“Ditegli sempre di sì” di Eduardo De Filippo

(Italia, 2022)

Nel 1927 Eduardo De Filippo scrive per il fratellastro Vincenzo Scarpetta la farsa “Chill’è pazzo!” che verrà messa in scena per la prima volta il 7 aprile del 1928 al Teatro Manzoni di Roma. Eduardo prende spunto da “O miedeco d’e pazze” (“Il medico dei pazzi”) farsa di grande successo scritta dal padre Eduardo Scarpetta nel 1908.

Ma Eduardo De Filippo sviluppa il tema “chi è pazzo e chi è normale?” e grazie all’influenza di Luigi Pirandello – drammaturgo tanto amato da De Filippo e con cui le stesso Eduardo assieme ai fratelli Titina e Peppino collaborò sul palcoscenico – va oltre la semplice farsa, e crea una commedia tragicomica, che domanda al pubblico, senza false ipocrisie: chi è sicuro di sapere con certezza che cos’è la pazzia e che cos’è la normalità?

Nel 1932 la compagnia del Teatro Umoristico De Filippo, composta dai tre fratelli ormai affrancatisi da Vincenzo Scarpetta, la ripropone col titolo “Ditegli sempre di sì” con la regia della stesso Eduardo che interpreta il protagonista Michele Murri, e alleggerisce il testo dei numerosi intrecci tipici della farsa eliminando anche alcuni personaggi secondari, centrando l’opera sulla dicotomia normalità/pazzia.

Nel 1982, alla Biennale di Venezia, Eduardo porta in scena una nuova importante edizione – dopo quella del 1962 ripresa dalla Rai – dove però cura solo la regia, a interpretare Michele Murri è suo figlio Luca De Filippo che purtroppo scompare prematuramente nel 2015. A possedere oggi i diritti del teatro di Eduardo è Carolina Rosi, ultima compagna di vita di Luca De Filippo, che nel 2019 decide di riportarla in scena impersonando Teresa Lo Giudice, sorella di Michele Murri. La regia è curata da Roberto Andò che rimane abbastanza fedele a quella di Eduardo.

Sulle note travolgenti de “La forza del destino” di Giuseppe Verdi entriamo in casa di Teresa Lo Giudice dove torna, dopo un anno passato in manicomio a causa di un grave esaurimento nervoso, il fratello Michele Murri (Tony Laudadio). Teresa ha nascosto a tutti il ricovero forzato del fratello che ha fatto passare per un non ben dettagliato viaggio all’estero di lavoro.

Secondo Teresa, il definitivo recupero di Michele non può che passare per un matrimonio combinato, e nello specifico con Evelina (Federica Altamura) figlia del suo vicino nonché padrone di casa Giovanni Altamura (Antonio D’Avino). Ma a complicare la situazione, oltre all’instabilità di Michele, c’è anche Luigi Strada (Andrea Cioffi) lo squattrinato e sfaccendato inquilino di Teresa che è costretto a lasciare la sua camera a Michele, ed è innamorato di Evelina ma inviso al padre Giovanni…

Grazie a tutto il cast e soprattutto alle interpretazioni di Tony Laudadio e Andrea Cioffi, nonché alla regia di Andò, riviviamo con piacere e gusto una delle prime commedie del maestro Eduardo. Sono passati quasi cento anni dalla sua stesura, ma l’opera del grande drammaturgo napoletano graffia e fa riflettere come se fosse stata scritta ieri. L’ennesima dimostrazione, se ce ne fosse bisogno, del genio assoluto e immortale di Eduardo.

Così come deve fare il teatro vero e sincero, questa commedia ci fa riflettere anche nello specifico sulla cura e la gestione delle persone con gravi problemi mentali. Purtroppo la Legge “Basaglia” del 1978, in quest’ultimo periodo, sta pericolosamente “passando di moda” visto che dopo lo scoppio della pandemia di Covid-19 sono sempre di più quelli che vorrebbero una Sanità puntata esclusivamente al profitto.

Eduardo: …quanto ci manchi!

“Misera e nobiltà” di Eduardo Scarpetta

(Italia, 2009)

La notte di Natale del 1888 andava in scena al Teatro del Fondo, a Napoli, la prima della commedia “Miseria e nobiltà” scritta, diretta e interpretata da Eduardo Scarpetta. Il successo fu subito immediato tanto da diventare l’opera e l’interpretazione più famosa del suo autore. Autore che aveva scritto il testo creando il personaggio del piccolo Peppeniello per “battezzare” sul palcoscenico il suo secondogenito Vincenzo, destinato a diventare il suo erede artistico ufficiale.

