due cose che, suo malgrado, l’anziano conosceva bene.

Quando Harrigan, poco dopo, morì per un infarto, Craig scoprì con grande sorpresa che l’anziano gli aveva lasciato un generoso fondo finanziario per completare i suoi studi senza problemi. Durante il funerale Craig comprese di dover affrontare una grave perdita, in parte simile a quella di sua madre avvenuta molti anni prima. Forse per questo, in un gesto irrazionale, sistemò nella tasca della giacca della salma del signor Harrigan il cellulare che gli aveva regalato, acceso.

Qualche tempo dopo, a scuola, Craig venne pesantemente e ripetutamente bullizzato da un ragazzo più grande e, tornato a casa, per sfogarsi telefonò al signor Harrigan lascindogli un messaggio. Incredibilmente il telefono era ancora carico e perfettamente funzionante, nonostante fosse seppellito insieme al suo padrone da molto tempo.

La mattina dopo Craig scoprì che il bullo era morto in maniera misteriosa e assai violenta…

Ottimo e duro racconto nel quale il Re ci parla schiettamente degli immensi pericoli della comunicazione totale e planetaria che i cellulari consentono, a discapito della nostra privacy, della nostra emotività e, soprattutto, della nostra intelligenza.

“Il telefono del signor Harrigan” è il primo dei quattro racconti della raccolta “Se scorre il sangue” pubblicato dal Re nel 2020. Nel 2022 John Lee Hancock dirige “Mr. Harrigan’s Phone”, l’ottimo adattamento cinematografico con Donald Sutherland nei panni dell’inquietante signor Harrigan.

“Formichità” di Charlie Kaufman

(Einaudi, 2023)

B. Rosenberger Rosenberg è un affilato e saccente critico cinematografico di New York. Alla soglia dei sessant’anni, ha un invidiato rapporto amoroso con una delle giovani attrici afroamericane più affascinanti del momento, che molti gli invidiano.

Questo nonostante, per sua stessa ammissione, non abbia un aspetto così attraente visto che non ha più capelli sulla cima della testa ma, in compenso, una folta barba che gli copre una voglia color vino sulla faccia.

B.R.R. ha un matrimonio fallito alle spalle dal quale è nata la sua unica figlia, con la quale ha un pessimo rapporto. La cosa lui la imputa soprattutto alla giovane, che non fa altro che rimproveragli la sua grave latitanza come genitore, soprattutto nei momenti più delicati della sua infanzia e della sua adolescenza. Adesso poi che la donna vuole diventare una regista, le cose si stanno ancor di più complicando.

Ma B.R.R. ha il suo cinema e soprattutto il suo lavoro, e cioè la missione di spiegare con la pazienza e la tolleranza di un buon padre di famiglia ai comuni mortali il vero significato di un film. Per questo il suo sogno è quello di scovare nel posto più improbabile della Terra una pellicola sconosciuta ma geniale e catartica, tanto da rendere lui – come scopritore e primo vero e assoluto spettatore – immortale.

Per scrivere un pezzo che il giornale per quale lavora gli ha chiesto B.R.R. si reca in Florida e lì, casualmente, si trova come vicino di appartamento Ingo Cutbirth, un anziano afroamericano che ha girato un lunghissimo film in stop motion, al momento inedito, che vorrebbe fargli vedere. B.R.R. scostante, dopo numerose insistenze, alla fine accetta ma solo per pochi minuti. Quando però partono i primi fotogrammi il critico rimane folgorato: eccolo finalmente il film geniale e unico che da sempre stava cercando.

Accetta così di vederlo tutto, nonostante la versione integrale duri …tre mesi, alla fine dei quali Cutbirth muore. B.R.R. si sente così l’unico vero erede materiale e morale della pellicola e, dopo aver preso le numerose pizze del film, parte per tornare a New York dove urlerà ai quattro venti la sua memorabile scoperta. Ma sulla strada, durante una sosta, il furgone sul quale è conservato il film prende fuoco…

Charlie Kaufman (classe 1958) è lo sceneggiatore di pellicole come “Se mi lasci ti cancello” di Michel Gondry o “Essere John Malkovich” di Spike Jonze. La sua narrazione è apparentemente cervellotica e senza un inizio e una fine, ma andando avanti nel racconto – così come nei suoi film – le emozioni e le atmosfere iniziano lentamente a prendere senso.

