“Marzolino Tarantola – La grande corsa” di Bonvì

(Mondadori, 2016)

Il programma di cartoni animati “Supergulp!” (cosi come “Crash Bang Gulp!” prima, “Giumbolo” e “Giumbolando” poi) ha influenzato in maniera profonda le generazioni – compresa la mia – che hanno avuto la fortuna di poterlo vivere e vedere in televisione in diretta.

Soprattutto fra il 1978 e il 1981 (con l’avvento definitivo del colore in tv) i fumetti, che apparivano settimanalmente, hanno inciso un lungo solco nell’immaginario dei giovani spettatori. Fra quelli stranieri e quelli italiani, sono apparse figure mitiche e indimenticabili. E proprio di una di queste, creata dal genio dell’immortale Bonvi (Franco Bonvicini) voglio parlare oggi.

Si tratta di una serie creata soprattutto per riempire il palinsesto del programma e di cui Bonvi ha scritto solo due storie complete: “Marzolino Tarantola”. Ispirato al “Saturnino Farandola” di Albert Rabida (e dal quale la Rai fece uno sceneggiato per ragazzi che proprio in quegli anni riscosse un notevole successo) “Marzolino Tarantola” prende spunto anche da altri grandi strisce create dal suo autore (come “Sturmtruppen” e “Nick Carter”) oltre che al cinema più classico d’avventura come “La grande corsa” diretto da Blake Edwards nel 1965.

E proprio “Marzolino Tarantola – La grande corsa” è l’unica storia completa pubblicata.  

Marzolino Tarantola è un facoltoso amante dell’avventura e, insieme al suo maggiordomo Alfred e a Enrico (molto somigliante al Patsy di Nick Carter) che con la sua forza bruta fa da solo tutto quello che farebbe un equipaggio di una dozzina di uomini, accetta di partecipare alla gara automobilistica intercontinentale che ha il suo traguardo a Parigi. Ma a ostacolare slealmente Tarantola c’è il perfido professor Moriatry (…e non Moriarty! Allora Sherlock Holmes era ancora sotto diritti…) e il suo assistente poco lucido Perfidio…

Un’avventura che ci ricorda quanto grande e importante è la storia dei nostri fumetti che troppo spesso è ingiustamente oscurata da quelli stranieri.   

“FBI – Francesco Bertolazzi Investigatore” di Ugo Tognazzi

(Italia, 1970)

A partire dagli anni Sessanta numerosi grandi attori del cinema hanno iniziato a prestarsi alla neonata televisione oltre che come attori anche come autori. In quegli anni molti lo facevano mostrando palesemente il loro sdegno per un mezzo così poco nobile rispetto al teatro o al grande schermo. Ma l’immortale Tognazzi no. Il suo geniale senso artistico lo aveva fatto essere uno dei veri pionieri del divertimento del nostro piccolo schermo con il varietà memorabile “Un, due e tre” assieme a Raimondo Vianello.

Alla fine degli anni Sessanta però Tognazzi non è più solo un’icona della risata, ma è uno dei grandi interpreti del cinema di qualità. E torna in televisione con una serie che si ispira alla grande commedia all’italiana, e che lui stesso dirigere. A scrivere i soggetti e le sceneggiature ci sono i maestri Age e Furio Scarpelli che confezionano sei puntate.

Il genere è quello della commedia appunto, ma una commedia tinta di giallo, visto che di mestiere il protagonista Francesco Bertolazzi fa l’investigatore privato e gioca sulle sue iniziali per farsi pubblicità. La sua è una ditta a conduzione familiare, ma che punta a una clientela distinta e soprattuto abbiente.

Nella prima puntata, “Sparita il giorno delle nozze”, a interpretare un’antipatico antiquario che ama viaggiare su una delle automobili appartenute a Mussolini c’è Marco Ferreri, amico personale di Tognazzi, nonché grande regista e autore di pellicole straordinarie interpretate dallo stesso grande artista cremonese.

Le altre puntate sono: “Il ritorno di Ulisse” (con fra gli interpreti Nora Ricci); “Rapina a mano armata” (con Stefano Satta Flores); “Notte americana” (con Franco Fabrizi); “Labbra serrate” (con Enzo Cannavale), e “Getto della spugna” (con Achille Togliani).

Al momento questa deliziosa serie prodotta dalla nostra televisione nazionale è praticamente introvabile. Solo qualche brano è visibile su Youtube. …Sob.