Ma il tema dello scontro fra la miseria e la nobiltà, fra la fame e l’opulenza rende la commedia inossidabile e immortale così da essere rappresentata nel corso del tempo quasi senza sosta diretta e interpretata da grandi artisti come, ad esempio, Raffaele Viviani . Nel ruolo di Peppeniello così vengono battezzati tutti gli eredi dello stesso autore come accadrà qualche decennio dopo allo stesso Eduardo De Filippo e a suo fratello Peppino.

A partire dalla notte di Natale del 1931, quando va in scena la prima assoluta di “Natale in casa Cupiello” sarà definitivamente Eduardo ad essere considerato il suo vero erede artistico tanto da creare, qualche anno dopo, la compagnia stabile “La Scarpettiana” che rappresenterà molte delle opere del padre.

Nel 1953, per il centenario della nascita di Scarpetta, Eduardo riporta in teatro “Miseria e nobiltà”, e le celebrazioni approdano anche al cinema dove Mario Mattoli dirige gli irresistibili adattamenti “Un turco napoletano” e la stesso “Miseria e nobiltà” dove a interpretare il protagonista Felice Sciosciammocca c’è uno stratosferico Totò.

Ma in Italia è appena sbarcato un nuovo mezzo di comunicazione di massa che molti snobbano o guardano addirittura con disprezzo, ignorando completamente il suo vero potenziale e la sua ricaduta sociale e culturale: la televisione. Eduardo De Filippo, invece, da genio indiscusso quale era, intuisce subito la grande rivoluzione che quell’ingombrante e rumorosa scatola rappresenta e così, come il suo fratellastro Vincenzo Scarpetta che fu uno dei pionieri del cinema italiano degli inizi del Novecento, gli si avvicina curioso e ricco di aspettative.

Così, la sera del 30 dicembre 1955 dal Teatro Odeon di Milano, mette in scena in diretta per la Rai Radiotelevisione Italiana “Miseria e nobiltà”. Inizia così un connubio con la nostra televisione di Stato che di fatto durerà circa trent’anni e grazie al quale le generazioni future possono godere della sua immensa arte, non solo leggendola, ma assaporandola interpretata da lui stesso.

La diretta rappresenta anche il debutto ufficiale di suo figlio Luca che, naturalmente, veste i panni di Peppeniello. Nel cast ci sono anche Dolores Palumbo, che con Eduardo aveva esordito agli inizi degli anni Trenta, Ugo D’Alessio attore stabile nella compagnia De Filippo – nonché grande caratterista al cinema dove, per esempio, interpreta magistralmente l’italo-americano arricchito Decio Cavallo al quale Totò “vende” la Fontana di Trevi in “Totòtruffa ’62” e sarà sempre lui a dare il volto a Mastro Ciliegia nello splendido “Le avventure di Pinocchio” diretto, sempre per la RAI, da Luigi Comencini nel 1972 – e Isa Danieli nel ruolo di Gemma.

L’adattamento di Eduardo smorza i toni della farsa e li avvicina a quelli del suo teatro che provoca, più che sghignazzi, risate tristi e amare, proprio sulla scia delle opere di Luigi Pirandello, col quale lui stesso collaborò. E così De Filippo amplia il monologo dedicato alla miseria, sognando – lui, lo squattrinato Felice Sciosciammocca che non riesce a sfamare nemmeno suo figlio – un mondo senza poveri perché la povertà: “…fa schifo!”.

Immortale e preziosissimo documento storico e sociale che ci ricorda l’arte immensa del grande Eduardo De Filippo così come quella irresistibile di suo padre Eduardo Scarpetta.

“I fratelli De Filippo” di Sergio Rubini

(Italia, 2021)

Eduardo De Filippo è il nostro secondo drammaturgo più tradotto e rappresentato al mondo, dopo Luigi Pirandello e prima del Nobel Dario Fo.

Sulle sue opere immortali e “drammaticamente” sempre attuali sono stati scritti numerosi libri e saggi, ma soprattutto le possiamo rivedere e apprezzare tutte le volte che vogliamo visto che lui fu il primo grande autore che comprese l’importanza della televisione sin dai suoi albori, mettendo in scena appositamente per la neonata RAI Radiotelevisione Italiana la commedia “Miseria e nobiltà” proprio per festeggiare i cento anni dalla nascita di Eduardo Scarpetta e poi, nel corso degli anni, registrò quasi tutte le sue opere grazie anche alla collaborazione dell’allora delegato RAI Andrea Camilleri.

Ma sulla sua dura infanzia e sui suoi inizi artistici non sono molte le opere, a parte questo film scritto dallo stesso Rubini assieme a Carla Cavalluzzi (che con Rubini ha scritto “Dobbiamo Parlare”) e Angelo Pasquini, che ci racconta la storia dei tre fratelli De Filippo dal momento della loro unione alla prima assoluta della splendida “Natale in Casa Cupiello” avvenuta proprio la sera del Natale del 1931 a Napoli.