Inoltre questo romanzo, il cui protagonista è un critico cinematografico – ossessionato dal politically correct – che vede i film almeno sette volte prima di giudicarli – compresa l’ultima alla rovescia – Kaufman fa un’efficace metafora del racconto cinematografico nella sua essenza e, soprattutto, nella sua profonda irrealtà.

Kaufman firma così un romanzo sfizioso e originale, che ha solo un difetto: essere davvero fin troppo autoreferenziale.

“The Mysteries” di Bill Watterson e John Kascht

(Andrews McMeel Publishing, 2023)

Il grande Bill Watterson, dopo molti anni, torna a pubblicare un nuovo volume inedito.

Watterson, nato a Washington D.C. nel 1958, pubblica nel 1985 la sua prima vignetta dedicata a “Calvin and Hobbes” che in breve tempo diventa una delle strisce satiriche più famose degli Stati Uniti, pubblicate sui più grandi quotidiani del Paese. Nonostante il clamoroso e duraturo successo, il 31 dicembre del 1995 Watterson decide di smettere di pubblicarle, per dedicarsi ad altro, soprattutto alla pittura.

Nel corso degli anni le sue vignette vengono ripubblicate in varie raccolte che riscuotono sempre un grande successo, non solo negli Stati Uniti. Ma dopo diversi decenni Watterson pubblica una nuova storia inedita, realizzata nelle immagini assieme al caricaturista e illustratore statunitense John Kascht.

Ci troviamo così in un lontano e cupo regno che è afflitto da un grande e oscuro male: i misteriosi, esseri che qualcuno crede sovrannaturali, dalla forza inaudita e capaci di ogni terribile e infame azione. Nel corso del tempo non sono stati pochi gli artisti che hanno ritratto le gesta terrificanti dei misteriosi, cosa che non ha fatto altro che aumentare il terrore in tutta la nazione.

Il Re così raduna i suoi migliori cavalieri per catturare i misteriosi e scoprirne i loro segreti per sconfiggerli. Ma, inesorabilmente, di tutti i cavalieri si perdono le tracce, fino a quando uno, ferito ed esausto, torna al castello con una gabbia che racchiude un misterioso…

Deliziosa e godibilissima favola per adulti densa della grande ironia tipica di Watterson che, unita alle immagini grottesche e surreali realizzate dallo stesso autore insieme a Kascht, ci regalano un piccolo viaggio memorabile e divertente.

“Senza piume” di Woody Allen

(La Nave di Teseo, 2023)

Pubblicato per la prima volta nel 1976 e in italiano col titolo “Citarsi addosso”, “questo libro “Senza piume” – curato in questa edizione da Daniele Luttazzi – contiene brevi pezzi e racconti che Woody Allen ha scritto fino ai primi anni Settanta, periodo in cui ha deciso di dedicarsi quasi completamente al cinema.

Già adolescente Woody Allen era uno dei più noti e ben pagati autori di battute per artisti del cabaret, della radio e della televisione. Rileggere i suoi scritti, sempre e comunque divertenti ed esilaranti, non stanca mai.

Certo, la sua arte col corso dei decenni – e anche a seguito delle sue vicissitudini personali – è cambiata evolvendosi. Ma il genio newyorkese rimane sempre ironico e pungente. Fra i racconti c’è quello che poi, modificato dalla stesso autore, è diventato il soggetto del suo film “Ombre e nebbie”, così come è semplice – e al tempo stesso godibilissimo – scovare in battute o gag accenni o riferimenti a sue successive sue opere cinematografiche.

Nonostante la grande ironia che permea ogni pagina, non si può che condividere quello che lo stesso Allen disse in un’intervista qualche anno fa, sostenendo di essere un autore di tragedie – nel senso classico del termine – e non di commedie, e che il suo pubblico ormai da decenni commette un inspiegabile …errore.

“Mia nonna saluta e chiede scusa” di Fredrick Backman

(Mondadori, 2016)

Checché se ne dica, la vita non è semplice per nessuno. Neanche per una bambina di sette anni che ama l’intera saga di Harry Potter e che tutti considerano una tipa strana, molto matura e forse anche per questo …molto “diversa”.

