“Profumo di donna” di Dino Risi

(Italia, 1974)

Dino Risi e Ruggero Maccari scrivono la sceneggiatura del primo adattamento cinematografico dello splendido romanzo “Il buio e il miele”, scritto da Giovanni Arpino e pubblicato per la prima volta nel 1969.

I due grandi cineasti italiani apportano alcune piccole modifiche alla storia originale, come il nome del giovane militare che nel romanzo non viene mai citato o quella che riguarda il volto del protagonista: il capitano dell’esercito non vedente che nel romanzo è gravemente sfigurato, nel film ha invece quello splendido e tagliente di un Vittorio Gassman stratosferico, in una delle sue interpretazioni cinematografiche più famose di sempre.

Il giovane studente Giovanni Bertazzi (un bravo e sornione Alessandro Momo, alla sua ultima interpretazione perché, purtroppo, perirà poche settimane dopo la fine delle riprese in un incidente automobilistico guidando la motocicletta prestatagli dalla sua amica Eleonora Giorgi) sta per terminare il servizio di leva obbligatorio e il suo capitano gli affida un compito particolare che gli consentirà di godere di alcuni giorni di licenzia in più.

Deve assistere e accompagnare un ex militare che, quasi dieci anni prima, è rimasto cieco, perdendo anche una mano, per lo scoppio imprevisto di una granata durante una esercitazione. Il capitano Fausto Consolo (Gassman), che ha ormai quarant’anni e vive in solitudine in una grande casa nel centro di Torino assieme ad un’anziana cugina. Nonostante i facoltosi mezzi di cui dispone, intende compiere un viaggio in treno per raggiungere Napoli.

La prima sosta con pernotto verrà effettuata a Genova mentre la seconda a Roma. A Napoli lo aspetta il tenente Vincenzino (Franco Ricci) suo ex commilitone e compagno di disgrazia, visto che gli era accanto durante l’esplosione e anche lui ha perduto la vista.

Dal primo incontro Giovanni comprende che il capitano Consolo è un uomo molto difficile e complicato, non certo per la sua disabilità, ma per la rabbia e per il rancore con cui l’affronta. Rabbia e rancore che fin troppo spesso sfoga sugli altri e poi su se stesso, abusando di sigarette ed alcol.

Consolo gli impone di chiamarlo Ciccio, come ha fatto con i suoi attendenti temporanei precedenti, e i due partono per il viaggio come stabilito. Già dai primi attimi Consolo non fa che mettere in imbarazzo il giovane e tutti quelli che incontra ostentando il suo rancore con il mondo interno. Arrivati a Genova, l’ex capitano gli chiede di andare a studiare le prostitute nella via adiacente il loro albergo e di sceglierne una con alcuni requisiti ben precisi.

La notte i due dormono in camere comunicanti, Giovanni si accorge che il suo compagno di viaggio si è addormentato con la luce accesa. Mentre gliela sta spegnendo, intravede una rivoltella nascosta nella valigia, cosa che naturalmente lo mette in ulteriore agitazione. Il giorno dopo Fausto si fa accompagnare dalla prostituta (incarnata da Moira Orfei) e dopo l’incontro a pagamento rimprovera Ciccio per avergli mentito: non era lei quella che lui aveva individuato il giorno prima.

Arrivati a Roma, Fausto fa visita a suo cugino prete, che cristianamente accetta porgendo l’altra biblica guancia agli insulti e alle offese che come sempre l’ex militare gli rivolge. Nonostante le grandi differenze, il rapporto fra l’ex capitano ed il giovane Bertazzi diventa sempre più complice e prima di ripartire per Napoli, Ciccio decide di presentargli la sua ragazza. Dopo l’incontro Fausto gli aprirà gli occhi – …è proprio il caso di dirlo – su alcuni ambigui comportamenti della giovane che lui, nonostante una vista perfetta, non era mai riuscito ad individuare.

A Napoli i due vengono ospitati in casa di Vincenzino frequentata, oltre che dall’attendente ”temporaneo” dell’ex tenente (Sergio Di Pinto), da alcune ragazze che sono le figlie, a alcune relative amiche, della titolare della trattoria non troppo lontana, dove il padrone di casa è solito consumare i pasti.