Alla soglia del secondo decennio del secolo scorso il piccolo Peppino De Filippo viene portato dalla balia, con la quale è cresciuto, a casa di sua madre Luisa De Filippo (Susy Del Giudice) dove incontra per la prima volta i suoi fratelli maggiori Titina e Eduardo. I bambini e la loro mamma vivono mantenuti dallo “zio” Eduardo Scarpetta (Giancarlo Giannini), il più famoso autore e attore teatrale napoletano del momento.

Anche se durante le festività comandate i tre, assieme alla madre, possono sedersi al tavolo degli Scarpetta, nessuno – compreso lo stesso grande attore – si astiene dal ricordare loro di essere degli estranei di rango “inferiore” appena tollerati.

Quando i piccoli fratelli scopriranno loro malgrado che lo “zio” è in realtà il loro padre naturale la
situazione non cambierà affatto. Se il grande attore non dona loro il suo cognome, passa però ai tre piccoli l’amore e l’arte per il teatro facendoli recitare accanto a lui sul palcoscenico da subito. Ma il nome della compagnia è Scarpetta e col passare degli anni a prenderne le redini è Vincenzo (Biagio Izzo) erede ufficiale di Eduardo, che lo sostituisce quando questo si ritira definitivamente dalle scene.

La parte dell’attor giovane viene quindi affidata a Eduardo De Filippo (Mario Autore) che brilla subito quasi come il padre, cosa che suscita non poche indivie in suo fratello Peppino (Domenico Pinelli) come nel suo fratellastro Vincenzo. Ma Eduardo sente di dovere andare oltre la classica farsa, tipica del teatro leggero dell’Ottocento e di cui suo padre era maestro, soprattutto dopo aver visto “Sei personaggi in cerca d’autore” di Luigi Pirandello.

Così accetta un ingaggio a Milano nel teatro classico, cosa che di fatto apre la porta a Peppino che lo sostituisce nella compagna Scarpetta. Ma l’ambiente e il teatro nel capoluogo lombardo non sono adatti al giovane napoletano che si sente un pesce fuor d’acqua e così, cospargendosi il capo di cenere, chiede al fratellastro di tornare a lavorare nella compagnia di famiglia anche solo come autore. Vincenzo lo accetta a braccia aperte, conoscendo bene il suo talento, ma non gli risparmia umiliazioni e vessazioni pubbliche.

E proprio dopo una di queste, assieme a Peppino, alla sorella Titina (Anna Ferraioli Ravel) e a suo marito Pietro Carloni (Francesco Maccarinelli) decide di fondare la compagnia del “Teatro Umoristico i De Filippo” usando quel cognome da sempre schiacciato e umiliato da quello degli Scarpetta…

Sfiziosa pellicola sulla vita di alcune delle figure più rilevanti del nostro Novecento troppo spesso, tranne naturalmente lo stesso Eduardo, associate solo all’ambito comico come Titina e soprattutto Peppino che forse sul palcoscenico sapeva fare ridere ancora di più del fratello. La colonna sonora è firmata da Nicola Piovani per la quale il musicista ha vinto il David di Donatello.

“Il cattivo poeta” di Gianluca Jodice

(Italia/Francia, 2021)

Personalmente non ho mai avuto una grande empatia con Gabriele D’Annunzio, non tanto per le sue opere, alcune delle quali indiscutibilmente immortali, ma per il suo modo d’essere e per il fatto – per me imperdonabile – di aver querelato Eduardo Scarpetta per una sua parodia de “La figlia di Iorio”, scandalo e causa legale che alla fine fecero smettere allo stesso Scarpetta di scrivere per il teatro.

Ma se all’inizio D’Annunzio fu un esempio per Benito Mussolini, già a metà degli anni Trenta era diventato un vero e proprio problema. Perché il poeta, che aveva guardato con passione ed entusiasmo Mussolini Presidente del Consiglio, col passare degli anni e con la gestione mediocre e miope del potere (per non parlare dell’uso vile e feroce della violenza) diventa il primo e inesorabile critico del Duce. E la sua voce di Vate è davvero difficile da contenere o zittire.

Siamo nel 1936 e ormai da molti anni D’Annunzio (uno straordinario Sergio Castellitto) è rinchiuso nel suo Vittoriale sul Lago di Garda. Mussolini lo paragona a un dente marcio: “…O lo si ricopre d’oro …o lo si estirpa” dice ai suoi fedelissimi.