Così la scuola per Elsa non è un ambiente sereno. Non capita giorno in cui non venga bullizzata da alcune compagne di classe che proprio non sopportano la sua eccentricità e la sua intelligenza. Ma a sua madre Ulrika non può certo raccontare quello che le capita quotidianamente perché non capirebbe, e poi ha bisogno di tutta la serenità possibile visto che sta portando a termine la gravidanza alla fine della quale nascerà il suo fratellastro.

Perché Elsa vive con la madre e con George, il nuovo compagno, dato che il matrimonio con il suo papà è naufragato ormai da qualche tempo. L’unica persona che la capisce completamente è sua nonna materna che, guarda caso, anche lei è stata sempre un tipo molto “originale”. Era un chirurgo e ha girato tutto il mondo, è stata in posti di guerra e di dolore dove ha salvato decine di vite umane. Ma questo l’ha tenuta per molto tempo lontana da casa e così sua figlia Ulrika è cresciuta la maggior parte del tempo senza di lei.

Ora che ha settantasette anni la nonna non vuole commettere lo stesso errore con sua nipote e così la sostiene con tutti i mezzi possibili. Il segreto più grande fra loro due è Miamas, il mondo fantastico che si può visitare mentre ci si addormenta la sera. Ma la nonna, fumatrice incallita, sta perdendo la sua battaglia contro un implacabile tumore, e così lascia ad Elsa una serie di lettere da consegnare agli abitanti del condominio in cui loro due, assieme ad Ulrika, vivono.

Per Elsa sarà un viaggio per conoscere alcuni aspetti della nonna, di sua madre e anche di se stessa impensabili ed incredibili…

Pubblicato per la prima volta nel 2013, questo piacevole romanzo anticipa alcuni dei temi che Backman svilupperà nel suo libro successivo e certamente più famoso “L’uomo che metteva in ordine il mondo“, come la perdita di un affetto centrale nella propria esistenza e l’emarginazione che provoca l’essere emotivamente e caratterialmente “diversi” dalla massa.

Così come gli altri scritti di Backman, anche questo è un inno alla tolleranza e all’inclusione, che ci racconta di un mondo dove nessuno è perfetto, o buono o cattivo al 100%, e dove l’impresa più ardua è quella di riuscire a convivere con se stessi.

D’altronde, come dice un antico proverbio cinese: “L’albero storto vive la sua esistenza nel bosco, quello dritto finisce sul tavolo del falegname”.

“Yoga” di Emmanuel Carrère

(Adelphi, 2021)

Emmanuel Carrère è per me l’autore di uno dei libri più affascinanti e al tempo stesso terribili e inquietanti degli ultimi decenni come “L’avversario“, pubblicato per la prima vota nel 2000. Amo molto il suo modo di scrivere e raccontare le vicende e le storie degli altri. E così ho iniziato assai curioso la lettura di questo suo recente libro dove la storia narrata è, invece, la sua.

Il libro sostanzialmente è diviso in due parti, la prima è quella in cui ci racconta la nascita e lo sviluppo del suo rapporto decennale con lo yoga e la meditazione in generale. Il suo approcciarsi alla disciplina orientale quasi per caso fino a divenire un assiduo frequentatore di corsi e seminari sparsi in tutto il mondo, soprattutto da quando il pensiero orientale lo ha aiutato a trovare un equilibrio personale.

La seconda inizia proprio durante un seminario fra le montagne, dove era assolutamente proibito avere contatti col mondo esterno così come con gli altri partecipanti, ma nonostante ciò Carrére viene travolto dalla realtà e soprattutto dalla parte più oscura e abissale del proprio essere. Nei giorni in cui lui era immerso nella natura a meditare, due terroristi legati ad Al-Quaeda entrano nella redazione del giornale satirico “Charlie Hebdo” a Parigi e, armati di Kalasnikov, uccidono 12 persone e ne feriscono altre 11.

Carrère viene colpito profondamente dalla tragedia sia perché da ragazzo era un assiduo lettore del giornale satirico, sia perché conosceva e frequentava direttamente più di una delle vittime. Il ritorno brusco a una realtà violenta contribuisce a far vacillare l’equilibrio dello scrittore che lentamente, ma inesorabilmente, inizia a precipitare nel baratro della depressione, con la quale da sempre ha dovuto combattere.

