“Cadaveri eccellenti” di Francesco Rosi

(Italia/Francia, 1975)

Fra i compiti della vera arte c’è anche quello di anticipare gli eventi e le svolte – anche terribili – della storia e della società. Così Francesco Rosi, con questo suo indimenticabile “Cadaveri eccellenti”, preannuncia di pochissimo uno degli eventi più traumatici e funesti della storia della Repubblica Italiana: il rapimento e l’uccisione del presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro.

Siamo a metà degli anni Settanta, uno dei decenni più complicati della nostra storia a partire dal secondo dopoguerra. La parte più reazionaria della società non vuole il cambiamento che quella più giovane chiede, anche scendendo in piazza e manifestando. Ci sono, per questo, poteri che lavorano nell’ombra, pronti a tutto, come la mafia i servizi segreti deviati e la loggia P2.

Temono che dopo trent’anni ininterrotti di governo, la Democrazia Cristiana stia entrando in crisi, soprattutto per la nuova spinta della parte più fresca del Paese che non tollera più l’ipocrisia perbenista e la corruzione di molti politici. Fra quelli che vedono con favore il cambiamento, invece, c’è il presidente della DC Aldo Moro, che già da tempo parla in maniera sempre più positiva del Compromesso Storico, ovvero formare un governo assieme al Partito Comunista Italiano, proposta partita proprio dal suo segretario Enrico Berlinguer.

L’idea di Berlinguer nasce sulla scia del sanguinoso colpo di stato militare avvenuto poco tempo prima in Cile, per mano del generale Pinochet che ha rovesciato e ucciso il presidente democraticamente eletto Salvador Allende, assieme a moltissimi suoi concittadini. La coalizione di governo DC-PCI, che avrebbe concesso ai rappresentanti dello storico partito d’opposizione ruoli chiave, avrebbe messo al sicuro – secondo lo stesso Berlinguer – il nostro Paese dalla cosiddetta strategia della tensione, da derive autoritarie e quindi da ipotetici e tragici golpe.

Il 16 marzo del 1978, proprio mentre il IV Governo Andreotti si apprestava a ottenere il voto di fiducia, grazie anche all’appoggio esterno del PCI, il presidente Moro venne rapito dalle Brigate Rosse, che trucidarono senza pietà tutti gli uomini della sua scorta, e che lo uccisero a sangue freddo, dopo 55 giorni di prigionia, il 9 maggio seguente. Il tragico evento, come era prevedibile, fece naufragare definitivamente il Compromesso Storico.

Ispirato al romanzo “Il contesto. Una parodia” che il maestro Leonardo Sciascia pubblica nel 1971, “Cadaveri eccellenti” ci porta in Sicilia dove, dopo una delle sue solite visite nella secolare catacomba dei Cappuccini di Palermo, il procuratore Varga (Charles Vanel) viene freddato in strada da un colpo d’arma da fuoco. La notizia fa scalpore, e il capo della Polizia (Tino Carraro) su insistenza del Ministro della Sicurezza (Fernando Rey) manda il suo investigatore migliore, l’ispettore Amerigo Rogas (Lino Ventura, che nella nostra versione si doppia da solo).

Poche ore dopo però viene rinvenuto sull’autostrada il corpo senza vita del giudice Sanza, ucciso con le stesse modalità di Varga. Rogas inizia a studiare tutti i casi in cui hanno lavorato i due giudici e scopre che sono stati tre, e tutti hanno portato a sentenze assai dubbie che nel corso del tempo sono state poi smentite dai fatti. Le condanne emesse, però, hanno rovinato definitivamente la vita ai presunti colpevoli.

Così l’ispettore si mette sulle tracce del farmacista Cres, uno dei tre condannati, che da qualche giorno ha fatto perdere le sue tracce. Scopre così che nel processo ai suoi danni hanno partecipato, sia direttamente che indirettamente, anche il giudice Rasto (Alan Cuny) e il Presidente della Corte Suprema (Max von Sydow, superbamente doppiato da Alberto Lionello).

L’ispettore si precipita ad avvertirli, ma entrambi rifiutano seccati il suo aiuto, cosa che costerà loro la vita. Dopo la morte del Presidente della Corte Suprema, Rogas comprende che dietro i delitti non c’è più solo Cres, ma una vera e propria organizzazione clandestina di cui fanno parte alti rappresentanti della nostra Repubblica.