“Kronos – Il conquistatore dell’universo” di Kurt Neumann

(USA, 1957)

Qui parliamo di uno dei più classici B-movie degli anni Cinquanta che è diventato un vero e proprio classico.

L’idea originale del film è di Irving Block (lo stesso autore del soggetto dello splendido “Il pianeta proibito“) docente di arte all’Università della California e affermato pittore che, dopo aver dipinto i suoi quadri ne traeva idee per film insieme ad alcuni amici e collaboratori come Lawrence L. Goldman, che scrive la sceneggiatura di questa pellicola. Nella versione originale Goldman non appare perché alla fine degli anni Cinquanta era una delle numerose vittime del maccartismo.

Nell’osservatorio del “Lab. Center” gli scienziati Leslie Gaskell (Jeff Morrow), Vera Hunter (Barbara Lawrence) e Arnold Culver (George O’Hanlon) scrutando il cosmo scoprono uno strano asteroide che vira dirigendosi verso la Terra. Intanto, un ufo è atterrato nel deserto prendendo possesso del corpo di un innocente passante. L’entità aliena si dirige nel “Lab. Center” e prende possesso del corpo del Dott. Eliot (John Emery) responsabile dell’osservatorio.

La strana traiettoria dell’asteroide preoccupa Gaskell che obbliga Eliot a far intervenire le Forze Armate. Ma le armi non fermano l’ufo che atterra nel Pacifico a poche miglia dalle coste messicane. Gaskell, Hunter e Culver si recano sul posto e poche ore dopo un gigante di un materiale più forte dell’acciaio sbarca sulla costa. L’extraterrestre è un accumulatore di energia venuto sul nostro pianeta per risucchiare tutte le risorse…

Gli effetti speciali di questa pellicola, nonostante il budget a basso costo, sono strabilianti e spettacolari, e a classiche immagini di repertorio con minacciosi funghi atomici seguono alcune sequenze a cartoni animati davvero speciali e spettacolari.

Da ricordare anche perché il film anticipa il tema dell’ambietalismo (purtroppo così attuale) e dello sfruttamento massiccio delle risorse naturali.

Un vero gioiello in bianco e nero.

Per la chicca: “Kronos” è la password fondamentale ne “Gli incredibili – Una normale famiglia di supereroi” di Brad Bird e prodotto dalla Pixar.

“Indiana Jones e l’ultima crociata” di Steven Spielberg

(USA, 1988)

Come già scritto parlando de “Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta“, questo “Indiana Jones e l’ultima crociata” è l’unico sequel davvero straordinario della serie dedicata all’archeologo più famoso del cinema.

Scritto da George Lucas insieme all’olandese Menno Meyjes (candidato all’Oscar per la migliore sceneggiatura non originale de “Il colore viola” di Spielberg) questo film consacra definitivamente il mito del professor Henry Jones Jr..

Conosciamo finalmente il professor Henry Jones Senior, che non poteva essere interpretato magistralmente che da Sean Connery (il primo grande 007, personaggio al quale gli stessi Spielberg e Lucas si ispirarono per scrivere “Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta”) che incarna splendidamente il classico “topo di biblioteca” incapace e inadatto a qualsiasi tipo di azione, la vera e propria antitesi del figlio.

Ma non solo, nelle prime scene del film incontriamo il giovane Indiana Jones (interpretato da River Phoenix) nel momento in cui inizia a usare la frusta – che gli causa la cicatrice al mento che lo stesso Ford ha davvero nella vita reale – e soprattutto indossa per la prima volta il suo famoso cappello.

E nella scena finale conosciamo finalmente la storia del suo strano nome. Il tutto mentre siamo sulle tracce di una delle leggende e dei miti più famosi della civiltà umana: il Santo Graal.

Con sequenze mozzafiato, scene ed effetti speciali che ancora fanno colpo, la terza avventura di Indiana Jones è fra i migliori film d’azione mai realizzati, grazie anche alla profonda ironia che permea ogni scena, soprattutto quelle che mostrano il rapporto complicato e al tempo stesso spassoso fra padre e figlio Jones.

