“The Killer Inside Me” di Michael Winterbottom

(USA, 2010)

Nel 2010 il regista pluripremiato Michael Winterbottom porta sullo schermo il terrificante romanzo “L’assassino che è in me” del grande Jim Thompson, pubblicato per la prima volta nel 1952. Si tratta del secondo adattamento cinematografico dopo quello fatto da Burt Kennedy nel 1976, che risulta ad oggi introvabile (e chi lo ha visto sussurra …menomale).

Il regista inglese, invece, grazie anche ad un cast di tutto rispetto, riesce a mantenere fede alla scritto forse più famoso di Thompson, immergendoci fin dai primi fotogrammi nella discesa agli inferi fra le più lucidamente folli della lettura del Novecento.

Texas, 1952, Lou Ford (un bravo Casey Affleck con una tagliente “faccia da schiaffi”) è il vice sceriffo di Capital City più amato da tutti. Grazie al suo volto limpido e pulito ogni cittadino si fida di lui e lo considera uno dei membri più retti e luminosi della comunità. Anche la sua fidanzata Amy (Kate Hudson) non vede l’ora di sposarlo, diventare la signora Ford e vivere assieme a lui nella grande casa che ha lasciato a Lou suo padre, il più rimpianto medico condotto della città.

L’economia di Capital City ruota intorno al petrolio e alla Conway Costruction, la società edile creata da Chester Conway (Ned Beatty), l’uomo che di fatto ha in mano la redini del potere cittadino. E sarà proprio Chester Conway a scalfire la diga dentro la quale Lou è riuscito per tanti anni a contenere il suo vero essere.

Perché Conway gli chiede, o forse sarebbe meglio dire gli impone, di cacciare dalla città Joyce Lakeland (Jessica Alba), la giovane prostituta di cui è innamorato Elmer Conway, suo figlio. E l’incontro con Joyce, risveglierà in Lou i mostri e gli abissi con i quali è cresciuto…

Non era semplice adattare un romanzo così indimenticabile e al tempo stesso terribile come quello di Thompson. Il grande Stanley Kubrick, che ne rimase profondamente colpito una volta letto tanto da volere come sceneggiatore Thompson nei film “Rapina a mano armata” e “Orizzonti di gloria”, ci rinunciò.

Ma Winterbottom riesce nell’impresa, e grazie anche alla salda sceneggiatura scritta John Curran, regalandoci una pellicola di qualità. Intendiamoci però gente, nonostante la bravura di Affleck – come di tutto il resto del cast – e la sua faccia da bravo ragazzo, le vette di orrore e limpida follia del romanzo rimangono irraggiungibili.

“Wagon-lits con omicidi” di Arthur Hiller

(USA, 1976)

Dopo essersi incontrati durante la produzione di “Mezzogiorno e mezzo di fuoco” di Mel Brooks, Gene Wilder e Richard Pryor formano finalmente una coppia cinematografica efficace e molto divertente.

Il loro mancato esordio davanti alla macchina da presa nel film di Brooks, dove Richard Pryor aveva collaborato alla sceneggiatura, fu causato dalla condotta lavorativa imprevedibile e inaffidabile dell’attore afroamericano. Tanto che anche per questa pellicola la casa di produzione fece non poche difficoltà prima di scritturarlo.

La dinamica della coppia Wilder-Pryor è semplice quanto efficace: il primo è un ingenuo sognatore mentre il secondo è un disilluso realista. E questo sottolinea, già in quegli anni, come il colore della pelle incida in maniera determinate nella formazione del carattere di una persona che nasce e vive negli Stati Uniti. Wilder, avendo la pelle rosea, può permettersi di sognare e illudersi, Pryor con la sua pelle più scura ha dovuto imparare fin da piccolo come il mondo possa essere duro e ingiusto.

Così Wilder è George Caldwell, un piccolo editore reduce dal naufragio del suo matrimonio che decide di raggiungere Chicago in treno, partendo da Los Angeles. Il viaggio dura tre giorni, rispetto alle poche ore di quello in aereo, ma Caldwell lo preferisce perché sente di avere il bisogno di stare solo con i propri pensieri.

Nel vagone ristorate dove si reca a cenare George incontra l’esuberante commesso viaggiatore Bob Sweet (Ned Beatty) che gli rivela che sul quel treno, data la lunghezza del viaggio, è frequente vivere fugaci storie d’amore. Ancora preso dalle parole di Sweet, Caldwell s’imbatte nell’avvenente Hilly Burns (Jill Clayburg al suo primo ruolo cinematografico da protagonista) la giovane segretaria del professor Schreiner, un noto esperto internazionale d’arte.

Il fato vuole che le loro cabine siano adiacenti e così, dopo cena, George viene invitato da Hilly nella sua. Proprio mentre sono sul letto baciandosi, Caldwell vede il cadavere di un uomo precipitare davanti al finestrino. Dalla descrizione che fa a Hilly sembra proprio si tratti di Schreiner, ma al mattino dopo i due incontrano l’uomo vivo e vegeto in compagnia del mercante d’arte Roger Devereau (un diabolico Patrick McGoohan). Ma…

Divertente commedia dai toni accentuati del thriller, con chiari ed espliciti omaggi al maestro Hitchcock, ma con situazioni e gag che ancora oggi divertono. Soprattutto dall’entrata in scena di Pryor che veste i panni del ladruncolo Grover T. Muldoon, che aiuterà suo malgrado Caldwell a scoprire la verità.

