“Indiana Jones e il quadrante del destino” di James Mangold

(USA, 2023)

Ci siamo, il tempo passa per tutti anche per il leggendario professor Henry Jones Jr (un sempre gajardo e tosto Harrison Ford) che tutti chiamano “Indiana”. E così, alla fine degli anni Sessanta, l’archeologo più famoso della celluloide deve andare in pensione, proprio mentre i primi esseri umani mettono il piede sulla Luna.

Ma non è la pensione ad annichilire il dottor Jones, sono le cose e le scelte fatte e, soprattutto, quelle non fatte. Fra le prime, senza dubbio, ci sono quelle che hanno portato al naufragio della sua famiglia. L’allontanamento definitivo da Marion (Karen Allen) ha minato l’anima del professore che si rassegna così a passare quello che gli rimane da vivere in assoluta e alcolica solitudine.

A scardinare questa convinzione ci pensa Helena Shaw (Phoebe Waller-Bridge), figlia di Basil Shaw (Toby Jones) vecchio amico e collaboratore di Jones, scomparso qualche anno prima. Proprio con Shaw, durante la fine del secondo conflitto mondiale, Jones era riuscito a trovare una parte della macchina di Anticitera realizzata da Archimede nel II secolo a.C., che di fatto è il più antico calcolatore meccanico conosciuto al mondo.

La macchina, che prese il nome dell’isola greca presso la quale venne rinvenuta nei primi del Novecento da due pescatori di spugne nel relitto di un’antica nave romana, era una sorta di planetario che serviva ad anticipare le stagioni, i cambiamenti climatici e gli eventi atmosferici in generale. Ma il Dottor Voller (Mads Mikkelsen), fra i matematici di spicco del Terzo Reich, la voleva portare ad Hitler perché convinto che possedesse la chiave per viaggiare nel tempo e poter vincere così ogni guerra.

E proprio dalle mani di Voller, Jones la prese assieme a Shaw che la conservò gelosamente. Però lo studio morboso della macchina di Archimede portò Shaw alla follia, tanto che alla fine era convinto che Voller avesse ragione e per questo era sul punto di distruggerla. Per conservare un reperto archeologico così importante Jones gliela portò via promettendo di distruggerla. Motivo per il quale 18 anni dopo Helena la richiede al vecchio amico di suo padre.

Ma sulle sue tracce ci sono gli uomini dell’implacabile professor Smith, il matematico che più degli altri è riuscito a mandare l’Apollo 11 sulla Luna e per questo ha il massimo appoggio della Casa Bianca. Ma la stessa Casa Bianca forse ignora che Smith è in realtà Voller, che vuole la macchina di Anticitera per cambiare la storia e il destino del mondo…

Scritto da David Koepp, Jez Butterworth, John-Henry Butterworth e James Mangold, e basato sui personaggi ideati da George Lucas, questo “Indiana Jones e il quadrante del destino” – che è il primo della serie a non essere diretto da Steven Spielberg che appare però assieme all’amico Lucas come produttore esecutivo – oltre a divertici con sequenze mozzafiato, battute e godibilissime autocitazioni, ci offre una riflessione crepuscolare sul tempo che passa inesorabilmente per tutti, anche per gli eroi immortali dei film.

Da sempre l’essere umano vorrebbe viaggiare nel tempo, spesso per poterlo cambiare a proprio favore, per correggere i propri errori o forse per non morire mai. Ma già il grande H.G. Wells nel suo splendido “La macchina del tempo” sosteneva che, anche potendo tornare indietro, il nostro destino, come quello degli altri, sarebbe comunque immutabile. E allora Indiana Jones, alla fine, ci sussurra all’orecchio che se proprio il nostro passato non lo possiamo cambiare, possiamo senza dubbio essere padroni del nostro futuro.

Nel cast appare anche Antonio Banderas, che si doppia da solo nella nostra versione. Dopo “Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta” e “Indiana Jones e l’ultima crociata” questo è il più sfizioso della serie.