Il baratro della Seconda Guerra Mondiale si sta materializzando all’orizzonte e Hitler stringe per portare definitivamente Mussolini nella sua sfera di potere, nonostante confidi ai suoi collaboratori, riferendosi a noi italiani: “…Questa feccia ci tradirà”.

D’Annunzio, nonostante l’isolamento, la cocaina e le donne che a fiumi arrivano nel suo Vittoriale, ha intuito cosa vuole dire un’alleanza con Berlino, per Mussolini e soprattutto per gli italiani.

Così il Ministro Achille Starace invia il giovane e promettente Federale di Brescia Giovanni Comini (Francesco Patané) a sorvegliare e contenere il Vate, per impedirgli di esternare i suoi dubbi sull’Asse di Ferro senza al tempo stesso: “…farlo incazzare”.

L’incontro e la frequentazione con D’Annunzio apriranno gli occhi all’ingenuo Comini su Mussolini e sul Fascismo, soprattutto sui suoi metodi – fin troppo spesso violenti e sanguinari – che subdolamente si infilano nei rapporti personali sia coi propri familiari che con le persone che si frequentano.

Il giovane Federale Comini ricorda in questo quel Primo Arcovazzi, magistralmente interpretato da Ugo Tognazzi ne “Il Federale” di Luciano Salce, che suo malgrado si ritrova complice e al tempo stesso disilluso da un sistema fatto per lo più di gretta prepotenza e vile arroganza. Prepotenza e arroganza che molti vogliono far passare tragicamente per grandezza.

Nonostante le aggressive divise nere, con stemmi e teschi che richiamano quelle delle SS, gli alti gerarchi fascisti, a partire da Mussolini, temono più di ogni altra cosa un uomo dal pensiero libero che può far cadere il velo che nasconde un potere ormai corrotto e burattino nelle mani di un folle sanguinario.

Se D’Annunzio non riuscirà a farlo, e sulla sua morte cade l’ombra addirittura di Hitler che pochi giorni dopo annetterà alla Germania l’Austria, sarà la Seconda Guerra Mondiale a squarciare il velo e mostrare la cruda e amarissima verità.

Se qualcuno ancora dice che però i treni allora arrivavano in orario, magari può vedersi questo bel film…

“Un turco napoletano” di Mario Mattoli

(Italia, 1953)

Questo memorabile adattamento cinematografico tratto dalla farsa “Nu turco napulitano” di Eduardo Scarpetta, viene prodotto e realizzato nell’ambito delle celebrazioni per il centenario della nascita dello stesso Scarpetta (classe 1853, appunto).

Sempre nello stesso ambito, per fare un esempio, la neonata Televisione Italiana trasmise la sua prima commedia: “Miseria e nobiltà” interpretata e diretta da Eduardo De Filippo.

Ma tornando a questa pellicola, firmata dal maestro Mario Mattoli (oggi fin troppo dimenticato!), il principe Antonio De Curtis in arte Totò ci regala una delle sue più esilaranti interpretazioni, la più vicina possibile a quella originale dello stesso Scarpetta, le cui uniche tracce – oltre a poche immagini che ci mostrano l’incredibile somiglianza che aveva con suo figlio Peppino De Filippo – sono nelle testimonianze del tempo che ce lo dipingono ineguagliabile come carisma, ironia e rapidità di battuta.

Ormai siamo più vicini al bicentenario della sua nascita, ma l’ironia di Scarpetta è più viva e ficcante che mai, per non parlare dell’arte di Totò… “Allora siamo d’accordo: cento lire al mese, alloggio, vitto, lavatura, imbiancatura e …stiratura!”

“Miseria e nobiltà” di Mario Mattoli

(Italia, 1954)

L’8 aprile del 1954 usciva nelle sale italiane “Miseria e nobiltà” diretto dal maestro Mario Mattoli.

A vestire i panni di Felice Sciosciammocca è l’inarrivabile principe Totò, che rende immortale la già irresistibile pièce di Eduardo Scarpetta.

Dagli spaghetti infilati nelle tasche, alla dettatura della lettera con “Stocio”, passando per “…certi check così!” a “Vincenzo m’è padre…” ogni scena è un equilibrio perfetto di gag e battute, molto spesso col doppio o il triplo senso; e alle fine ogni personaggio e ogni evento si incastra al millimetro con gli altri.

Fra i grandi meriti di questa pellicola, come di tutte quelle nate sulla scia dei festeggiamenti per il primo centenario della nascita di Eduardo Scarpetta, c’è quello di aver reso fruibile ai posteri l’arte della grande commedia scarpettiana interpretata da chi Scarpetta lo ha conosciuto e visto in teatro dal vivo.

Immortale.