“Ai confini della realtà” di Rod Serling

(USA, 1959-1964)

Rod Serling (1924-1975) è stata una delle figure più rilevanti del cinema e soprattutto della televisione americana del secondo Novecento. Anche se è stato l’autore di sceneggiature di film come “I giganti uccidono” o “Una faccia piena di pugni” (pellicola che ha segnato il cinema e la cultura degli Stati Uniti, tanto da influenzare lo stesso Sylvester Stallone per la stesura dello script di “Rocky” e Quentin Tarantino per quella di “Pulp Fiction”, solo per citarne due) il suo nome sarà per sempre legato alla serie televisiva antologica “Ai confini della realtà” che creò nel 1959 e che venne trasmessa dalla CBS fino al 1964.

Il 24 novembre del 1958 va in onda, per la serie antologica “Westinghouse Desilu Playhouse” l’episodio “L’elemento tempo” scritto da Rod Serling e diretto da Allen Reisner, in cui il protagonista è Pete Jansen (William Bendix), un uomo che rivela al suo medico il dottor Gillespie (Martin Balsam) che ogni notte rivive lo stesso sogno più che reale: essere a Honolulu le ventiquattro ore che precedono l’attacco di Pearl Harbour il 6 dicembre 1941. Il sogno si tramuta incredibilmente e inspiegabilmente in realtà…

Se gli spettatori di quegli anni sono avvezzi alla fantascienza, anche quella più semplice, nessuno invece ha mai visto niente di simile, un racconto fantastico più che fantascientifico, e al tempo stesso concreto e drammatico. Il successo è notevole tanto che la CBS decide di affidare al suo autore il compito di creare e seguire una vera e propria serie antologica con gli stessi toni e argomenti.

Il titolo Serling lo prende dal gergo aeronautico degli anni Quaranta e Cinquanta in cui “twilight zone” si riferisce all’effetto visivo per il quale, in determinate condizioni, la linea dell’orizzonte scompare alla vista del pilota per alcuni instanti durante l’atterraggio. Una zona di luci e ombre in cui è facile perdere l’orientamento.

Per presentare ogni puntata, che ha sempre attori nuovi e una storia indipendente dalle altre, Serling vorrebbe Orson Welles ma il cachet è troppo alto per il budget fissato dalla produzione, interpella poi Richard Egan che però ha appena firmato un contratto esclusivo per un film. Così, per affrettare i tempi e limitare le spese, viene stabilito che sarà lui stesso il presentatore.

Il 2 ottobre del 1959 va in onda il primo episodio della prima stagione “La barriera della solitudine”, scritto naturalmente dallo stesso Serling. Inizia così un nuovo genere televisivo e un nuovo modo di raccontare i sogni e gli incubi della società americana, oppressa in quegli anni dalla guerra fredda. Ma Serling, in anni in cui gli Stati Uniti erano ancora fortemente razzisti, riesce a parlare di tolleranza, uguaglianza e rispetto con originalità e intelligenza, soprattutto alle nuove generazioni che il venerdì sera rimangono attaccate alla televisione per poco più di venti minuti, il tempo di ciascun episodio, senza avere neanche il coraggio di sbattere le palpebre.

L’impatto è enorme e incredibilmente duraturo, visto che ancora oggi, a distanza di sessant’anni, tutti – o quasi – gli episodi continuano ad avere il loro fascino e la loro potenza narrativa. Per quanto concerne i piccoli di allora, basta ricordare due dei tanti fan che hanno più di una volta dichiarato che senza questa serie la loro vita e la loro arte non sarebbero state le stesse: George Lucas e Steven Spielberg.

Tanto che lo stesso Spielberg produce e dirige uno dei tre episodi del film “Ai confini della realtà“, dedicato e ispirato proprio alla serie di Serling, che realizza assieme a John Landis, George Miller e Joe Dante nel 1983.

Sono moltissimi gli attori, ma anche i registi, che giovani e ancora sconosciuti girano uno o più episodi che andranno in onda dal 1959 al 1964. Nomi come Robert Redford, Sidney Pollack, Ida Lupino (che reciterà nell’episodio della prima stagione “Il sarcofago” e dirigerà l’episodio “Le maschere” della quinta stagione, fra le prime donne in assoluto ad esordire dietro una telecamera), Peter Falk, Charles Bronson, Lee Marvin (interprete dell’episodio “La tomba” della terza stagione, che come alcuni altri, col passare del tempo, è diventato una vera e propria leggenda metropolitana), Robert Duvall, Dennis Hooper, Martin Landau, Art Carney, Cloris Leachman, Ron Howard (nei panni di un bambino nell’episodio “La giostra” della prima stagione), Paul Mazursky, Burt Reynolds, Jack Warden, Burgess Meredith (che poi vestirà i panni del primo allenatore di Rocky Balboa, ma che interpreterà alcuni episodi fra cui lo strepitoso “Tempo di leggere” andato in onda nella prima stagione), Kevin McCarthy (protagonista del bellissimo “Lunga vita a Walter Jameson”, ancora oggi molto citato), William Shatner (interprete di due episodi fra cui il famosissimo “Incubo a 20.000 piedi” diretto da un giovane Richard Donner) James Coburn, Lee Van Cleef o Telly Savalas, solo per citare i più famosi.

