“L’ultima follia di Mel Brooks” di Mel Brooks

(USA, 1976)

La quinta pellicola diretta da Mel Brooks, dal titolo originale “Silent Movie”, non doveva avere neanche una colonna sonora. Solo la parola “No!” detta dal grande mimo francese Marcel Marceau avrebbe dovuto toccare le orecchie degli spettatori in sala durante la proiezione. Questo proprio per omaggiare i film muti dei primi decenni del Novecento dei quali erano maestri indiscussi Buster Keaton, Mack Sennett (il primo produttore e regista del maestro Charlie Chaplin e di molti altri pionieri della macchina da presa dell’epoca) e Hal Roach, scopritore e storico produttore, tanto per fare due nomi, di Stan Laurel e Oliver Hardy. 

Ma alla fine la 20th Century Fox, che già aveva forti perplessità sul realizzare in pieni anni Settanta un film muto per la grande distribuzione, si impose e Brooks dovette accettare la colonna sonora. Nonostante lo scetticismo il film fu un successo al botteghino ricordando – come fece “The Artist” di Hazanavicius quasi quarant’anni dopo – quanto il sonoro sia “solo” una parte del film, e che a volte può anche mancare ma non per questo la pellicola non esprima forti emozioni o faccia ridere a crepapelle nella grande tradizione della farsa che alla fine dell’Ottocento e agli inizi del Novecento dominava i teatri di tutto il mondo per poi approdare sul grande schermo, regalandoci dei veri e propri capolavori immortali che, anche a distanza di oltre un secolo, brillano e possiedono intatto tutto il loro fascino.

Ispirandosi alla reale scalata della Paramount Pictures da parte di una grande industria di estrazione, Brooks ci racconta la “redenzione” del regista Mel Spass (interpretato dallo stesso Brooks) caduto in disgrazia a causa del suo alcolismo che, assieme i suoi fedeli amici Bellocchio (Marty Feldman) e Trippa (Dom DeLuise) propone al capo della Big Picture Studios (Sid Caesar, noto comico e autore televisivo degli anni Cinquanta e Sessanta per il quale lo stesso Brooks, per un periodo anche assieme a Woody Allen, scrisse numerosi sketch televisivi) il suo nuovo progetto per un film muto.

Intanto, la famelica multinazionale “Trangugia & Di Vora” vuole rilevare la Big Pictures Studios e i suoi titolari Trangugia (Harold Gould) e Di Vora (Ron Carey) sono disposti a tutto pur di avere quello che vogliono. Così, quando vengono a sapere del progetto di Spass e del fatto che lui vuole scritturare divi del calibro di Paul Newman, Burt Reynolds, Anne Bancroft, Liza Minnelli e James Caan decidono di usare le maniere forti…

Spassosa pellicola scritta da Brooks assieme ai suoi collaboratori preferiti del periodo quali Ron Clark, Rudy De Luca e Barry Levinson, colma di gag e scene tipiche dei film basati sulla farsa e la comicità tipica del vaudeville. Spass, Trippa e Bellocchio nelle loro dinamiche richiamano, infatti, ai Tre Marmittoni, trio comico creato da Hal Roach e protagonista di numerosi film dell’epoca.  

Gioiellino delizioso dell’epoca d’oro di Brooks da tenere nella propria videoteca accanto a “Frankenstein Junior“, “Mezzogiorno e mezzo di fuoco” e “Alta tensione“.

“Diritto di cronaca” di Sidney Pollack

(USA, 1981)

Prodotto e diretto dal maestro Sidney Pollack, e scritto da Kurt Luedtke (che poi collaborerà con Pollack in “La mia Africa”) “Diritto di cronaca” affronta un tema ancora oggi molto caldo: i “limiti” morali del giornalismo.

Il titolo originale “Absence Of Malice” (che si potrebbe tradurre: “In buona fede”) è certamente più indicativo di quello in italiano, che forse colpisce di più il nostro immaginario.

La decisa e rampante giornalista d’assalto Megan Carter (una sempre brava Sally Field) asseconda un pò troppo ingenuamente il procuratore distrettuale di Miami che, non avendo l’ombra di una prova, vuole mettere sotto pressione Michale Gallager (un sempre grande Paul Newman), che gestisce una piccola ditta di stoccaggio al porto.