Come ultima spiaggia non gli rimane che incontrare di persona il Segretario del Partito Comunista Italiano, per avvisarlo del complotto, atto a tenere sotto controllo la linea del Governo e del Paese. Grazie al giornalista Cusano (Luigi Pistilli) suo vecchio e personale amico, Rogas riesce ad ottenere un incontro riservato, nel quale però…

Non mi piace di solito rivelare l’epilogo di un film – o di un libro – ma per questo capolavoro della nostra cinematografia è necessario farlo, visto che la pellicola si chiude con l’omicidio di Rogas e, soprattutto, del Segretario del PCI per mano dello stesso killer degli omicidi precedenti. Evento tragico che però gli inquirenti archiviano come omicidio-suicidio commesso dall’ispettore in preda allo stress e alla follia provocati dall’indagine stessa.

Rosi ci preannuncia così che i famigerati poteri forti erano disposti a tutto pur di evitare una rivoluzione ai loro danni, anche ad assassinare il capo di uno dei maggiori partiti italiani. La storia ci ha detto chiaramente, nel corso dei decenni successivi, che sarebbe stato molto più deflagrante per il “vecchio” potere costituito un Presidente Moro vivo piuttosto che assassinato, e che quindi il suo omicidio ha contribuito a mantenere lo status quo allora vigente.

Poco tempo fa è scomparso, dopo aver superato il venerando secolo di età, Henry Kissinger che negli anni in cui venne realizzato questo film rivestiva la carica di Segretario di Stato degli Stati Uniti. Fra le cose che i media hanno ricordato di lui, oltre al premio Nobel per la Pace che gli venne assegnato nel 1973, ci sono le dichiarazioni che fece a favore del golpe di Pinochet apertamente appoggiato dagli USA, e i “consigli” che diede al presidente Aldo Moro nel 1974 proprio sul Compromesso Storico: “Onorevole lei deve smettere di perseguire il suo piano politico per portare tutte le forze del suo Paese a collaborare direttamente. Qui o lei la smette di fare queste cose o lei la pagherà cara. Veda lei come la vuole intendere” (come ricordato anche nell’articolo di Orson Francescone pubblicato su “Il Sole 24 Ore” del 18 dicembre 2023).

Naturalmente il film, alla sua uscita nelle nostre sale, accese numerose polemiche, sia nella parte più reazionaria della nostra società che in quella più progressista, che Rosi descrive molto statica e poco reattiva. Fu soprattutto la battuta finale, detta da Florestano Vancini nei panni di un dirigente del PCI davanti ai cadaveri di Rogas e del Segretario, che fece indignare molti sostenitori del partito d’opposizione: “La verità non è sempre rivoluzionaria”. Noi che oggi siamo i posteri, possiamo esprimere la nostra ardua sentenza.

Scritto dallo stesso Rosi assieme a Tonino Guerra e Lino Jannuzzi, “Cadaveri eccellenti” è un vero e proprio pezzo di storia del nostro Paese, da custodire gelosamente e da far vedere a scuola. Nel ricco cast da ricordare anche: Renato Salvatori, Paolo Bonacelli, Paolo Graziosi, Corrado Gaipa e Renato Turi.

“Prima pagina” di Billy Wilder

(USA, 1974)

Siamo agli inizi degli anni Settanta, e la carta stampata ma soprattutto la televisione plasmano, spesso senza remore, l’opinione pubblica. Così il grande Billy Wilder decide di riportare sul grande schermo la commedia teatrale “The Front Page” scritta da Ben Hecht (fra i più importanti e prolifici sceneggiatori della prima epoca d’oro di Hollywood, autore di script come “Scarface – Lo sfregiato”, “Pericolo pubblico n.1”, “Ombre rosse”, “Notorius – L’amante perduta” o “Nulla di serio“) e Charles MacArthur nel 1928, che già vanta numerosi adattamenti cinematografici a partire dall’omonimo “The Front Page” di Lewis Milestone del 1931, passando per il divertente “La signora del venerdì” diretto da Howard Hawks nel 1940 con Cary Grant e Rosalind Russell.

Quest’ultimo cambia il protagonista da Hildebrand ‘Hildy’ Johnson in Hildegard “Hildy” Johnson, facendone vestire i panni alla Russell, scelta narrativa importante e ispirata a Nellie Bly (1864-1922) la grande giornalista americana, collaboratrice di fiducia di Joseph Pultizer. Con lo stesso cambio narrativo, e ambientandolo direttamente negli studi di un network televisivo, Ted Kotcheff dirige nel 1988 “Cambio marito” con Burt Reynolds, nel ruolo del direttore, Kathleen Turner in quello della sua giornalista di punta – nonché sua ex moglie – e Christopher Reeve in quello del suo nuovo e ingenuo aspirante marito.