Senza parlare delle attrici e degli attori che diventeranno famosi, negli anni successivi, soprattutto nel piccolo schermo come Agnes Moorehead (interprete del delizioso “Gli invasori” della seconda stagione), Bill Bixby, George Takei, Jack Klugman, Elizabeth Montgomery, Roddy McDowall (protagonista del caustico “Gente come noi”) Claude Atkins e Jack Weston (questi ultimi due interpreti del bellissimo “Mostri in Marple Street”, fra i più significati e antirazzisti della serie che si schiera, neanche troppo velatamente, contro la famigerata “caccia alle streghe” maccartista di quegli anni).

A scrivere gli episodi delle prime stagioni, oltre a Serling, ci sono Charles Beaumont e Richard Matheson (autore, nel 1954, del bellissimo romanzo di fantascienza “Io solo leggenda” da cui sono stati tratti vari adattamenti cinematografici tra i quali, da ricordare, “L’ultimo uomo sulla Terra” e “1975: occhi bianchi sul pianeta Terra”, nonché la lunga serie di lungometraggi che parte da “La notte dei morti viventi” diretto da George Romero nel 1968 e passa per “28 giorni dopo” diretto da Danny Boyle nel 2002). Visto il clamoroso successo della serie però, nel corso degli anni, Serling venne citato in numerosissime cause per presunto plagio, cosa che alla fine lo costrinse a cedere i diritti di “Ai confini della realtà” direttamente alla CBS.

Amareggiato, Rod Serling si dedicò a serie con i toni più marcati dell’orrore, fino al 28 giugno del 1975 quando, mentre stata tagliando l’erba del suo giardino, venne stroncato da un infarto a soli 50 anni. Certo, oggi è difficile non associare la sua improvvisa e fulminante morte alle sigarette che aveva sempre in mano, anche quando presentava gli episodi della sua serie più famosa e nella quale divenne anche il testimone di una nota fabbrica di tabacco, o nelle varie foto che lo ritraggono nella vita di tutti i giorni.

Se Serling ha conosciuto il successo e la stima dei suoi contemporanei, non ha potuto apprezzare quelli delle generazioni successive che ancora oggi amano profondamente la sua opera.

Vera pietra miliare della televisione e dell’immaginario collettivo del Novecento, “Ai confini della realtà” è una serie immortale e da vedere e rivedere ad intervalli regolari.

“Diritto di cronaca” di Sidney Pollack

(USA, 1981)

Prodotto e diretto dal maestro Sidney Pollack, e scritto da Kurt Luedtke (che poi collaborerà con Pollack in “La mia Africa”) “Diritto di cronaca” affronta un tema ancora oggi molto caldo: i “limiti” morali del giornalismo.

Il titolo originale “Absence Of Malice” (che si potrebbe tradurre: “In buona fede”) è certamente più indicativo di quello in italiano, che forse colpisce di più il nostro immaginario.

La decisa e rampante giornalista d’assalto Megan Carter (una sempre brava Sally Field) asseconda un pò troppo ingenuamente il procuratore distrettuale di Miami che, non avendo l’ombra di una prova, vuole mettere sotto pressione Michale Gallager (un sempre grande Paul Newman), che gestisce una piccola ditta di stoccaggio al porto.

Le attenzioni del procuratore non sono dovute alla sua attività, ma a suo padre che in vita era notoriamente legato alla criminalità organizzata. Nulla però accomuna ufficialmente le attività di Michael a quelle del padre, ma la “macchina del fango” e delle illazioni, grazie proprio a Megan, parte inesorabile.

Le conseguenze sono devastanti, tanto che la ditta di Gallager cade in una grave crisi, per non parlare poi della sua vita personale. Ma l’uomo non è tipo di arrendersi, e con lo stesso carattere con cui è riuscito a mantenersi a una certa distanza dalle criminali attività del padre, prede in mano la situazione…

Splendida prova d’attore di Newman e della Field, che ci regala sempre grandi ritratti di donne, nel bene e nel male.

Da vedere e far vedere, soprattutto nelle redazioni e nelle scuole di giornalismo.

“Un uomo a nudo” di Frank Perry e Sidney Pollack

(USA, 1968)

Non credo ci sia un altro personaggio cinematografico degli anni Sessanta che rappresenti meglio il declino e il fallimento del sogno americano, sbocciato durante il New Deal rooseveltiano, del Ned Merrill di questo bel film.

Tratto dal racconto “The Swimmer” di John Cheever, “Un uomo a nudo” si svolge durante una bella giornata estiva in una contea ricca e florida alle porte di New York. La zona è seminata di splendide ville, molte delle quali hanno una lussuosa piscina, nuovo status symbol dell’upper-class americana.

Proprio nei pressi di una di queste arriva, indossando solo un costume, Ned Merrill (un grande Burt Lancaster) apparentemente un uomo di successo e amato da tutti che, col permesso dei padroni di casa, si tuffa per fare un bagno. Una volta uscito Ned ha un’idea: attraversare la contea nuotando nella piscina di ogni villa che lo separa dalla sua ricca magione.

Ma in ogni piscina che attraversa Ned farà i conti con se stesso e il suo passato che drammaticamente lo hanno portato al fallimento lavorativo e umano.

Splendido e bravo come sempre Lancaster che recita con addosso solo un costume, e a 55 anni suonati mostra un fisico perfetto. La produzione fece rigirare a Sidney Pollack due scene, fra cui quella fondamentale dell’ultima piscina.

Davvero un grande Lancaster e davvero un gran bel film.