“Gli esclusi” di John Cassavetes

(USA, 1962)

Abby Mann è stato uno dei più prolifici drammaturghi nonché autori cinematografici e televisivi americani del Novecento.

Proprio per la televisione scrive una pièce che il produttore e regista Stanley Kramer (produttore e regista di pellicole come “..E l’uomo creò Santana” e “Indovina che viene a cena?”) decide di portare sul grande schermo. A dirigerlo chiama il giovane e promettente regista indipendente John Cassavetes, e come attori principali due dei protagonisti del suo precedente “Vincitori e vinti” (che gli valse un Oscar): Burt Lancaster e Judy Gardland.

Jean Hansen (Judy Gardland) giunge al Crawthorne State Training Institute, un istituto per giovani con gravi deficit cognitivi diretto dal dott. Matthew Clark (un grandissimo Lancaster) per iniziare il suo nuovo lavoro. Grazie alla sua amica Mattie, che già lavora lì, le è stato affidato il compito di insegnare musica agli allievi.

La Hansen, che non ha alcuna esperienza, dopo i primi momenti di turbamento inizia il suo lavoro. Subito viene colpita dal comportamento del piccolo Reuben Widdicombe, un bambino di dieci anni con un grave ritardo cognitivo. Soprattutto Jean è scioccata dal fatto che i suoi genitori non vengano mai a trovarlo il giorno di visita settimanale.

Attraverso la storia di Reuben e dei suoi genitori Sophie (Gena Rowlands) e Ted (Steven Hill) riviviamo la dolorosa e straziante storia di una coppia che deve accettare la disabilità del proprio figlio.

La Hansen trova il comportamento di Clark – che d’accordo con Sophie non organizza gli incontri col figlio – troppo duro e severo. Ma il medico le mostra come la vera e grande angoscia di un genitore di un bambino disabile sia la propria morte, ovvero quando il figlio sarà comunque internato. E allora ogni piccolo centimetro che un bambino disabile compie verso la propria indipendenza è fondamentale per il suo futuro.

Soprattutto visto che la società in cui vivono, a parte gli ipocriti e perbenisti slanci amorosi “natalizi” di loro se ne frega, anzi in molti non li vorrebbero neanche vedere.

Ci sono film bellissimi e poi ci sono film che sono delle vere e proprie odi civili. Questo firmato da Cassavetes e Kramer (visto che in sede di montaggio il regista litigò col produttore tanto da abbandonare la produzione) è una vera e propria ode civile a favore dei più deboli, come sono i bambini disabili.

Le immagini girate da Cassavets nel vero Pacific State Hospital di Pomona, set del film, sono un atto d’amore limpido, di rispetto senza pietismi o falsi buoni sentimenti, verso i bambini che fino ad allora nessuno aveva il “coraggio” di mostrare, sottolineando che il problema non è nel loro aspetto o nel loro comportamento: ma negli occhi e nella testa di chi li guarda.

Come mi è già capitato di ricordare, nel mondo anglosassone c’è una lucida serenità nel parlare di disabilità che noi italiani ci sognamo. E’ solo di pochi anni fa la ricerca di cast – per un film di una nota regista italiana – di disabili: “…che ispirino tenerezza ed empatia”.

Il titolo in italiano è abbastanza calzante, ma quello originale riferito al giorno di visita nell’istituto e ai bambini disabili in generale è ancora più struggente: “A Child is Waiting”.

Il dvd, che purtroppo non presenta extra, riporta il doppiaggio originale con una grandissima Rina Morelli – compagna di vita e di palcoscenico di Paolo Stoppa nonché attrice teatrale fra le più amate da Luchino Visconti – che dona superbamente la voce alla Garland.

“L’ultima spiaggia” di Stanley Kramer

(USA, 1959)

Anche se, a dire il vero, la sceneggiatura non è scritta in maniera impeccabile, ci sono numerosi motivi per vedere – o rivedere – questo film diretto da Stanley Kramer.

Con un cast degno della più classica Hollywood, fra cui spiccano il bravissimo e sempre sobrio Gregory Peck, una sempre bellissima Ava Gardner (che indossa degli abiti strepitosi firmati dalle Sorelle Fontana), Anthony Perkins e Fred Astaire (non mi toccate il grande Fred, che litighiamo subito!) Kramer ci racconta l’ultimo anelito di vita del genere umano sopravvissuto al conflitto atomico.

1964: l’Australia è l’ultima zona della Terra a essere rimasta incontaminata dalle implacabili radiazioni nucleari che hanno sterminato la vita nel resto del globo, dopo l’esplosione del terzo conflitto mondiale.

Ma gli studi rivelano che a causa dei venti e delle correnti il continente verrà comunque raggiunto dalle radiazioni al massimo in cinque mesi. Ogni sopravvissuto affronterà come può la fine imminente…

Considerato il capostipite del genere “the day after” questo film – che fu candidato all’Oscar come miglior pellicola dell’anno – in alcune scene conserva intatta la sua potenza narrativa, e ci da un’idea ben precisa dell’angoscia nucleare che regnava in quei tempi di piena guerra fredda.

Un inno alla pace e alla vita. D’altronde Peck e Kramer furono dei paladini cinematografici dei grandi ideali civili, se Peck vinse l’Oscar con la sua interpretazione in “Il buio oltre la siepe”, Kramer firmò pellicole come “E l’uomo inventò Satana” e “Indovina chi viene a cena?”.

Nel 2000 è stato realizzato un anonimo remake televisivo dallo stesso titolo, tratto anch’esso del romanzo di Nevil Shute.

Corsi e, tragici, riscorsi storici…