“Saperla lunga” di Woody Allen

(Bompiani, 1973)

A fare l’introduzione della prima edizione di questo libro è addirittura Umberto Eco che accenna una breve biografia di questo giovane (allora) regista e soprattutto autore di testi comici, famosissimo negli USA, ma da noi quasi sconosciuto fino all’uscita, recentissima (sempre allora) del suo “Prendi i soldi e scappa”.

In quest’opera del genio newyorkese ci sono gag e battute famosissime, e brani che nei decenni successivi ispireranno l’autore per i suoi film, come “Memorie degli anni Venti” che anticipa “Midnight in Paris”.

Insomma, per gli amanti di Woody Allen – soprattutto della prima parte della sua carriera cinematografica – e per chi ama ridere in generale.

“Zelig” di Woody Allen

(USA, 1983)

Woody Allen firma una delle sue più geniali e splendide pellicole.

Di fatto il suo film più costoso – soprattutto per il grande e vario materiale d’archivio utilizzato e fuso con maestria ed effetti speciali con quello girato appositamente in bianco e nero – al box office però non ha avuto particolare fortuna, anche se oggi è considerato uno dei capolavori assoluti del cinema mondiale.

Forse il pubblico di allora non era pronto a una rivoluzione così profonda, eppure Allen aveva conosciuto il successo internazionale proprio con un altro finto docufilm: “Prendi i soldi e scappa”, con protagonista l’ineffabile Virgil Starkwell.

Ma Starkwell era il soggetto di un classico film comico, pieno zeppo di gag surreali, sia fisiche che cerebrali. Leonard Zelig, invece, è un personaggio molto più sottile e profondo, che rappresenta tutte quelle insicurezze con cui – chi più e chi meno – abbiamo dovuto lottare e imparare a convivere.

Una grande opera immortale e sempre attuale: siamo tutti un po’ Leonard Zelig!

“Broadway Danny Rose” di Woody Allen

(USA, 1984)

Il 27 Gennaio del 1984 usciva nelle sale degli Stati Uniti “Broadway Danny Rose” di Woody Allen,  una delle migliori fotografie – malinconiche ma allo stesso tempo esilaranti – del mondo dello spettacolo americano.

Come piace molto ad Allen, il film è di fatto la ricostruzione che fanno alcuni agenti o ex attori (fra cui c’è il vero Jack Rollins storico produttore dello stesso Allen e, tanto per fare un esempio, del David Letterman Show) degli avvenimenti più nefasti e allo stesso tempo divertenti della carriera del piccolo e sfortunato agente newyorchese Danny Rose.

L’episodio più significativo che il gruppo ricorda è il rapporto che ha questi con il cantante Lou Canova (Nick Apollo Forte) al quale Rose deve “custodire” la sua nuova amante Tina Vitale (un’imbottita e femme fatale Mia Farrow).

Non è fra i film di Allen che di solito si ricorda, ma “Broadway Danny Rose” è davvero una perla.

“Il dormiglione” di Woody Allen

(USA, 1973)

Il 17 dicembre del 1973 usciva nelle sale americane “Il dormiglione” (“Sleeper” in originale), grande parodia dei film di fantascienza firmata da Woody Allen (soprattutto de “L’uomo che fuggì dal futuro” diretto da George Lucas due anni prima) con un palese ammiccamento a “1984” di George Orwell.

Questa pellicola fa parte della prima fase surreale e prettamente comica della cinematografia di Allen – la seconda parte, molti, la fanno iniziare con “Interiors” del 1978 – ma dite tutto quello che vi pare a me continua a far sbellicare.

L’ossessione del sesso e i complessi d’inferiorità che qui hanno risvolti secolari – Miles Monroe rimane ibernato per quasi due secoli – sono resi irresistibili dalla loro visione futuristica e satirica del grande cineasta newyorkese.

E vogliamo parlare poi del ristorante vegetariano “Il Sedano Allegro” o della laurea di Luna (Diane Keaton) presa in …Semantica Prepuziale?