E pensare che all’anagrafe Sean Connery e Harrison Ford hanno meno di dodici anni di differenza. Potere del cinema e dei grandi attori…

“Una spola di filo blu” di Anne Tyler

(Guanda, 2016)

I Whitshank hanno sempre abitato nella casa col grande portico. Fu proprio Junior Whitshank a costruirla a ridosso della Seconda Guerra Mondiale. E suo figlio Red ci è cresciuto e ha cresciuto i suoi figli sotto quel portico. Ma le cose cambiano, i figli crescono e prendono strade diverse.

Questo vale per tutti, ed è valso anche per Junior che pur di affermarsi nella vita ha lasciato suo padre vedovo – che non ne ha sofferto più di tanto – e si è trasferito a Baltimora per fare il manovale negli anni della grande Depressione. Appena è riuscito a metter su una piccola ditta di costruzioni, gli abbienti signori Brill gli hanno commissionato la casa col grande portico, in uno dei quartieri più esclusivi della città. Junior l’ha costruita come se fosse stata la sua, e una volta finita non c’è stato giorno in cui non ha sognato di comprarla. Quando il sogno si è avverato, Junior ci si è trasferito con la moglie e i suoi due figli ancora piccoli.

Red, il minore, crescendo ha preso le redini della ditta paterna così come la casa col grande portico dove ha portato sua moglie Abby a vivere e crescere i loro quattro figli, due femmine e due maschi. E proprio il più piccolo, Danny, è sempre stato quello più problematico…

Magistrale ritratto corale di una famiglia americana della middle class, di quelle che apparentemente non hanno nulla di davvero straordinario se non il fatto di rappresentare, come poche altre, le dinamiche interiori e profonde della società umana.

Anne Tyler continua a raccontarci in maniera sublime gli strappi e i dolori intimi che nascono in una famiglia e che segnano per sempre tutti i suoi componenti.

Da leggere.   

“Totò e le donne” di Steno e Mario Monicelli

(Italia, 1952)

Scritto da Steno, Mario Monicelli, Age e Furio Scarpelli (ma diretto solo da Steno, anche se nei titoli di testa appare accanto il nome di Monicelli) questo film segna uno dei punti di svolta del nostro cinema: arriva la grande commedia all’italiana.

Se è vero che sono presenti alcuni elementi ben riconoscibili del Neorealismo, è vero anche che questa pellicola punta dritta sulla commedia pura, abbandonando definitivamente i tratti della semplice parodia o della farsa tipica di quegli anni. Gli sceneggiatori e il regista sono quelli che diventeranno fra i protagonisti della grande commedia, così come il suo attore principale che dà prova delle sue stratosferiche capacità recitative.

L’Italia si sta rialzando dopo l’immane tragedia della Seconda Guerra Mondiale, e se ancora non è arrivato il Boom, sta tornando la voglia di ridere, soprattutto di se stessi. E’ l’Italia delle piccole e “normali” famiglie, quelle che poi fanno la storia del Paese. E’ l’Italia delle maggiorate e delle Miss. Ed è l’Italia del Cav. Filippo Scaparro (altro che principe, l’Imperatore delle risate all’italiana Antonio De Curtis in arte Totò) che è vittima della moglie (una straordinaria come sempre Ave Ninchi) e della figlia (la maggiorata Giovanna Pala) intenta a fidanzarsi col promettente medico Paolo Desideri (un sempre eccezionale Peppino De Filippo).

Ed è l’Italia delle donne, che solo qualche anno prima hanno ottenuto il diritto al voto, e proprio sul rapporto fra i due sessi gira il motore del film. Ma la visione delle donne non è falsamente perbenista e soprattutto maschilista come nella stragrande maggioranza dei film contemporanei (in una sequenza, non a caso, sono prese in giro le pellicole “strappalacrime” e al tempo stesso “morbose” il cui protagonista principale era quasi sempre Amedeo Nazzari).

Infatti, la visione intollerante e misogina del Cav. Scaparro – che in soffitta ha un altarino con tanto di cero dedicato a Landru – alla fine naufraga contro il profondo amore che nutre per la moglie e dalla quale è ricambiato. La lite fra i due, che provoca una temporanea separazione, anche se con toni da commedia, è fra le prime del cinema italiano in cui si da voce alle donne, alle loro insoddisfazioni e alle loro difficoltà quotidiane (Ava Gardner vs Gregorio Pecco…).