Fra queste c’è Sara (Agostina Belli, che grazie a questo ruolo verrà consacrata a stella del nostro cinema) che, poco più che adolescente, è da sempre innamorata di Fausto, che invece la rifiuta e l’allontana umiliandola tutte le volte. Il vero scopo del viaggio, Fausto lo ha tenuto nascosto a tutti, tranne che a Vincenzino che anche in questo frangente sarà suo triste complice…

A distanza di cinquant’anni questa pellicola possiede integra tutta la sua potenza narrativa ed il suo fascino struggente e disperato, soprattutto grazie a un Vittorio Gassman stratosferico ed indimenticabile, che sembra proprio quello uscito dalle pagine del libro di Arpino. Una riflessione dolorosa e melanconica sulla vita e su come bisognerebbe affrontarla e su come, invece, alla fine la si riesce ad affrontare.

Il successo del film supera i nostri confini, facendogli conquistare numerosi premi fra i quali il César in Francia come miglior film straniero e il premio a Vittorio Gassman come miglior attore al Festival di Cannes. Inoltre, colleziona prestigiose candidature come quella alla Palma d’Oro sempre a Cannes di Risi, e agli Oscar sia come miglior film straniero che come migliore sceneggiatura non originale per Risi e Maccari.         

Nel 1992 Martin Brest dirige “Scent Of A Woman – Profumo di donna”, adattato per il grande schermo da Bo Goldman e ispirato al film di Risi e al romanzo di Arpino. A parte la grande interpretazione di Al Pacino – che vince l’Oscar – nel ruolo che fu di Gassman, la pellicola americana non sfiora lontanamente le vette di questa diretta da Risi.

“Lo spaventapasseri” di Jerry Schatzberg

(USA, 1973)

Sul bordo di una strada, persa fra le colline dell’immensa campagna degli Stati Uniti, si incontrano due sconosciuti in cerca di un passaggio: Max (Gene Hackman) e Francis Lionel (Al Pacino). Mentre il primo è un rude e volitivo ex detenuto con in testa l’idea che gli farà cambiare la vita e cioè metter su un autolavaggio a Pittsbugh, il secondo è un pacifico ex marinaio che vuole solo tornare a Detroit dove ha lasciato la sua ragazza incinta, sei anni prima.

I due caratteri così opposti diventano subito complementari, mentre Max ce l’ha col mondo intero ed è pronto a venire alle mani con tutti, grazie anche al suo fisico massiccio e possente, Lionel è invece un minuto e placido ottimista che è convinto, per esempio, che gli spaventapasseri facciano ridere di gusto gli uccelli, senza terrorizzarli, motivo per il quale poi lasciano in pace il campo coltivato sottostante.

Max decide così’ di fare diventare Lionel il suo socio nell’autolavaggio, ma prima di arrivare a Pittsburgh, dove lui ha in banca i soldi che gli consentiranno di aprire l’attività, decide di passare a Denver per trovare la sua ex Coley (Dorothy Tristan). Ma già prima di arrivare a Detroit, il destino impartisce una dura lezione a Lionel, ricordandogli quanto sia pericoloso il lato più ingenuo e superficiale del suo carattere…

Grazie anche ai due grandissimi protagonisti Hackman e Pacino, questa pellicola è una delle più significative del cinema americano indipendente degli anni Settanta. Dopo il sogno dei Sessanta, la dura realtà sbatte prepotentemente contro le speranze di una generazione che credeva davvero nel cambiamento e nel riuscire a realizzare i propri desideri, anche quelli più semplici e banali. Il risveglio così è senza sconti per nessuno.

Schatzberg, come avevano fatto qualche anno prima John Schlesinger nel suo splendido “Un uomo da marciapiede” o Bob Rafelson nel suo “Cinque pezzi facili“, ci tratteggia una società occidentale che inizia a fare i conti con se stessa, conti che per i più deboli, economicamente ma soprattutto emotivamente, non tornano più. E’ una società che ormai non concede loro spazio né pietà.

Scritto da Garry Michael White, con l’ottima fotografia curata da Vilmos Zsigmond (che è stato il responsabile della fotografia di pellicole come “Un tranquillo weekend di paura” di John Boorman, “Sugarland Express” e “Incontri ravvicinati del terzo tipo” di Steven Spielberg, “Obsession – Complesso di colpa” e il cult “Blow Out” di Brian De Palma” o “Il cacciatore” di Michael Cimino) questo film, fra gli altri premi, ha vinto anche la Palma d’Oro al Festival di Cannes.

