“La riffa” di Vittorio De Sica

(Italia, 1962)

“La riffa” è forse il più iconico fra “Renzo e Luciana” di Monicelli, “Le tentazioni del dottor Antonio” di Fellini e “Il lavoro” di Visconti, i quattro storici episodi di “Boccaccio ’70”, film ideato da Cesare Zavattini e prodotto da Carlo Ponti. Ed è proprio Zavattini, assieme allo stesso Vittorio De Sica che poi lo dirige, a scriverne la sceneggiatura.

Siamo in piena esplosione economica e grazie – …o a causa – del Boom la società italiana sta inesorabilmente cambiando da rurale ad industrializzata e cittadina. Tra i bellissimi ritratti di donne che l’intera pellicola racconta, il duo De Sica/Zavattini sceglie quello di un’avvenente giovane donna, vero e proprio desiderio carnale di tutti gli uomini che incontra.

Zoe (una straripante e luminosa Sophia Loren) gestisce il tiro a segno di un luna park itinerante. Se la sua incontenibile avvenenza fa la fortuna del baraccone, allo stesso tempo le lascia poco spazio per vivere serenamente la sua vita personale, visto che dove si gira trova invadenti e raramente cortesi spasimanti.

Per questo vuole mettere da parte dei soldi e cambiare vita, ma il suo cuore è troppo generoso per non aiutare una coppia di giovani colleghi del luna park senza un soldo e in attesa del primo figlio. La ragazza così accetta di essere il “premio” di una riffa clandestina i cui proventi divide con la coppia. Zoe, purtroppo, è avvezza al “mestiere più antico del mondo” ma ha promesso a se stessa di non fare la prostituta tutta la vita, come sua madre.

Come già accaduto, l’ultima sera che il luna park staziona in una località, scatta la lotteria clandestina il cui vincitore è decretato dal primo numero estratto al lotto, nel pomeriggio, sulla ruota di Napoli. A vincere è Cuspet (Alfio Vita) il sagrestano di Lugo di Romagna, località che ospita i baracconi. Ma mentre Zoe, rassegnata, si appresta a darsi in premio, incontra lo sguardo di Gaetano (Luigi Giuliani) un giovane e aitante bracciante che…

Questo episodio, come tutto il film, ha superato ormai i sessant’anni di vita, sessant’anni in cui il nostro Paese è cambiato molto. Ma per quanto riguarda il ruolo della donna nella società in realtà è – …purtroppo – cambiato ancora non a sufficienza. Zoe, nonostante la sua volontà e il suo ottimismo, alla fine non può fare altro che assecondare quello che la società maschilista e patriarcale le impone: la “maggiorata” e quindi un mezzo per assecondare e soddisfare i desideri materiali e morali degli uomini, e non solo.

Spicca, in questo senso, anche l’anziana madre del sagrestano che, tutta orgogliosa, lo aiuta a lavarsi per godere al meglio il “premio” che finalmente gli darà, oltre al piacere fisico, il tanto ambito “riconoscimento” sociale quale maschio sessualmente attivo. Così come spicca quello della collega che ostenta la sua gravidanza, sempre piangendo, ogni volta che Zoe è preda di dubbi o rimorsi, per farle venire i sensi di colpa e assecondare la riffa.

E’ quindi tutta – o la sua stragrande maggioranza – la società italiana che incatena Zoe al suo ruolo carnale ed effimero ad uso e consumo degli uomini ma anche di alcune donne. De Sica e Zavattini ci raccontano superbamente, con un’ironia molto amara, di un Paese che ha tanto da imparare sull’emancipazione delle donne e sulle concrete e reali pari opportunità.

Allora è lecito chiedersi: ma oggi siamo davvero molto più avanti alla Zoe di questo film?

Magistrale e tristemente attuale.

“Matrimonio all’italiana” di Vittorio De Sica

(Italia, 1964)

Anche se quest’anno compie cinquant’anni buoni buoni, questo film del maestro Vittorio De Sica rimane una delle colonne portanti della cinematografia planetaria.

Sulla coppia Sophia Loren (con la quale gli organizzatori della premiazione dei David di Donatello 2014 dovrebbero scusarsi a vita) e Marcello Mastroianni c’è poco da aggiungere.

Io questo film l’ho visto decine di volte, ma ogni volta mi commuovo alla scena in cui Filomena (forse la Loren più bella e prorompente di sempre) spiega ai suoi tre figli come fu avviata alla prostituzione: “Incontrai una mia compagna di scuola così ben vestita …che mi disse: funziona così… …così… …e così”.

Con questa frase Eduardo De Filippo ha scritto uno dei momenti più alti della drammaturgia del Novecento che, con classe e sapienza, De Sica è riuscito a riportare sullo schermo con tutta la sua potenza narrativa.

Inarrivabile.