“Il prestanome” di Martin Ritt

(USA, 1976)

“Caccia alle streghe” è stata definita la persecuzione con cui vennero isolati e ghettizzati molti artisti americani comunisti o simpatizzanti comunisti, alla fine degli anni Quaranta, sulla scia delle presunte attività “anti-americane” urlate dal Senatore Joseph McCarty, e da qui anche il termine “Maccartismo”.

Ma la Commissione che appurava tali attività, in realtà esigeva solo un atto, un atto puro di delazione e denuncia nei confronti degli altri, anche se i nomi erano già stati fatti e ben conosciuti: per tornare a lavorare quindi bastava denunciare. Era perciò la paura ad annientare le coscienze.

Ma Howard Price (un inconsueto Woody Allen) è un piccolo allibratore che per sbarcare il lunario fa il cassiere in una tavola calda a Manhattan. Un giorno Alfred, un suo vecchio compagno di scuola, lo supplica di aiutarlo: per i suoi passati da simpatizzante comunista è finito nelle liste nere della Commissione Contro le Attività Anti-Americane, e nessuna televisione lo fa più lavorare.

Ha bisogno quindi di un “prestanome” che firmi e presenti le sceneggiature al posto suo. A lui andrà il 10%. Howard è un uomo senza scrupoli e accetta felice. Nel giro di poche settimane diventa un autore televisivo famoso, ben pagato e soprattutto prolifico: ad Alfred si aggiungono altri due proscritti.

Tutto sembra procedere al meglio ma gli occhi della Commissione immancabilmente si posano su di lui. Howard è un uomo senza morale e quindi non si preoccupa: darà loro quello che vogliono. Ma pochi giorni prima dell’udienza Hecky Brown (un grandioso Zero Mostel) – attore televisivo proscritto al quale la Commissione ha chiesto di spiare Price per poter essere riabilitato – si suicida, e le cose cambiano…

Ritt firma un’emozionante pellicola che riproduce magistralmente gli anni Cinquanta e soprattutto quel clima di terrore e delazione che regnava nel mondo dello spettacolo. Memorabile scena finale con un grande Allen.

Da vedere tutto, compresi i titoli di coda in cui ai nomi del cast viene associato l’anno di inserimento nelle liste nere, si perché, fra gli altri, Martin Ritt, Zero Mostel e Walter Bernstein  – autore della sceneggiatura – fra il 1950 e il 1953 finirono tutti all’indice.

“La strada” di Federico Fellini

(Italia, 1954)

Il 27 marzo del 1957 “La strada” di Federico Fellini vinceva il premio Oscar come miglior film straniero.

Il piccolo lungometraggio girato da un giovane e quasi sconosciuto regista italiano, con un passato da battutista – per Aldo Fabrizi, fra gli altri – e di autore radiofonico, ci mette quasi tre anni ad arrivare a Hollywood e a venire riconosciuto quale indiscusso capolavoro della nostra cinematografia.

Anche Anthony Quinn –  già attore affermato e fresco reduce dal kolossal “Attila” – all’inizio delle riprese era convinto di aver commesso un errore ad accettare di girare un film fatto con scarsi mezzi e girato in campagna (per ricreare la neve, ad esempio, gli uomini della produzione bussavano alle porte dei casali vicino al set per farsi prestare lenzuoli bianchi da sistemare tatticamente sul terreno).

Ma Quinn, che era un uomo di cinema, dopo le prime settimane intravide il talento di quel giovanotto alto, tenebroso e allo stesso tempo cordiale e gentile. E soprattutto comprese la bravura di quella piccola attrice dai grandi occhi azzurri, che la produzione non voleva ma che alle fine il regista, nonché suo marito, riuscì ad imporre.

Se i duetti fra Quinn e Giulietta Masina fanno parte ormai della storia del cinema (fra i grandi omaggi a “La strada” spicca fra tutti “Accordi e disaccordi” di Woody Allen, con Sean Penn, del 1999) è grazie anche ad Arnoldo Foà che ha dato la sua voce a Zampanò in maniera sublime.

Pietra miliare della cinematografia mondiale.