Billy Wilder, invece, assieme al suo fidato coscenaggiatore I.A.L. Diamond decide di rimanere fedele all’opera originale di Hecht e MacArthur, ambientandola l’anno dopo in cui venne per la prima volta rappresentata, il 1929. Chicago, per le 7.00 della mattina del 6 giugno è stata fissata l’esecuzione di Earl Williams (Austin Pendleton) condannato all’impiccagione per l’uccisione di un poliziotto, avvenuta mentre questi lo stava arrestando perché distribuiva volantini a favore dell’organizzazione anarchica e sinistrorsa “Friends of American Liberty”.

Anche se il colpo è partito involontariamente durante la colluttazione, Williams è stato condannato molto rapidamente, così da programmare la sua esecuzione proprio a ridosso delle elezioni. Il sindaco (Harold Gould) e lo sceriffo (Vincent Gardenia) hanno fatto di tutto per accelerare il processo proprio per poter sfruttare al meglio la situazione, visto poi che il poliziotto deceduto era di colore, si sono trovati fra le mani l’occasione per prendere anche i voti della comunità afroamericana della città.

Walter Burns (un arcigno e perfido Walter Matthau) direttore del “Chicago Examiner” ha messo sull’esecuzione il suo uomo migliore Hildebrand “Hildy” Johnson (Jack Lemmon) che però si è reso incredibilmente introvabile. Quando finalmente Hildy torna al giornale lo fa per presentare le sue dimissioni: la sera stessa partirà per Philadelphia per poi sposarsi nei giorni successivi con la candida Peggy (Susan Sarandon).

Burns sarà disposto a tutto, anche a mentire e truffare, pur di non perdere il suo miglior cronista, ma a mettere davvero nei guai Hildy sarà proprio il suo viscerale amore per il giornalismo…

Wilder dirige una commedia divertente e graffiante, atto d’accusa contro un certo tipo di giornalismo aggressivo e spietato, soprattutto con coloro che usa e poi getta via, come: ” …la prima pagina di un quotidiano che quando esce può fare molto scalpore, ma il giorno dopo è usata tranquillamente per incartare il pesce al mercato”, frase che lo stesso Burns pronuncia a Hildy.

A quasi cinquant’anni di distanza dalla sua uscita nelle sale americane, “Prima pagina” rimane sempre un’ottima commedia, vittima però di mode e superficialità che oggi sarebbero, giustamente, inaccettabili. Come la bassa stereotipizzazione dell’omosessualità del giornalista Bensiger (interpretato da David Wayne) che risulta ancora più evidente dalla grande dignità che Wilder e Diamond donano a Molly Malloy (interpretata da Carol Burnett) la prostituta dei bassi fondi innamorata di Williams.

Se Molly, che rappresenta gli ultimi della società, è il personaggio più puro e sincero del film – che ricorda molto quelli cantanti magistralmente dal grande Fabrizio De Andrè – Bensinger è “solo” un personaggio secondario bizzoso e antipatico, dai modi “strani” dei quali tutti possono ridere. D’altronde in Gran Bretagna solo sette anni prima la realizzazione di questo film l’omosessualità smise di essere reato.

I duetti fra Lemmon e Matthau sono comunque sempre irresistibili e indimenticabili, grazie anche agli attori di supporto, tutti grandi artisti, come i già citati Gardenia e Gould, a cui si aggiungono Charles Durning e Herb Edelman nei ruoli di alcuni giornalisti colleghi di Hildy.

Nella nostra versione a doppiare Matthau non è il grande Renato Turi, ma un altrettanto bravissimo Ferruccio Amendola, mentre Giuseppe Rinaldi dona come sempre magistralmente la voce a Lemmon.

“Non per soldi… ma per denaro” di Billy Wilder

(USA, 1966)

Se nel nostro immaginario lo stereotipo dell’avvocato arraffone e opportunista è l’Azzeccagarbugli de “I promessi sposi” di Alessandro Manzoni, nella cultura americana è senza dubbio lo scaltro Willie Gringrich – il cui cognome significa letteralmente “diventa ricco” – interpretato superbamente in questo film da un eccezionale Walter Matthau, che non a caso vince l’Oscar come miglior attore non protagonista.