Da vedere.

“My Old Lady” di Israel Horovitz

(USA/Francia/UK, 2014)

Il drammaturgo, attore e regista Israel Horovitz (1939-2020), è stato uno degli autori americani più prolifici della seconda metà del Novecento con al suo attivo oltre settanta opere – tradotte e realizzate in più di trenta paesi -, fra cui “Line” che è andata in scena per ben 43 anni consecutivi stabilendo un vero record nei teatri Off-Broadway. Horovitz, per realizzare il suo sogno di autore, lasciò il Massachusetts per New York insieme al suo storico amico John Cazale, che fu il protagonista di molte delle sue prime opere, fra cui “L’indiano vuole il Bronx” che segnò il debutto sul palcoscenico di Al Pacino.

Nel 2014 Horovitz decide di realizzare l’adattamento cinematografico della sua pièce teatrale “My Old Lady”, ambientata a Parigi, città nella quale, insieme a New York, il drammaturgo viveva.

Mathias Gold (un bravissimo Kevin Kline) è un uomo di mezza età solitario e insoddisfatto. Quasi nulla nella sua vita è andato bene, a partire dal rapporto irrisolto e molto doloroso coi suoi genitori che ha inficiato tutto, dal suo ambito sentimentale a quello lavorativo. E così Mathias si ritrova senza un soldo in tasca, o meglio solo con quelli che gli consentono dagli Stati Uniti di raggiungere Parigi, dove c’è la parte di eredità che gli ha lasciato il suo ricco padre morendo qualche settimana prima.

Anche se nella sua infanzia è già stato nella Ville Lumiere, Mathias a stento parla e comprende il francese e così rimane completamente spiazzato quando nella sua nuova grande casa, che intende vendere il più presto possibile, vi trova Mathilde Girard (una sempre brava Maggie Smith) e sua figlia Chloé (Kristin Scott Thomas).

Mathilde, oltre quarant’anni prima, ha venduto a suo padre la grande casa con la clausola “viager”, un antico metodo francese, simile alla nostra “nuda proprietà”, ma che contempla anche il pagamento all’ex proprietario di un affitto mensile vita natural durante.

Se all’inizio Mathias viene preso dall’ira, soprattutto verso suo padre che anche dopo morto lo continua a “perseguitare”, alla fine, proprio grazie alle due donne, comprenderà molta parte della sua passata esistenza…

Struggente e dolorosa pellicola sui drammi e le tragedie che si consumano all’interno della famiglia; quella che invece, almeno sulla carta, i problemi li dovrebbe risolvere. Il cast, davvero eccezionale, riesce a far dimenticare la natura teatrale dell’opera. D’altronde Horovitz non era alieno al cinema visto che nel 1970 scrisse la sceneggiatura dell’indimenticabile “Fragole e sangue” diretto da Stuart Hagmann.

“C’era una volta a… Hollywood” di Quentin Tarantino

(USA, 2019)

Quel genio folle e unico di Quentin Tarantino non sbaglia un colpo. Alla suo nona prova da regista ci regala un grande film sul cinema, sulla televisione e sulle loro reciproche contaminazioni nella vita reale.

Nato come un romanzo, “C’era una volta a…Hollywood” è diventato un film dopo quasi cinque anni di lavorazione; e ci racconta la storia di Rick Dalton (un bravissimo Leonardo DiCaprio) e della sua fedele controfigura Cliff Booth (un altrettanto bravo Brad Pitt).

Siamo alla fine degli anni Sessanta e la citta è Los Angeles. Dalton è un attore la cui carriera, dopo una serie tv Western di successo, è ormai in fase calante. L’unico vero amico che ha, oltre all’alcol, è Cliff che 24 ore al giorno gli guarda le spalle.

Ma Rick Dalton possiede un’altra peculiarità: abita accanto al 10500 di Cielo Drive, dove da qualche tempo risiedono i Polanski: il geniale ed eclettico regista di origine polacche Roman e la sua giovane moglie Sharon Tate (Margot Robbie).  