Anche la scena in cui Scaparro, senza moglie e figlia che sono in vacanza, tenta di passare una serata con una donnina allegra (così come si chiamavo in maniera ipocrita allora le prostitute) il Cav. incontra Ginetta (Lea Padovani) che lo rende, suo malgrado, partecipe di tutti i suoi guai.

Insomma, in questa memorabile pellicola le donne sono reali, possiedono un’anima e una parola, e non sono più banalmente innocenti, colpevoli, caste o peccatrici. Sono donne.

Peter Falk

Il 16 settembre del 1927 nasce a New York Peter Michael Falk in una famiglia ebraica di origini polacche, russe, ungheresi e ceche. A tre anni, a causa di una grave patologia oculare, il piccolo Peter subisce l’asportazione dell’occhio destro. L’evento cambia per sempre i suoi connotati e sembra stridere con la futura carriera d’attore. Ma proprio quello strano e particolare sguardo diventerà il suo tratto distintivo.

Gli inizi però non sono semplici. Durante un casting, per esempio, il fondatore della Columbia Pictures Harry Cohn lo boccia dicendo una frase che lo stesso Falk ricorderà spesso: “Con gli stessi soldi posso avere un attore con due occhi”.

Ad accorgersi delle possibilità recitative di Falk non è il cinema ma la televisione. L’attore newyorkese, infatti, approda alla fine degli anni Cinquanta in alcune delle serie tv che di fatto faranno la storia della fiction americana come “Alfred Hitchcock presenta” e “Ai confini della realtà”.

Grazie all’esperienza acquisita e alla sua bravura nel 1961 Frank Capra lo sceglie per il suo “Angeli con la pistola”, nel ruolo secondario di Carmelo. Così, nonostante le origini mitteleuropee, Peter Falk diventa famoso al grande pubblico come il classico immigrato italiano di “Broccolino”.

Seguono numerosi ruoli secondari nei panni di personaggi sulla linea di Carmelo in film come “Questo pazzo, pazzo, pazzo, pazzo mondo” di Stanley Kramer (1963) o “La grande corsa” di Blake Edwards (1965).  

Ma è nuovamente il piccolo schermo a dare a Falk l’occasione giusta, quella per diventare finalmente protagonista assoluto. Nel 1968 gira il pilota della serie poliziesca “Columbo” (che da noi diventa “Colombo”) in cui interpreta un tenente italoamericano (…sob!) della squadra omicidi del LAPD, dall’incredibile intelligenza deduttiva nonostante l’aspetto trasandato e distratto.

Nel 1971, dopo un secondo pilota, viene prodotta definitivamente la prima serie, e a dirigere il primo episodio viene chiamato un giovanissimo e sconosciuto Steven Spielberg. Il successo è clamoroso, tanto da portare la produzione a realizzare sette stagioni consecutive, quattro film direttamente per il grande schermo e uno spin-off dal titolo “Mrs. Columbo” dedicato alle (improbabili…) imprese investigative della “fantomatica” moglie del tenente.

Sul set della serie Falk ha modo di conoscere John Cassavetes (omicida nella puntata “Concerto con delitto”) maestro del cinema indipendente americano che per produrre i suoi film recita (è il protagonista, per esempio, del mitico “Contratto per uccidere” del maestro Don Siegel). Falk così partecipa a ottime pellicole come “Mariti”, “Una moglie” e “La sera della prima” tutte dirette dall’amico Cassavetes.

Il successo televisivo permette a Falk di scegliere i ruoli per il grande schermo e lui, da grande attore, passa con bravura da quelli più drammatici dei film di Cassavetes a quelli tipici della commedia come in “Invito a cena con delitto” (1976) di Robert Moore, “Mikey e Nicky” (1976) della grande Elaine May , “Una strana coppia di suoceri” (1979) di Arthur Hiller o quello del vecchio manager nel bellissimo “California Dolls” (1981) di Robert Aldrich. Ma Falk si cimenta anche nel poliziesco con l’avvincente “Pollice da scasso” (1978) di William Friedkin.

Nel 1987 Wim Wenders lo vuole nel suo sublime “Il cielo sopra Berlino” e nel sequel “Così lontano, così vicino” del 1993. Sempre nel 1987 Falk partecipa a un fantasy che all’uscita nelle sale non ottiene un particolare riscontro ma che oggi è diventato un vero e proprio cult: “La storia fantastica” diretto da Rob Reiner.