Siamo a metà degli anni Sessanta e la società americana, come quella di tutto l’Occidente, sta cambiando molto rapidamente. Questo soprattutto – o purtroppo, dipende dai punti di vista… – grazie al nuovo mezzo di comunicazione di massa che è diventata la televisione. Nella storia della civiltà umana, dopo i racconti verbali tramandati per millenni, solo la radio era riuscita ad entrare capillarmente in ogni focolare domestico. Ma la scatola dei sogni ha anche le immagini e così sbaraglia ogni concorrenza e, soprattutto, ogni resistenza.

Altro grande pilastro sociale negli Stati Uniti è da sempre lo sport, e proprio in quegli anni, molto prima che da noi, qualcuno ha già pensato ai ricchi profitti che il connubio tv/sport può alimentare. E così approdiamo a Cleveland, la patria della squadra di football americano dei Cleveland Browns, proprio durante una partita del massimo campionato ripresa in diretta dalla CBS.

A riprendere i giocatori da bordo campo c’è l’esperto cameraman Harry Hinkle (Jack Lemmon) che proprio alla fine di un’azione di gioco viene travolto involontariamente dal giocatore dei Browns Luther “Boom Boom” Jackson (Ron Rich). Harry, rovinando sulla matassa del telo che copre il campo, perde conoscenza e viene portato in ospedale.

Al suo capezzale si precipitano sua madre (Lurene Tuttle) sua sorella Charlotte (Marge Redmond) e suo marito Willie Gringrich che sente subito l’odore di un risarcimento a sei zeri. Appena ripresosi Harry si sente solo indolenzito, ma Willie lo convince a fingere di avere perso l’uso di una gamba e di un braccio proprio a causa del trauma, visto poi che Charlotte gli ha raccontato che da bambino lui, cadendo dal tetto, si è incrinato una vertebra.

Hinkle si rifiuta categoricamente di mentire, ma il suo diabolico cognato alla fine riesce a convincerlo che il suo stato certamente farebbe tornare la sua ex moglie Sandy (Judi West), scappata un anno prima con un musicista per far decollare la sua carriera di cantante. Intanto, all’ospedale arriva trafelato e turbato “Boom Boom” Jackson, che non riesce a perdonarsi le gravi menomazioni che ha apparentemente causato a Harry.

Nonostante il prestigioso ed esperto studio legale – con tanto di investigatore privato fornito di macchina da presa e microfoni perimetrali – incaricato dall’assicurazione di verificare l’autenticità dei danni subiti da Hinkle, Willie Gringrich riesce ad organizzare un piano a prova di bomba. L’avvocato ha pensato proprio a tutto, tranne all’anima di suo cognato che è un illuso sì, ma onesto…

Superba commedia firmata dal grande Billy Wilder maestro indiscusso del genere hollywoodiano, che rappresenta una neanche troppo velata critica alla televisione e soprattutto al lato voyeuristico e opportunistico che questa fomenta nella società. Ne sono un esempio il morboso spionaggio di Chester Purkey (Cliff Osmond), l’investigatore privato che riprende ed ascolta 24 ore su 24 Hinkle per conto dello studio legale dell’assicurazione; e l’illusione di Sandy di poter diventare un’artista famosa solamente presentandosi “come si deve” in televisione.

Come tutte le opere del maestro Billy Wilder: graffiante e sempre attuale. La pellicola sancisce la definitiva ascesa di Walter Matthau nell’olimpo delle stelle di prima grandezza del firmamento del cinema americano. La bravura di Matthau, in questo ruolo, oscura anche quella del grandissimo Lemmon.

Per la chicca: il titolo originale del film è “The Fortune Cookie” e si riferisce al biscotto della fortuna che Harry apre e nel quale c’è la famosa frase di Abraham Lincoln – che lo stesso Willie Grigrich definisce: “un ottimo presidente, ma un pessimo avvocato…” – che dice: “Potete ingannare tutti per qualche tempo e alcuni per sempre, ma non potete ingannare tutti per sempre”. Frase che forse Wilder e I.A.L. Diamond, autori della sceneggiatura, volevano riferire anche alla televisione? …Ai posteri l’ardua sentenza.

Da ricordare, nella nostra versione, gli stratosferici Renato Turi ed Emilio Cigoli che donano, come sempre superbamente, le voci rispettivamente e Walter Matthau e Jack Lemmon.

“La strana coppia” di Gene Saks

(USA, 1968)

Neil Simon, fresco del successo a Broadway della sua deliziosa commedia “A piedi nudi nel parco”, andata in scena per la prima volta nel 1963, torna a Los Angeles per passare un pò di tempo assieme al fratello Danny Simon. Nella seconda metà degli anni Cinquanta i due, infatti, fra i più richiesti autori comici televisivi, avevano lasciato la nativa New York per Los Angeles, allora cuore pulsante del piccolo schermo.

