“Oldboy” di Park Chan-Wook

(Corea del Sud, 2003)

Questo è film davvero tosto, claustrofobico e crudo, ma allo stesso tempo affascinante e spettacolare.

L’impiegato Oh Dae-su, una sera, uscito dal lavoro e subito dopo aver telefonato alla moglie e alla piccola figlia che lo aspettano a casa, viene rapito.

Passerà quindici anni chiuso in una stanza senza finestre, con solo un televisore come passatempo.

Inutilmente implora i suoi aguzzini di spiegarli il motivo della sua prigionia, ma nessuno gli rivolgerà mai la parola, fino a quando, abbrutito e stravolto, riesce a liberarsi…

Preparatevi al peggio, in questo film non si scherza! Ma vi assicuro che sono 120 minuti ben spesi!

Premiato a Cannes 2004 con il Gran Premio della Giuria, rivedendolo è impossibile non cogliere i numerosi riferimenti (visivi e narrativi) al grande e immortale Sergio Leone, che in tutto il mondo è ancora giustamente idolatrato, ed esclusione – ovviamente… – del suo Paese natale, che lo ricorda troppo spesso solo come un comune artigiano cinematografico.

Nel 2013 Spike Lee gira il remake made in USA con protagonista Josh Brolin, sfizioso ma niente a che vedere con l’originale.

“Lanterne rosse” di Zhang Yimou

(Rep. P. Cina/Hong Kong/Taiwan, 1991)

Questo bellissimo e drammatico film consacra definitivamente, a livello internazionale, sia il regista Zhang Yimou che tutta la cinematografia del lontano oriente (termine che mi manda in sollucchero).

La storia della giovane Songlian (una bellissima quanto brava Gong Li) è il simbolo doloroso della condizione della donna nella Cina degli anni Venti, e non solo.

La ragazza ha la “sfortuna” di aver avuto un padre che l’ha mandata all’università emancipandola, ma alla sua morte la matrigna la costringe a un matrimonio combinato con un uomo ricco che ha già altre tre mogli.

E’ lì che le famigerate lanterne rosse avranno un peso drastico e crudele sulla sua vita e soprattutto sul suo ruolo di “quarta moglie” dentro la casa.

Leggendo le cronache di questi giorni non si può non fare a meno di pensare che, come diceva Marco Bellocchio (ovviamente con tutt’altro spirito, lo so!) “La Cina è vicina!”, almeno quella degli anni Venti per come sono considerate troppo spesso le donne nel nostro Paese.

Per la chicca, ricordo che questa pellicola, oltre a vincere il Leone d’Argento a Venezia, è stata candidata all’Oscar come miglior film straniero, e che fu battuto inaspettatamente – ma non ingiustamente secondo me! – dal nostro “Mediterraneo” di Gabriele Salvatores.

“L’uomo senza sonno” di Brad Anderson

(Spagna, 2004)

I recentissimi fatti di cronaca, drammaticamente, mi hanno riportato alla mente questo film allucinante ed enigmatico fino alle sequenze finali, che dovrebbe essere visto da tutti, a partire dall’adolescenza.

Per quelli che non lo hanno ancora visto non aggiungo altro, solo che, oltre che per la storia, merita di essere ricordato anche per la grande interpretazione di Christian Bale, che ha perso decine di chili proprio per le sue riprese.

Infine, va sottolineato come, nonostante la lingua originale del film sia l’inglese, la sua produzione è totalmente spagnola, segno di una cinematografia viva, attenta e con la voglia di sperimentare.

Dopo aver visto questo film, molte cose non saranno più come prima.

“Giallo napoletano” di Sergio Corbucci

(Italia, 1978)

Il nocciolo di questo film è dichiarato esplicitamente già nei titoli di testa in cui domina la fotografia del grande Alfred Hitchcock accanto a quella del principe della risata Totò.

Un giallo atipico per quegli anni dominati dai grandi thriller firmati da Dario Argento o, se volete, una commedia noir atipica per quegli anni dominati dai pecorecci scollacciati.

Insomma, un caso singolare nel panorama cinematografico italiano che il grande Corbucci – troppo spesso dimenticato e considerato un semplice mestierante – (già autore l’anno precedente de “La mazzetta” con Nino Manfredi) riesce a costruire dosando al meglio ogni singolo elemento.

Fra questi splende su tutti l’interpretazione di Marcello Mastroianni, che sembra un napoletano di nascita e che nella vita non ha fatto altro che suonare il mandolino.

Questa pellicola va ricordata anche per un altro motivo: segna l’ultima – e irresistibile – interpretazione cinematografica del grande Peppino De Filippo.

Grandi attori, grande cinema.

“Arca Russa” di Aleksandr Sukorov

(Russia/Germania/Giappone/Canada/Finlandia/Danimarca, 2002)

Ci sono due grandi motivi per vedere – o rivedere – questo film. Il primo è il virtuosismo tecnico con cui è stato realizzato: un unico e visionario piano sequenza.

Come le classiche e sempre più rimpiante commedie televisive di una volta, questo film è stato tutto girato in “diretta” e in tempo reale, non è stato fatto nessun montaggio.

Il secondo, e forse ancora più accattivante, è la bellezza unica dell’Ermitage di San Pietroburgo dentro il quale è girato, che rimane ancora oggi uno dei più splendidi edifici del pianeta, con l’aggiunta poi delle scene di ballo con centinaia di figuranti in strepitosi costumi dell’epoca.