Nel 1996 è accanto a Woody Allen nel film per la tv “I ragazzi irresistibili”, nuovo adattamento della famosa commedia di Neil Simon, diretto da John Erman.

Nel frattempo, dal 1989, Falk è tornato a vestire i panni del tenente Colombo nelle nuove stagioni che riscuotono sempre un buon successo di pubblico. Nel 2003 le avventure di Colombo si chiudono definitivamente e l’attore dirada i suoi impegni lavorativi a causa di ricorrenti amnesie.

Nel 2008 gli viene diagnosticato definitivamente il morbo di Alzheimer, e l’attore si ritira nella sua villa di Beverly Hills. Purtroppo le sue ultime immagini pubbliche vengono catturate da alcuni fotografi mentre è in strada smarrito, prigioniero e sfigurato dalla malattia degenerativa. Peter Falk muore poco dopo, il 23 giungo del 2011.

Chiamarlo caratterista è davvero troppo riduttivo, visto che è stato uno dei volti più noti del cinema e della televisione del Novecento. Se è vero che Falk deve molto al piccolo schermo, è vero anche che la sua bravura e la sua classe hanno contribuito a nobilitare la fiction televisiva.

Infine, è giusto ricordare Giampiero Albertini, indimenticabile voce italiana di Falk e del tenente Colombo fino al 1991.  

“Turista per caso” di Lawrence Kasdan

(USA, 1988)

Del libro stupendo “Turista per caso” di Anne Tyler ne ho già parlato, e allora passiamo alla sua versione cinematografica firmata da Lawrence Kasdan nel 1988.

E’ giusto ricordare che Kasdan è uno dei più importanti cineasti di Hollywood, non a caso fu chiamato nel 1978 da George Lucas per scrivere la sceneggiatura – basandosi sul lavoro già fatto da Leigh Brackett – per un film pilastro della storia del cinema come “Guerre Stellari – L’impero colpisce ancora”, e sempre con Lucas ha collaborato agli script de “I predatori dell’Arca perduta” e “Il ritorno dello Jedi”.

E solo un grande sceneggiatore come lui poteva portare felicemente sullo schermo un libro così bello e intimo come quello della Tyler.  

Macom Leary (un bravissimo William Hurt) di mestiere scrive guide turistiche per tutti coloro che sono costretti a viaggiare per lavoro, loro malgrado. Il simbolo dei suoi libri è una poltrona con le ali, è così che Julian (Bill Pullman) il suo editore le pubblicizza: per chi è costretto a viaggiare ma sogna di restare sempre seduto nella sua poltrona in salotto. Conosce sua moglie Sarah (Kathleen Turner) da oltre vent’anni, e le loro vite procedevano con perfetta calma e regolarità fino all’estate passata, quando Ethan, il loro unico figlio dodicenne, è stato assassinato in un fastfood durante una “banale” rapina.

L’ingranaggio alla base dell’esistenza di Macom si incrina e la successiva decisione di Sarah di lasciarlo lo rompe del tutto. A salvarlo ci pensa Edward, il cane di Ethan che adesso vive con lui, e che a causa della perdita del suo giovane padrone è diventato particolarmente aggressivo e mordendo tutti. Proprio per Edward, Macon incontra Muriel (Geena Davis) una giovane e stravagante addestratrice di cani…     

Scritto dallo stesso Kasdan assieme a Frank Galati, “Turista per caso” riceve quattro nomination agli Oscar: miglior film, migliore sceneggiatura non originale, miglior colonna sonora e miglior attrice non protagonista (la Davis), poi unica statuetta vinta.

Fra i migliori adattamenti cinematografici di sempre.

“Certain Women”” di Kelly Reichardt

(USA, 2016)

Tratta dai racconti “Both Ways Is the Only Way I Want It” di Maile Meloy – giovane scrittrice americana e collaboratrice del “New Yorker” – questa delicata e intimistica pellicola è stata scritta da Anish Savjani, Neil Kopp, Vincent Savino e Kelly Reichardt che lo ha diretto e montato.

Le vite di quattro donne si sfiorano quasi casualmente a Livingston, cittadina del Montana, che con i suoi quasi 1.400 metri di altitudine vive di un clima rigido e severo.