Grazie a sua sorella viene ricoverato in una clinica parigina specializzata, dove però i farmaci non sembrano sortire l’esito sperato e così ai medici non rimane altro che la terapia elettroconvulsivante, una volta chiamata elettroshock. Fortunatamente per lui, e anche per noi lettori, le sedute di questa dura cura alla fine funzionano e riescono a ridare a Carrère una certa stabilità – grazie anche al supporto di nuovi farmaci – che gli permette di terminare il libro dedicato allo yoga, che da tempo aveva in mente.

Un viaggio crudo e doloroso in una patologia, come la depressione – termine naturalmente generico e superficiale per una malattia che ha invece numerose sfaccettature e intensità – la cui causa per lo scrittore rimane “sconosciuta”. Perché la vita di Carrère, sottolinea a se stesso come a noi lettori, è stata fortunata e piena di successi, anche economici, oltre che di affetti.

Non certo come quella di alcuni giovani migranti minorenni a cui lui stesso propone un corso di scrittura creativa mentre sono “ospiti”, in Grecia, in un centro di accoglienza per profughi in attesa di essere “ridistribuiti” in Europa.

E, guardando quei ragazzi che hanno dovuto lasciare tutto e vivere spesso esperienze terrificanti per raggiungere le porte del nostro continente in cerca solo di sopravvivere – come ci ha raccontato superbamente Matteo Garrone nel suo splendido “Io Capitano” – Carrère si chiede se davvero quella che per loro rappresenta la “Terra Promessa” alla fine non li tradirà lasciandoli soli senza speranza e senza dignità – come si è sentito lui, anche se per ragioni completamente diverse, travolto dalla depressione – rendendoli facili prede di fanatici e subdoli terroristi.

Tragicamente attuale.

“La Taverna di mezzanotte – Tokyo stories vol. 7 ” di Yaro Abe

(Bao Publishing, 2023)

Eccoci nuovamente, per la settima volta, nella taverna più originale e affascinante di Tokyo.

Nel quartiere di Shinjuku, nei pressi dell’omonima stazione, il nodo ferroviario più trafficato al mondo, tutti i giorni – o meglio tutte le notti – c’è un piccolo ristorante che apre da mezzanotte alla sette del mattino. Il proprietario, chef e allo stesso tempo cameriere, è un taciturno uomo di mezza età con una vistosa cicatrice sull’occhio destro.

Al muro del piccolo locale è affisso il menu fisso, ma lo chef è disponibile a cucinare qualsiasi cosa i clienti desiderino a patto di avere gli ingredienti o che gli stessi avventori li forniscano. E così, gli invitanti aromi ed effluvi del cibo preparato e servito nella taverna, non solo aprono lo stomaco dei clienti ma anche la loro anima: per ogni ricetta preparata lo chef ci racconta la storia di uno o più dei suoi clienti che, nel bene o nel male, ha uno snodo proprio dentro al suo locale e grazie o a causa ad un piatto lì elaborato.

Come nella vita, però, non tutte le storie finiscono bene e non sempre il lieto fine chiude la vicenda. Tanto che a volte alcuni clienti decidono di non mangiare più, per il resto della loro esistenza, una pietanza alla quale invece prima erano profondamente legati proprio perché ricordava loro una persona o un evento fondamentale nella loro vita. Yaro Abe ci sottolinea, se davvero ce ne fosse bisogno, che lo stomaco forse non sarà importante come il cervello, ma è lui spesso a indirizzarci nei bivi della vita.

Come gli altri tomi della serie dedicata alla Taverna, anche questo – in cui si parla pure di rugby, sport molto amato nella terra del Sol Levante – è da leggere e “assaporare” fino all’ultima pagina, e non è necessario aver letto tutte le passate ricette per goderselo a pieno. Anche se io le consiglio caldamente.

Su Netflix è disponibile la serie giapponese “Midnight Diner: Tokyo Stories” deliziosa e saporita come il manga da cui è tratta. Abe, nel corso degli anni, ha pubblicato anche: “La Taverna di mezzanotte – Tokyo Stories vol.1“, “La Taverna di mezzanotte – Tokyo Stories vol.2“, “La Taverna di mezzanotte – Tokyo Stories vol.3” e “La Taverna di mezzanotte – Tokyo Stories vol.4“, “La Taverna di mezzanotte – Tokyo Stories vol.5“, “La Taverna di mezzanotte – Tokyo Stories vol.6“.

