(USA, 1949)
La mano del maestro Don Siegel si sente e si vede tutta, in questo classico noir anni Quaranta. L’intrigo complicato c’è, la bella femme fatale pure, ma sopratutto c’è quell’elemento che lo distingue dalla maggior parte degli altri film contemporanei di genere: l’ironia.
Quasi ogni scena, infatti, trasuda tagliente ironia con battute tipiche da sofisticated comedy, che però sono ambientate in situazioni e location completamente dissonanti, con attori che le pronunciano maneggiando un arma fumante e sullo sfondo l’arida zona desertica messicana invece degli splendidi appartamenti sulla Quinta Strada, tipici delle commedie del tempo.
Nel porto di Veracruz arriva un bastimento con a bordo il militare fuggitivo Douglas Anderson (un “cazzutissimo” Robert Mitchum) che viene assalito dal suo capitano, Vincent Blake (William Bendix). Alla fine della colluttazione Anderson ha la meglio e ruba i documenti a Blake per poi scomparire nella città, dove incontra casualmente Joan Graham (Jane Greer). Entrambi scoprono di essere sulle tracce di Jim Fisher (Patric Knowles).
Joan perché sostiene che l’uomo ha promesso di sposarla solo per poi rubarle 2.000 dollari, Anderson perché lo accusa invece di aver sottratto alle casse dell’Esercito degli Stati Uniti 1.000.000 di dollari per poi far ricadere la colpa su di lui, che ha sul collo il fiato di Blake. Ma la verità, ovviamente, non è quella che sembra…
Scritto da Daniel Mainwaring (autore poi della sceneggiatura del cult “L’invasione degli ultracorpi“) e Gerald Drayson Adams, tratto dal racconto “The Road to Carmichael’s” di Richard Wormser, “Il tesoro di Vera Cruz” è davvero un noir d’antologia.
Per la chicca: il titolo originale è “The Big Steal” mentre quello in italiano cita Vera Cruz e un suo fantomatico – quanto estraneo alla vicenda – tesoro. Da sottolineare che nel 1949, già da qualche decennio, la città messicana si chiamava Veracruz tutto attaccato. Quei geni incompresi dei nostri distributori…