Laura Wells (Laura Dern) è un avvocato capace e preparato, ma ogni giorno deve fare i conti con il maschilismo – più o meno velato – della società in cui vive. Come quello del suo cliente Fuller (un bravissimo Jared Harris), ottimo manovale che da otto mesi tenta di fare causa alla sua ex ditta, lavorando per la quale ha subito un grave incidente. Ma Fuller, avendo accettato la prima offerta d’indennizzo, ormai non ha più voce in capitolo, e si convince della verità solo quanto la Wells lo porta a un incontro con un avvocato, uomo.

Laura è ufficialmente una donna single, ma in realtà ha una relazione clandestina con Ryan Lewis (James LeGros) marito di Gina (Michelle Williams). Fra i coniugi Lewis le cose non sembrano andare bene, sia per il rapporto conflittuale che lei ha con la loro unica figlia adolescente, sia per la profonda insoddisfazione che Gina ha verso la sua vita domestica. L’unica cosa che la rende felice è la nuova casa che il marito le sta costruendo fuori Livingston. Proprio per realizzare una grande parete del salone, Gina vuole delle antiche pietre arenarie che una volta facevano parte della prima scuola costruita dai coloni a Linvingston, e ora sono abbandonate nel giardino di un anziano solitario.

Beth Travis (Kristen Stewart) è una giovane praticante che sogna di emanciparsi diventando avvocato. Sua madre e sua sorella nella vita hanno fatto, e fanno, sempre e solo le commesse, e lei da sempre è stata disposta a tutto pur di non seguire le loro orme. Accetta così di tenere dei corsi serali in leggi scolastiche presso la scuola di una piccola località ad oltre quattro ore di macchina da Livingston. Ad una lezione incontra casualmente Jamie, che gestisce da sola un ranch nei dintorni del piccolo paese...

Bella pellicola, con immagini e paesaggi alla Wenders, che ci racconta come a volte, quando si sente troppo freddo, può non dipendere dal clima.  

“Signore & signori” di Pietro Germi

(Italia, 1965)

Ci sono pellicole, come attrici e attori, indimenticabili. Così come il film “Signore & signori” diretto da Pietro Germi nel 1965, e Gastone Moschin che è uno dei suoi protagonisti.

Scritto – non senza problemi – dallo stesso Germi insieme ad alcuni fra i più grandi sceneggiatori del Novecento come  Ennio Flaiano, Luciano Vincenzoni (scrittore di fiducia di Sergio Leone), Age e Furio Scarpelli, “Signore & signori” è una fotografia ironica e spietata della nostra società in pieno Boom.

Nel film si intrecciano le bugie, i tradimenti e le feroci ipocrisie di un gruppo di ricchi commercianti e liberi professionisti di una cittadina del Nord Est. In un’Italia schiacciata dal senso cattolico distorto e bigotto, ma soprattutto dal suo perbenismo, l’importante non è comportarsi secondo i suoi dettami, ma: “Che resti fra noi…” frase simbolica del film.

Fra le vicissitudini raccontate spicca quella del ragionier Osvaldo Bisigato (uno stratosferico Gastone Moschin) che si innamora della giovane Milena Ziulian (una davvero splendente Virna Lisi dall’insolita chioma nera), cassiera di uno degli esercizi più noti della cittadina. Nessuno sembra sconvolgersi più di tanto per la liaison clandestina, neanche Gilda Bisigato (Nora Ricci) moglie legittima del ragioniere. Le cose cambiano però quando l’innamorato Bisigato decide di fuggire con Milena: l’intera cittadina si oppone fermamente all’”ufficializzazione” della tresca, che viene drasticamente condannata e interrotta.

Oggi la nostra società non sta vivendo un periodo economicamente paragonabile al Boom di quei tempi (e se qualcuno lo sta vivendo è sempre la solita piccola parte, la stragrande maggioranza dei cittadini italiani, invece, deve barcamenarsi per arrivare a fine mese) ma l’ipocrisia di un perbenismo figlio di alcuni principi cattolici distorti c’è sempre. Basta sbirciare i social per vedere immagini o le migliaia di frasi, “sagaci e filosofiche perle di vita”, che vengono condivise ogni giorno ma che poi stridono non poco con la vita quotidiana che si consuma dentro i nostri confini nazionali.

Sono passati più di cinquant’anni dall’uscita di questo film, e ogni suo singolo fotogramma è ancora vivo, graffiante e attuale. Un capolavoro insomma.      

Fra i numerosi premi, il “Signore & signori” vince il Grand Prix al Festival di Cannes.