“Holly” di Stephen King

(Sperling & Kupfer, 2023)

2021, Holly Gibney è la titolare dell’agenzia di investigazioni private “Finders Keepers”, fondata dall’ex poliziotto Bill Hodges, ormai defunto ma vero faro illuminante nella vita della donna che, grazie a lui, è riuscita a crearsi una vita emotivamente indipendente da sua madre.

Sono state sempre molti le considerazioni e le valutazioni diametralmente opposte fra lei e Charlotte, sua madre, le ultime delle quali sulla natura ed il pericolo reale del Covid. Così Charlotte, a differenza di sua figlia, non si è voluta vaccinare né tanto meno ha mai voluto prendere tutte quelle precauzioni necessarie per evitare il contagio. E quando l’infame virus l’ha attaccata, a Charlotte non è rimasto che il tempo di morire da sola nella Rianimazione di un ospedale, pieno di altri gravi pazienti affetti dalla polmonite fulminate come lei.

Ma la morte di Charlotte non chiude il rapporto irrisolto con la figlia, che dovrà fare i conti con un lascito ingombrante e inatteso, in tutti i sensi. Proprio mentre Holly si prepara ad affrontare questa nuova e dolorosa parte della sua esistenza, alla porta della “Finders Keepers” si presenta Penelope Dahl, che tutti chiamano “Penny”, con la foto di sua figlia Bonnie Rea Dahl, una giovane e avvenente studentessa universitaria.

Bonnie è scomparsa il 1° luglio, poco più di tre settimane prima, e di lei è rimasta solo la sua bicicletta abbandonata in strada, con sul sellino un laconico biglietto di addio. Penny naturalmente si è rivolta alla Polizia ma, vista la mancanza di prove di una qualsivoglia violenza e soprattutto la situazione che sta creando il Covid, che colpisce anche il personale della Polizia cosa che rende sempre più complicato gestire l’ordine pubblico, le indagine su Bonnie sono ad un punto morto.

Holly accetta il caso e inizia a ripercorrere e studiare le ultime settimane conosciute di vita della ragazza, prima che svanisse nel nulla, a partire proprio dal rapporto conflittuale con la madre, molto simile sotti alcuni punti di vita a quello che lei aveva con la sua. Ma l’indagine costringerà Holly ad affrontare un terrificante e insolito predatore che, purtroppo, molto prima della scomparsa di Bonnie ha iniziato ad assecondare la sua “fame” di sangue…

Il Re ci regala un altro grande libro che ci tiene inchiodati alla pagine fino all’ultima riga, post fazione compresa. Narrandoci della caccia a un serial killer, King ci pennella in maniera netta e cruda la metafora di un aspetto duro e doloroso della nostra società contemporanea: lo scontro fra le generazioni più mature e quelle più giovani. Scontro che negli ultimi anni sta acquistando toni e dinamiche nuove, anche perché le prime hanno privilegi e diritti che le seconde, molto probabilmente, non potranno ottenere mai.

E se qualcuno avesse ancora dubbi sulla grandezza di Stephen King come scrittore puro, e non solo come un superbo autore dell’orrore, si legga i brani in cui, in poche semplici righe, ci descrive con sublime tristezza e profondo rispetto il vile morbo dell’Alzheimer. Per non parlare del concetto di scrittura su cui il Re ci dona delle splendide e indimenticabili riflessioni grazie al personaggio di Olivia Kingsbury, una famosissima poetessa quasi centenaria. 

In poche parole: un vero e proprio Maestro della parola scritta.

La Gibney appare per la prima volta nel romanzo “Mr Mercedes” – dove incontra Bill Hodges – del 2014 e nel racconto breve “Se scorre il sangue”, compreso nell’omonima raccolta di racconti del 2020.

“L’assassino che è in me” di Jim Thompson

(Fanucci, 2010)

Dopo aver pubblicato lo strepitoso “Nulla più di un omicidio” nel 1949, ed alzato l’asticella del romanzo noir americano che in quel momento sta vivendo il suo periodo d’oro, Jim Thompson viene contattato da alcuni redattori della Lion Books che vogliono che il suo romanzo successivo, il quarto, sia pubblicato dalla loro casa editrice.