Forse un po’ troppo “spot” della Russia di oggi che si richiama a quella degli Zar, ma davvero un film da godere fino all’ultimo fotogramma.

“Lupin III – Il castello di Cagliostro” di Hayao Miyazaki

(Giappone, 1979)

Sono un grande estimatore di Miyazaki, ma soprattutto sono un folle fan delle serie “Le avventure di Lupin III” quello dalla giacca verde, serie firmate proprio dallo stesso Miyazaki, e quindi questo film, che racchiude due miei miti personali, non può che essere speciale per me.

In questa grande pellicola d’animazione ci sono tutti gli elementi principi della cinematografia del maestro del Sol Levante: il romanticismo, l’amore, il mistero, e grandi sequenze spettacolari e surreali.

Se ci aggiungiamo poi la figura di Cagliostro, uno dei personaggi più discussi e allo stesso tempo più intriganti di tutti i tempi, gli ingredienti ci sono tutti.

Per non parlare poi dell’inarrivabile Fiat 500 del mago del furto…

Un film d’animazione che col passare degli anni non perde un colpo.

“Memorie di Adriano” di Marguerite Yourcenar

(1963/1981, Einaudi)

Su questo grande libro c’è poco da aggiungere o da commentare.

Ci sono molti motivi e spunti per rileggere le “riflessioni” che fece uno dei più grandi imperatori di Roma sulla sua vita pubblica e privata.

Oltre ad essere uno splendido scorcio di quella che era la vita durante uno dei più grandi imperi di tutti i tempi, quello che mi ha sempre affascinato di quest’opera della Yourcenar – la cui genesi è durata parecchi decenni – è il grande senso del dovere e di responsabilità che Adriano ha nei confronti del suo ruolo e dei suoi cittadini.

Proprio lo stesso, identico, che i suoi “discendenti” (che la Yourcenar mi perdoni!) seduti oggi nel nostro Parlamento manifestano ogni giorno, in tanti simpatici modi… scherzo, ovviamente!

Cave Canem! Cave Canem! …come diceva Totò.

“Pieno sole” di Antoine Guilloppé

(2012, Ippocampo Editore)

Classificare questo volume come un semplice libro per ragazzi è davvero troppo limitativo.

Con questa breve storia ambientata nella madre Africa, Antoine Guilloppé ci dona una vera e propria opera d’arte che non ci si stanca mai di rileggere, scoprendo ogni volta un dettaglio o un particolare nascosto.

Indispensabile in ogni libreria che si rispetti.

“L’ultima spiaggia” di Stanley Kramer

(USA, 1959)

Anche se, a dire il vero, la sceneggiatura non è scritta in maniera impeccabile, ci sono numerosi motivi per vedere – o rivedere – questo film diretto da Stanley Kramer.

Con un cast degno della più classica Hollywood, fra cui spiccano il bravissimo e sempre sobrio Gregory Peck, una sempre bellissima Ava Gardner (che indossa degli abiti strepitosi firmati dalle Sorelle Fontana), Anthony Perkins e Fred Astaire (non mi toccate il grande Fred, che litighiamo subito!) Kramer ci racconta l’ultimo anelito di vita del genere umano sopravvissuto al conflitto atomico.

1964: l’Australia è l’ultima zona della Terra a essere rimasta incontaminata dalle implacabili radiazioni nucleari che hanno sterminato la vita nel resto del globo, dopo l’esplosione del terzo conflitto mondiale.

Ma gli studi rivelano che a causa dei venti e delle correnti il continente verrà comunque raggiunto dalle radiazioni al massimo in cinque mesi. Ogni sopravvissuto affronterà come può la fine imminente…

Considerato il capostipite del genere “the day after” questo film – che fu candidato all’Oscar come miglior pellicola dell’anno – in alcune scene conserva intatta la sua potenza narrativa, e ci da un’idea ben precisa dell’angoscia nucleare che regnava in quei tempi di piena guerra fredda.

Un inno alla pace e alla vita. D’altronde Peck e Kramer furono dei paladini cinematografici dei grandi ideali civili, se Peck vinse l’Oscar con la sua interpretazione in “Il buio oltre la siepe”, Kramer firmò pellicole come “E l’uomo inventò Satana” e “Indovina chi viene a cena?”.

Nel 2000 è stato realizzato un anonimo remake televisivo dallo stesso titolo, tratto anch’esso del romanzo di Nevil Shute.

Corsi e, tragici, riscorsi storici…

“Matrimonio all’italiana” di Vittorio De Sica

(Italia, 1964)

Anche se quest’anno compie cinquant’anni buoni buoni, questo film del maestro Vittorio De Sica rimane una delle colonne portanti della cinematografia planetaria.

Sulla coppia Sophia Loren (con la quale gli organizzatori della premiazione dei David di Donatello 2014 dovrebbero scusarsi a vita) e Marcello Mastroianni c’è poco da aggiungere.

Io questo film l’ho visto decine di volte, ma ogni volta mi commuovo alla scena in cui Filomena (forse la Loren più bella e prorompente di sempre) spiega ai suoi tre figli come fu avviata alla prostituzione: “Incontrai una mia compagna di scuola così ben vestita …che mi disse: funziona così… …così… …e così”.

Con questa frase Eduardo De Filippo ha scritto uno dei momenti più alti della drammaturgia del Novecento che, con classe e sapienza, De Sica è riuscito a riportare sullo schermo con tutta la sua potenza narrativa.

Inarrivabile.