Delle capacità creative di Danny Simon – il maggiore fra i due – oltre a raccontarcele lo stesso Neil, anche Woody Allen – che allora era pure lui un giovanissimo autore televisivo di successo – nella sua deliziosa autobiografia “A proposito di niente” ce le ricorda con molta stima, considerando lo stesso Danny Simon un vero e proprio mentore della comicità.

Ma torniamo a Neil Simon che a differenza del fratello, alla soglia dei Sessanta, decide di fare il commediografo e di tornare nella Grande Mela, cosa che di fatto rompe il sodalizio di autori nato già durante l’adolescenza, ma non certo l’affetto e la stima reciproca.

Così Neil torna a passare un pò di tempo con Danny, ma quest’ultimo ha da poco divorziato e, per mere ragioni economiche, è costretto a dividere l’appartamento con un amico anche lui da poco separato.

Durate quella vacanza californiana a Neil si accende una lampadina in testa e, tornato a New York, inizia subito a scrivere la sua nuova commedia “La strana coppia” che debutterà a Broadway il 3 ottobre del 1965 riscuotendo un nuovo clamoroso successo. Non è un caso quindi se Neil dividerà le royalty della commedia col Danny.

Così Hollywood, tre anni dopo, decide di realizzare l’adattamento cinematografico mantenendo Walter Matthau nel ruolo di Oscar, mentre in quello di Felix Art Carney viene sostituito da Jack Lemmon. La sceneggiatura viene affidata allo stesso Simon che inserisce alcune scene all’aperto, ma mantiene fedelmente lo sviluppo della commedia originale. Dietro la macchina da presa c’è Gene Saks che l’anno precedente aveva diretto l’adattamento cinematografico di “A piedi nudi nel parco” con Robert Redford e Jane Fonda.

Lo scontro fra i due caratteri diametralmente opposti di Oscar e Felix, ancora oggi, nonostante gli oltre cinquant’anni del film, è sempre irresistibile, così come alcune battute che sono ancora oggi esilaranti.

Nella versione originale in italiano, ancora oggi possiamo godere della notevole arte di due grandi attori e straordinari doppiatori Renato Turi e Giuseppe Rinaldi che donano la voce superbamente e rispettivamente a Oscar e Felix.

Da vedere e rivedere.

“Senza un attimo di tregua” di John Boorman

(USA, 1967)

Lo scrittore Donald E. Westlake (1933-2008) è considerato uno dei maestri americani indiscussi dei gialli e dei noir. Con la sua enorme produzione ha toccato numerosi generi, quello della fantascienza. Non è un caso quindi se nel 1991 venne candidata all’Oscar la sua sceneggiatura dell’ottimo “Rischiose abitudini” diretto da Stephen Frears, e tratta dal romanzo di un altro grande maestro del noir americano come “Big” Jim Thompson.

Ma ancora oggi Westlake è ricordato per i suoi noir duri e tosti, dove i protagonisti sono implacabili assassini e criminali. Come “Anonima carogne” (“The Hunter” in originale) pubblicato nel 1962 con lo pseudonimo di Richard Stark.

Walker (un granitico Lee Marvin) è un professionista della rapina. Una sera ritrova ad una festa il suo vecchio amico Mal Reese (un bravissimo e “antipaticissimo” John Vernon) che gli chiede aiuto per una rapina “facile facile”.

Si tratta di intrufolarsi sull’isola di Alcatraz – chiusa da poco come penitenziario – e derubare due semplici corrieri dei soldi, che da un elicottero verrano loro recapitati. Walker, Reese e Lynn, moglie dello stesso Walker, si preparano e senza particolari problemi immobilizzano i due, portando via la borsa coi soldi. Tutto procede come da piano solo che Reese, una volta presi i soldi, uccide i due corrieri e spara anche a Walker, con la complicità di Lynn.