Le attenzioni del procuratore non sono dovute alla sua attività, ma a suo padre che in vita era notoriamente legato alla criminalità organizzata. Nulla però accomuna ufficialmente le attività di Michael a quelle del padre, ma la “macchina del fango” e delle illazioni, grazie proprio a Megan, parte inesorabile.

Le conseguenze sono devastanti, tanto che la ditta di Gallager cade in una grave crisi, per non parlare poi della sua vita personale. Ma l’uomo non è tipo di arrendersi, e con lo stesso carattere con cui è riuscito a mantenersi a una certa distanza dalle criminali attività del padre, prede in mano la situazione…

Splendida prova d’attore di Newman e della Field, che ci regala sempre grandi ritratti di donne, nel bene e nel male.

Da vedere e far vedere, soprattutto nelle redazioni e nelle scuole di giornalismo.

“La prima volta di Jennifer” di Paul Newman

(USA, 1968)

Cominciamo col titolo e la locandina che sembrano erroneamente quelli di uno dei filmetti osé fine anni Sessanta o Settanta. Il titolo originale è “Rachel, Rachel” ed è riferito alla protagonista del film che – non chiedetemi perché, giuro che non riesco davvero a immaginarmelo… – in italiano è diventata Jennifer.

La sceneggiatura è scritta da Stewart Stern – autore dello script di “Gioventù bruciata” – ed è tratta dal romanzo della canadese Margaret Laurence “A Jest of God”, che letteralmente sarebbe “Uno scherzo di Dio”. Il film è prodotto e diretto dal grande Paul Newman, che per la prima volta passa dietro la macchina da presa e dirige la compagna – e moglie per cinquant’anni – Joanne Woodward, già vincitrice del premio Oscar nel 1958 come protagonista de “La donna dai tre volti” di Nunnally Johnson

Jennifer Cameron (la Woodward) è una solitaria trantacinquenne che vive assieme alla madre, vedova e possessiva, in un’afosa cittadina del sud degli Stati Uniti. La vita della donna è scandita dalla prepotenza della madre, dal suo lavoro di insegnante e dai tristi ricordi della sua infanzia. Suo padre, infatti, era un imbalsamatore e proprietario di un’agenzia di pompe funebri, con il negozio proprio sotto casa. La morte e tutto ciò che essa comporta, quindi, ha accompagnato la prima parte della sua vita.

Nessun uomo le si è mai avvicinato e nessun uomo l’ha mai corteggiata. Fino a quando, dal passato, arriva Nick (James Olson) suo coetaneo e fratello gemello di un bambino deceduto molti anni prima…

Joanne Woodward ci regala una formidabile prova d’attrice, raccontandoci la storia di una donna sola e schiacciata dalla madre, dall’idea della morte e dal perbenismo di una società dove una donna oltre i trent’anni non sposata, non ha un vero ruolo o riconoscimento sociale.

L’indimenticabile Paul Newman dirige una pellicola indipendente che varca l’epoca in cui è stata girata e che anticipa coraggiosamente temi femminili che oggi sembrano più che scontati. Non a caso il film colleziona quattro nomination agli Oscar (fra cui miglior sceneggiatura non originale e miglior attrice protagonista) e vince due Golden Globe: miglior regia e migliore attrice drammatica.

E poi dite che Newman era solo bello…

“Mister Hula Hoop” di Joel e Ethan Coen

(USA, 1994)

Siamo entrati ufficialmente in clima natalizio, e così cominciamo a parlare di questo splendido film, scritto dai geniali fratelli Joel ed Ethan Coen assieme all’altro genio horror-splatter di Sam Raimi, che è uno dei migliori e più riusciti omaggi del cinema contemporaneo alle grandi sophisticated-comedy americane degli anni Quaranta, che spesso nel Natale trovavano il loro giusto climax.

L’ingenuo pennellone Norville Barnes (Tim Robbins) arriva nella grande metropoli con in tasca solo la sua idea – l’hula hoop, appunto – ma viene fagocitato dal lato oscuro delle industrie Hudsucker il cui fondatore, Waring Hudsucker (un indimenticabile Charles Durning), si getta inaspettatamente dall’attico del suo ufficio.

A prendere temporaneamente le fila della Hudsucker e quelle del destino di Barnes è così il perfido Sidney J. Mussburger (che ha il volto del grande Paul Newman) che però…

Nel cast da ricordare anche Jennifer Jason Leigh.

Da godere fino all’ultimo fotogramma, fra i migliori dieci film da vedere a Natale, e non solo.