Un solo appunto al film, e alla nostra versione, in cui Jones replica tagliente al Dottor Voller che nessun tedesco sa essere spiritoso. Che i nazisti, tedeschi o di qual qualsivoglia nazionalità, non siano capaci di essere spiritosi è un tragico dato di fatto scritto a ferro fuoco e sangue nella storia planetaria dell’ultimo secolo, ma non condivido assolutamente che la cosa possa valere per tutti i tedeschi in generale.

“Doctor Strange” di Scott Derrickson

(USA, 2016)

Quando la Disney acquisì la Marvel forse non tutti intuirono come in breve tempo i fumetti avrebbero invaso il cinema. Ma sopratutto le enormi possibilità che tale mossa commerciale avrebbe concesso alla Disney che, grazie ai numerosi blockbuster nati dalle strisce della Marvel, fra le altre cose potè comprare anche la Lucas Ltd.

Ma se c’è un’inflazione di adattamenti cinematografici di fumetti questo, di uno degli eroi molto più complessi e atipici rispetto a quelli più famosi – e che è uno dei miei preferiti in assoluto – è davvero un bel film. Basato sul fumetto creato da Stan Lee (che appare, come sempre, in un piccolo cameo) e Steve Ditko, scritto per il cinema dallo stesso Derrickson assieme a John Spaihts e C. Robert Cargill, “Doctor Strange” è un ottimo film fantasy con degli effetti speciali davvero da Oscar.

Un grande Benedict Cumberbatch presta il volto all’arrogante ma eccezionale neurochirurgo Stephen Strange che a causa di un incidente automobilistico è costretto a rinunciare alla sua brillante carriera. Nella speranza di ritrovare le abilità perdute, Strange approda in Nepal dove incontra l’Antico, uno stregone che lo inizia alle numerose dimensioni che popolano il nostro multiverso, e che al tempo stesso nascondono multi-insidie…

Nel cast appaiono anche Chiwetel Ejiofor, Rachel McAdams, Benjamin Bratt, Mads Mikkelsen – il cattivo dei cattivi! – e la fascinosa Tilda Swinton.

Per la chicca: spero per voi che non vi siate alzati prima della fine dei titoli di coda…

“Rogue One: A Star Wars Story” di Gareth Edwards

(USA, 2016)

Scritto da Chris Weitz e Tony Gilroy – giovani ma ben rodati sceneggiatori – e diretto da Gareth Edwards, è arrivato caldo caldo nelle sale italiane l’ultimo capitolo della saga più famosa della storia del cinema.

Ultimo sì, ma non in senso cronologico della storia – che al momento rimane “Star Wars: Il risveglio della Forza” – questo “Rogue One” (che è il primo della nuova serie “Star Wars Anthology” che racchiuderà una serie di pellicole parallele a quelle vere e proprie della saga) è ambientato poco prima di “Guerre Stellari” – che poi ha preso il titolo “Una nuova speranza” – e ci racconta come un manipolo di ribelli eroi riesca a rubare i preziosissimi piani della famigerata Morte Nera, dettaglio fondamentale dello stesso primo film, fino a oggi mai affrontato.

Nel cast spiccano Felicity Jones, Forest Whitaker, Mads Mikkelsen (il primo cattivissimo di James Bond/Daniel Craig) e Diego Luna (attore e regista messicano, interprete fra gli altri di film come “Elysium”, “Milk” o “Il Libro della Vita”). E ovviamente lui, il cattivo dei cattivi, colui che una volta era Anakin Skywalker: Lord Darth Vader. E con lui è presente anche un tormentato rapporto padre-figlio, o meglio figlia.

Se “Star Wars: Il risveglio della Forza” era rivolto alle nuove generazioni, questo “Rogue One” è stato pensato, scritto e realizzato per chi nel lontano 1977 rimase “folgorato” – eddaje! – al cinema da “Guerra Stellari”.

Torna tutto, tutto si incastra e ci prepara per andare “Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana”. E poi c’è l’incredibile ricostruzione digitale di Peter Cushing, che come in “Star Wars: Una nuova speranza” interpreta il perfido Tarkin, incredibile visto che Cushing è scomparso nel 1994. E quella di…

Il titolo – che letteralmente sarebbe “canaglia 1” – è riferito a… beh, ve lo andate a vedere al cinema!

Per veri amatori: astenersi perditempo.