Ma la pellaccia di Walker è più dura di un paio di pallottole. Lasciato solo sull’isola perché creduto morto, l’uomo invece riesce a raggiungere il mare e poi San Francisco. Definitivamente ripresosi Walker viene avvicinato da un distinto uomo d’affari che gli propone un patto: lui gli consegnerà Lynn e Mal e i soldi che questo gli ha rubato, in cambio dovrà eliminare alcuni alti vertici dell’Organizzazione, un gruppo criminale che ha radici in tutti gli ambiti della società. Così, come il Conte di Montecristo, Walker si prepara a gustare la sua vendetta e riavere i suoi soldi, ma…

Ottimo noir che, grazie anche alla regia di John Boorman – un vero innovatore del linguaggio visivo di quegli anni, che troverà poi il suo apice in “Excalibur” del 1981 – con una destrutturazione temporale fatta di flashback ad incastro, non ci lascia …un attimo di tregua. Nel cast brilla anche una splendida e conturbante Angie Dickinson (che con Marvin tre anni prima aveva girato lo strepitoso “Contratto per uccidere” del maestro Don Siegel).

Anche se oggi Lee Marvin è ricordato soprattutto come un “duro” alla Stallone o alla Swarzenegger, anche in questo film come negli altri da lui girati, possiamo invece apprezzare la sua grande arte interpretativa, sopratutto nelle scene in cui recita assieme alla Dickinson.

Nel 1996 Brian Helgeland gira il remake “Payback – La rivincita di Porter” con Mel Gibson nei panni del protagonista.

Il dvd riporta lo splendido doppiaggio originale fatto quando il film uscì nelle nostre sale e con il grande Renato Turi che dona la voce a Lee Marvin. Negli extra poi sono presenti due “making of” del film girati sull’isola di Alcatraz (in lingua originale e non sottotitolati), location d’effetto dove inizia e finisce il film.

Oltre a una sezione dedicata alla locandine internazionali del film – che personalmente reputo preziosi documenti che, ovviamente non solo per questo film, ci raccontato più di mille parole le mode, le tendenze e i sogni dell’epoca – negli extra è presente anche una galleria fotografica con foto di scena e del party di fine riprese, e il trailer in originale.

“2 sotto il divano” di Ronald Neame

(USA, 1980)

Walter Matthau e Glenda Jackson tornano insieme per recitare in questa commedia, molto divertente tinta di spionaggio, in piena Guerra Fredda.

Il capace e smaliziato agente operativo della CIA Max Kendings (un sornione, e “paravento” come sempre, Walther Matthau) chiude ottimamente un’operazione di controspionaggio a Monaco di Baviera durata due anni.

Tornato a Washington però il suo nuovo capo Myerson (un antipaticissimo Ned Beatty) lo silura sbattendolo in Archivio fino alla pensione. Secondo lui, infatti, Max avrebbe dovuto arrestare anche Yaskov (Herbert Lom, già l’ispettore capo vittima di Closeau) capo del controspionaggio sovietico in Europa Occidentale.

Kendings tenta di spiegare Myrerson che è stato meglio lasciarlo al suo posto visto che lo conoscono da vent’anni, arrestarlo sarebbe significato avere un nuovo totalmente sconosciuto nemico. Ma Myerson, in maniera assai maleducata e arrogante, non lo fa neanche finire: il suo tempo è finito, gli urla in faccia, Kendings è ormai troppo vecchio e arrugginito e non c’è più spazio per vecchi “dinosauri” come lui nella nuova CIA!

Max Kendings, indignato, fa sparire il suo dossier e decide di prendersi una lunga vacanza in Europa andando a visitare la sua ex fiamma Isobel (Glenda Jackson).

Lì, visto che Myerson lo fa seguire convinto che voglia tradire e unirsi ai sovietici, Kendings decide di scrivere le sue memorie nella quali racconta le numerose azioni fallimentari e imbarazzanti eseguite o ideate dallo stesso Myerson, e spedisce i primi capitoli a tutti i servizi segreti planetari. L’Agenzia così inizia ufficialmente a dargli la caccia, ma…

Tratto dal romanzo “Spionaggio d’autore” di Brian Garfield (edito in Italia nel 1978) “Due sotto il divano” ci racconta soprattutto la fallimentare arroganza di una certa generazione nei confronti di quella passata.

Godibilissima commedia con battute memorabili (come: “…al campionato mondiale degli imbecilli arriveresti secondo …perché sei un imbecille”) che ci fa pensare ad un altro film, campione d’incassi, forse più action, ma sempre molto ironico come “Red” con Bruce Willis.

Per la chicca: il titolo originale è “Hopscotch” che in italiano sarebbe il gioco della campana, riferito al giro di nazioni e città che fa lo stesso Kendigs in poche ore, costringendo i suoi inseguitori a copiare le sue mosse.

Nella nostra versione a donare la voce a Matthau c’è, come sempre, il grandissimo e indimenticabile Renato Turi.