Arnold Hano e Jim Bryans della Lion, al primo incontro con Thompson, gli consegnato cinque brevissime sinossi, dei semplici spunti sui quali costruire un romanzo. Dopo averli letti Thompson si sofferma su quello che “…riguardava un poliziotto di New York che ha una relazione con una prostituta e finisce per ucciderla” e dice ai due: “Prendo questo”.

Nell’arco di poche settimane sulla scrivania di Hano e Bryans arrivarono le cartelle con la prima versione del romanzo che avrebbe preso il titolo “L’assassino che è in me”. Thomson aveva usato solo il banale spunto della relazione fra un uomo di legge e una prostituta, per poi cambiare tutto, ambientando la vicenda nella sua “solita” Capital City, e soprattutto costruendo un protagonista e una storia terrificanti.

Il vice sceriffo Lou Ford è considerato da tutti i suoi concittadini un brav’uomo, tollerante e sempre pronto a dare una mano ha chi ne ha bisogno. Per questo lo sceriffo Bob Maples lo considera il suo pupillo. Ma Lou Ford nasconde un terribile segreto, che risale alla sua infanzia, e che suo padre, uno dei medici più stimati di Capital City, ha sempre tenuto nascosto a tutti.

Anche Lou ha fatto di tutto per nascondere e contenere la sua “malattia”. Ma quando Chester Conway, il fondatore e proprietario della Conway Construction, la più grande società edile della città e pilastro economico dell’intera contea, gli affida un lavoro “fuori orario”, la diga inesorabilmente crolla.

Perché Chester Conway ha chiesto al giovane e promettente vice sceriffo Ford di convincere l’avvenente e assai accessibile Joyce Lakeland a lasciare la città e soprattutto suo figlio Elmer Conway. La cosa deve avvenire nella maniera più discreta possibile visto il cognome del ragazzo. Ma quando Lou incontra di persona Joyce inizia per lui, e per chi gli sta vicino come la sua storica fidanzata Amy, una terrificante e inesorabile discesa agli inferi.

Travolti dal racconto diretto di Lou viviamo un’escalation di sangue e violenza per mano di una mente lucida e coerente, ma al tempo stesso folle, criminale e senza freni. Lo stesso Hano raccontò che lette le prime cartelle rimase letteralmente sconvolto e ogni volta che la sera a casa, nel buio della notte, le rileggeva, oltre a comprendere il genio assoluto di Thompson, i peli delle sua braccia spesso si rizzavano.

Anche Stanley Kubrik, una volta letto il libro uscito nel 1952, ne rimase talmente colpito da volere Thompson come cosceneggiatore per i suoi capolavori “Rapina a mano armata” e “Orizzonti di gloria”. E non è un caso, quindi, che fra i più grandi ammiratori di Thompson ci sia anche il maestro Stephen King – i cui mostri più terrificanti non sono quelli fantastici, ma quelli “ordinari” che appartengono al genere umano – che lo considera uno dei maggiori scrittori del Novecento, chiamandolo “Big” Jim Thompson.

Nella sua autobiografia “Bad Boy”, Thompson racconta l’episodio vero dal quale prese spunto per creare Lou Ford. L’evento si consumò, durante la sua giovinezza, in un luogo isolato fra lui ed un poliziotto, noto in tutta la cittadina per essere una brava persona assai tollerante con tutti. Per convincerlo delle proprie “ragioni”, il poliziotto con una calma glaciale, ed infilandosi i guanti di pelle, disse al giovane Thompson come lo avrebbe ucciso con le proprie mani senza che poi nessuno avrebbe sospettato di lui, vista la sua fama e il suo ruolo.

Sconvolto, il giovane Thompson si lasciò convincere e assecondò docilmente il poliziotto, rimanendo per tutta la vita con la certezza che quell’uomo lo avrebbe potuto davvero massacrare rimanendo impunito.

Un capolavoro ancora oggi agghiacciante e indimenticabile.

Nel 1975 Burt Kennedy dirige l’adattamento cinematografico con Stacy Keach nei panni di Lou Ford, che chi lo ha visto considera il peggior adattamento in assoluto di un’opera di Thompson. Nel 2010 Michael Winterbottom firma “The Killer Inside Me” con Casey Affleck nel ruolo di Ford, Jessica Alba in quello di Joyce e Kate Hudson in quello di Amy.