Purtroppo sappiamo tutti cosa accadde tragicamente la notte fra l’8 e il 9 agosto del 1969, grazie alla follia omicida allucinata di Charlie Manson e della sua Family che massacrarono la Tate e altre quattro persone. Ma Quentin Tarantino non ci sta, la magia del cinema glielo consente, e così come solo davanti alla macchina da presa, su un palcoscenico o in un libro è possibile fare: cambia la storia.

I vili aguzzini della Family commetteranno quindi l’errore di sbagliare casa…

Per noi italiani questo film ha anche un altro merito: quello di omaggiare la nostra grande cinematografia passata. A partire dal titolo, Tarantino cita e onora alcuni nostri grandi cineasti, che invece da noi, per molti, sono caduti da anni nel dimenticatoio.

Per la chicca: ad impersonare Linda Kasabian, una delle ragazze della Family che però fugge al momento della strage – e che poi nella realtà sarà il testimone chiave nei processi contro Manson e i suoi – è Maya Hawke, figlia di Ethan Hawke e …Uma Thurman.  

John Cazale

Classe 1935, John Cazale è stato uno degli attori americani più rappresentativi degli anni Settanta, nonostante la sua prematura scomparsa e i pochi – ma boni! – film interpretati.

Cazale, infatti, ha partecipato solo a cinque pellicole ma tutte candidate all’Oscar come miglior film quali: “Il Padrino”, “La conversazione”  e “Il Padrino – Parte II” diretti da Francis Ford Coppola, ”Quel pomeriggio di un giorno da cani” di Sidney Lumet e “Il Cacciatore” di Michael Cimino.

Il ruolo che lo ha fissato nell’immaginario collettivo è certamente quello di Fredo Corleone, il fratello debole e vigliacco di Michael.

E sulla stessa linea caratteriale sono stati anche gli altri personaggi da lui interpretati come quello di Sal ne “Quel pomeriggio di un giorno da cani” o di Stan ne “Il Cacciatore”.

Amico d’adolescenza di Al Pacino, una volta giunto a New York insieme a Israel Horovitz, John Cazale comincia a calcare i palcoscenici di Broadway.

Agli inizi degli anni Settanta conosce una giovane e promettente attrice di quattordici anni più giovane di lui, alla quale rimarrà legato fino alla morte, ma con la quale reciterà solo nel suo ultimo film “Il cacciatore”. Lei è Meryl Streep.

Infatti la breve, ma intensa, carriera di Cazale si chiude col capolavoro di Michael Cimino nel quale recita già mortalmente minato da un cancro ai polmoni.

Proprio per il suo stato, la produzione non lo voleva nel cast, ma l’insistenza dell’amico Robert De Niro, assieme a quella del regista e del resto del cast ebbero la meglio. E così vennero riprogrammate le riprese per consentire a Cazale di recitare prima dell’avvento definitivo del male che lo ucciderà il 12 marzo del 1978, senza permettergli di vedere il film terminato che arriverà nelle sale americane solo l’8 dicembre successivo.

Alla Festa del Cinema di Roma del 2009 è stato presentato il cortometraggio su Cazale diretto da Richard Shepard e intitolato “I Knew It Was You: Rediscovering John Cazale”, con interviste ad alcuni dei suoi amici e colleghi, che se vi capita fra le mani vi consiglio di vedere.

“Carlito’s Way” di Brian De Palma

(USA, 1993)

Questo è uno dei film più struggenti e romantici di Brian De Palma, con un Al Pacino in stato di grazia, che ci regala uno dei personaggi immortali del cinema degli ultimi decenni.

1975: dopo cinque anni di carcere, Carlito Brigante esce per un vizio di forma ed evita così di scontare gli altri venticinque anni che gli spettavano.

Torna in quello che era il suo regno, la strada in cui lui era il re dello spaccio. Ma le cose sono cambiate e Carlito sa bene di essere cinque anni più vecchio, il che vuol dire un’eternità.

Non intende tornare nel giro, sa che gli sarebbe fatale, e così ha un solo obiettivo: rilevare un noleggio auto alle Bahamas e godersi al sole il resto della vita in pace. Ma, parafrasando John Lennon: la vita è quello che ti capita mentre fai altri progetti…

Nel cast anche un grandissimo Sean Penn e una brava Penelope Ann Miller, ma soprattutto una strepitosa ambientazione, con relativa stellare colonna sonora, nella New York dei luccicanti anni Settanta.

Indimenticabile.