“Vittime di guerra” di Brian De Palma

(USA, 1989)

Questo film ricostruisce uno dei più tragici episodi che hanno caratterizzato il conflitto statunitense in Vietnam.

Nel 1966 una pattuglia di soldati americani, nei pressi di un villaggio nella giungla, è vittima di un’imboscata dei Viet Cong.

Nello scontro a fuoco uno dei soldati perisce, e quando gli assalitori si ritirato il sergente Tony Meserve (uno Sean Pean in stato di grazia) decide di entrare nel villaggio e, per rappresaglia, appoggiato dal caporale Clark, rapisce una giovanissima ragazza che diventerà il loro oggetto di piacere sessuale per tutta la missione.

L’unico ad avere il coraggio di opporsi è il soldato Sven Eriksson (un bravo Michael J. Fox) che si rifiuta di toccare la ragazza tentando, inutilmente, di proteggerla.

Anche gli altri due soldati sembrano restii ad abusare della giovane, ma alla fine la ferocia di Meserve li convincerà ad assecondarlo. Dopo alcuni giorni di stupri quotidiani, la pattuglia si ritrova in un nuovo scontro a fuoco e Meserve ne approfitta per uccidere la ragazza, così che nessuno possa raccontare le vicenda.

Ma la coscienza di Eriksson gli impedisce di tacere e, contro anche il parere dei suoi superiori, denuncia ufficialmente l’accaduto. Questo gli costerà la carriera militare, il rispetto dei colleghi e buona parte della vita privata.

E allora chi sono le vittime del titolo? …Tutti.

De Palma ce lo dice benissimo: in guerra perdono tutti.

Perde la povera e innocente giovane vietnamita, così come perde l’onesto soldato Ericksson. Ma perdono anche gli altri due soldati che non hanno avuto la forza di opporsi, così come perdono Clark e Meserve (a cui poi verranno ridotte sensibilmente le pene dopo vari ricorsi) che sono stati costretti a scambiare per sempre la loro umanità con un odio sfrenato e insaziabile.

Purtroppo questa pellicola, così bella e allo stesso tempo così dura, naufragò al botteghino segnando uno dei flop più clamorosi della stagione.

In molti diedero la colpa al suo protagonista Michael J. Fox considerato inadatto al ruolo (allora era fresco reduce della trilogia di “Ritorno al futuro”). Ma io, personalmente, non condivido: quello che allora non piacque, probabilmente, fu il doversi confrontare con un argomento tanto doloroso.

Ma non basta guardare da un’altra parte per evitare i problemi visto che noi oggi, volenti o nolenti, con le vittime di guerra i conti ce li dobbiamo sempre fare.

Da vedere.

“Carlito’s Way” di Brian De Palma

(USA, 1993)

Questo è uno dei film più struggenti e romantici di Brian De Palma, con un Al Pacino in stato di grazia, che ci regala uno dei personaggi immortali del cinema degli ultimi decenni.

1975: dopo cinque anni di carcere, Carlito Brigante esce per un vizio di forma ed evita così di scontare gli altri venticinque anni che gli spettavano.

Torna in quello che era il suo regno, la strada in cui lui era il re dello spaccio. Ma le cose sono cambiate e Carlito sa bene di essere cinque anni più vecchio, il che vuol dire un’eternità.

Non intende tornare nel giro, sa che gli sarebbe fatale, e così ha un solo obiettivo: rilevare un noleggio auto alle Bahamas e godersi al sole il resto della vita in pace. Ma, parafrasando John Lennon: la vita è quello che ti capita mentre fai altri progetti…

Nel cast anche un grandissimo Sean Penn e una brava Penelope Ann Miller, ma soprattutto una strepitosa ambientazione, con relativa stellare colonna sonora, nella New York dei luccicanti anni Settanta.

Indimenticabile.

“La strada” di Federico Fellini

(Italia, 1954)

Il 27 marzo del 1957 “La strada” di Federico Fellini vinceva il premio Oscar come miglior film straniero.

Il piccolo lungometraggio girato da un giovane e quasi sconosciuto regista italiano, con un passato da battutista – per Aldo Fabrizi, fra gli altri – e di autore radiofonico, ci mette quasi tre anni ad arrivare a Hollywood e a venire riconosciuto quale indiscusso capolavoro della nostra cinematografia.

Anche Anthony Quinn –  già attore affermato e fresco reduce dal kolossal “Attila” – all’inizio delle riprese era convinto di aver commesso un errore ad accettare di girare un film fatto con scarsi mezzi e girato in campagna (per ricreare la neve, ad esempio, gli uomini della produzione bussavano alle porte dei casali vicino al set per farsi prestare lenzuoli bianchi da sistemare tatticamente sul terreno).

Ma Quinn, che era un uomo di cinema, dopo le prime settimane intravide il talento di quel giovanotto alto, tenebroso e allo stesso tempo cordiale e gentile. E soprattutto comprese la bravura di quella piccola attrice dai grandi occhi azzurri, che la produzione non voleva ma che alle fine il regista, nonché suo marito, riuscì ad imporre.

Se i duetti fra Quinn e Giulietta Masina fanno parte ormai della storia del cinema (fra i grandi omaggi a “La strada” spicca fra tutti “Accordi e disaccordi” di Woody Allen, con Sean Penn, del 1999) è grazie anche ad Arnoldo Foà che ha dato la sua voce a Zampanò in maniera sublime.

Pietra miliare della cinematografia mondiale.