Se il film è per la prima parte divertente, diventa irresistibile con la comparsa appunto di Pryor che crea con Wilder un’alchimia davvero unica. Alchimia grazie alla quale i due interpreteranno insieme altri tre film, due dei quali veri e propri campioni d’incassi come “Nessuno ci può fermare” e “Non guardarmi, non ti sento“.

Nel cast c’è anche Richard Kiel con già la sua dentatura in acciaio, che poi lo renderà il famigerato “Squalo” in alcuni film di 007; saga alla quale partecipa anche Clifton James nei panni di uno sceriffo un pò imbranato ruolo, guarda caso, che interpreta anche in questa pellicola.

“Mikey & Nicky” di Elaine May

(USA, 1976)

La geniale e poliedrica artista Elaine May – a cui quest’anno è stato assegnato l’Oscar alla carriera – scrive e dirige questa originale e claustrofobica pellicola noir centrata sul rapporto decennale, ma al tempo stesso irrisolto, fra due uomini.

Mickey (Peter Falk) e Nicky (John Cassavetes) si conoscono sin dall’infanzia passata soprattutto per la strada. Così, quando il secondo si è chiuso in una stanza d’albergo per paura di essere freddato dal killer del boss a cui ha rubato dei soldi, l’unico che può chiamare in aiuto è Mickey.

I due inizieranno un lungo viaggio in una cupa e opprimente notte newyorkese cercando di sfuggire alla vendetta del boss, per il quale lavorano entrambi. Ma tutti i nodi del loro rapporto e delle rispettive esistenze verranno al pettine…

Con una scena finale dura come un pugno nello stomaco e le straordinarie interpretazioni dei due protagonisti – amici anche nella vita reale – davvero da Oscar e Golden Globe (ma che invece in tali sedi furono vergognosamente ignorati), “Mickey & Nicky” è un gioiello del cinema americano indipendente degli anni Settanta, di cui – non a caso – lo stesso Cassavetes era l’autore di spicco.

La May ci racconta un mondo tutto al maschile dove le donne, che possono aspirare al massimo a essere mogli o amanti, devono inesorabilmente adattarsi a quello che gli uomini voglio o dicono. Da ricordare, per questo, l’interpretazione di Carol Grace (seconda moglie di Walter Matthau – che con la stessa May dirige nel delizioso “E’ ricca, la sposo e l’ammazzo” solo quale anno prima – nonché amica personale di Truman Capote tanto da aver ispirato, raccontano le cronache del tempo, il personaggio di Holly Golightly, protagonista del suo romanzo “Colazione da Tiffany”) nel ruolo di Nellie, l’amante di Nickey. Nel cast anche un arcigno Ned Beatty.     

Davvero una pellicola insolita e originale, da vedere o rivedere perché sempre molto attuale, anche se nel nostro Paese è assai difficile da reperire, anche nel mondo dell’usato.

“2 sotto il divano” di Ronald Neame

(USA, 1980)

Walter Matthau e Glenda Jackson tornano insieme per recitare in questa commedia, molto divertente tinta di spionaggio, in piena Guerra Fredda.

Il capace e smaliziato agente operativo della CIA Max Kendings (un sornione, e “paravento” come sempre, Walther Matthau) chiude ottimamente un’operazione di controspionaggio a Monaco di Baviera durata due anni.

Tornato a Washington però il suo nuovo capo Myerson (un antipaticissimo Ned Beatty) lo silura sbattendolo in Archivio fino alla pensione. Secondo lui, infatti, Max avrebbe dovuto arrestare anche Yaskov (Herbert Lom, già l’ispettore capo vittima di Closeau) capo del controspionaggio sovietico in Europa Occidentale.

Kendings tenta di spiegare Myrerson che è stato meglio lasciarlo al suo posto visto che lo conoscono da vent’anni, arrestarlo sarebbe significato avere un nuovo totalmente sconosciuto nemico. Ma Myerson, in maniera assai maleducata e arrogante, non lo fa neanche finire: il suo tempo è finito, gli urla in faccia, Kendings è ormai troppo vecchio e arrugginito e non c’è più spazio per vecchi “dinosauri” come lui nella nuova CIA!

Max Kendings, indignato, fa sparire il suo dossier e decide di prendersi una lunga vacanza in Europa andando a visitare la sua ex fiamma Isobel (Glenda Jackson).

Lì, visto che Myerson lo fa seguire convinto che voglia tradire e unirsi ai sovietici, Kendings decide di scrivere le sue memorie nella quali racconta le numerose azioni fallimentari e imbarazzanti eseguite o ideate dallo stesso Myerson, e spedisce i primi capitoli a tutti i servizi segreti planetari. L’Agenzia così inizia ufficialmente a dargli la caccia, ma…

Tratto dal romanzo “Spionaggio d’autore” di Brian Garfield (edito in Italia nel 1978) “Due sotto il divano” ci racconta soprattutto la fallimentare arroganza di una certa generazione nei confronti di quella passata.

Godibilissima commedia con battute memorabili (come: “…al campionato mondiale degli imbecilli arriveresti secondo …perché sei un imbecille”) che ci fa pensare ad un altro film, campione d’incassi, forse più action, ma sempre molto ironico come “Red” con Bruce Willis.

Per la chicca: il titolo originale è “Hopscotch” che in italiano sarebbe il gioco della campana, riferito al giro di nazioni e città che fa lo stesso Kendigs in poche ore, costringendo i suoi inseguitori a copiare le sue mosse.

Nella nostra versione a donare la voce a Matthau c’è, come sempre, il grandissimo e indimenticabile Renato Turi.