“Zen – Grogu e i nerini del buio” di Katsuya Kondô

(Giappone/USA, 2022)

Che la saga di “Guerre Stellari”, fin dal suo concepimento nella testa geniale di George Lucas, fosse fortemente legata alla tradizione e alla cultura giapponese è sempre stato molto lampante. La stessa figura dello Jedi si ispira palesemente a quella degli antichi samurai, come la Forza tocca corde e riferimenti delle filosofie orientali Zen. Per non parlare poi del casco del famigerato Lord Darth Fenner che prende chiaramente spunto da quello tradizionale dei samurai.

Non è un caso quindi che lo stesso Lucas, assieme a Francis Ford Coppola, sia stato anche il produttore di alcune pellicole giapponesi come “Kagemusha: l’ombra del guerriero” diretta dal maestro Akira Kurosawa.

Anche se ormai Lucas ha ceduto i diritti delle sue opere – compresi quelli di “Guerre Stellari” – alla Disney, il rapporto fra le sue idee geniali e la fantasia del Sol Levante è sempre molto forte, tanto da portare il mitico Studio Ghibli a realizzare – col supporto della stessa Disney – questo delizioso cortometraggio dedicato all’incredibile incontro fra Grogu – il piccolo protagonista della fortunata serie “Mandalorian” – e i nerini del buio, minuti personaggi fatti di fuliggine, creati dal maestro Hayao Miyazaki nella splendida pellicola “Il mio vicino Totoro” e ripresi nell’altrettanto splendido “La città incantata“.

Un incontro in pieno stile Zen, che non ha bisogno di nessuna parola, ma che parla brillantemente alla nostra anima e alla nostra fantasia.

Scritto e diretto da Katsuya Kondô, storico collaboratore della stesso Miyazaki, questo cortometraggio è fatto da 180 secondi di pura poesia.

“Anatomia di un rapimento” di Akira Kurosawa

(Giappone, 1963)

Il maestro Akira Kurosawa esplora superbamente il classico noir crime americano, tanto da realizzare un’opera storica e di riferimento per tutto il genere cinematografico, e non solo.

Sceglie il romanzo “Due colpi in uno” pubblicato da Ed McBain nel 1959 e lo ambienta a Tokyo. Così entriamo nella lussuosa villa, che domina un quartiere povero, dell’imprenditore Kingo Gondo (Toshiro Mifune) proprio durante una riunione con gli altri membri del consiglio di amministrazione della National Shoes.

Mentre i suoi colleghi gli propongono di formare una cordata e defenestrare il presidente e fondatore della società, suo figlio Jun gioca nel giardino della villa a cowboy e indiani con Shinichi, il figlio di Aoki, il suo autista. Gondo si rifiuta e caccia i suoi colleghi di casa per poi confidarsi con la moglie Reiko e il suo segretario Kawanishi: ha ipotecato tutte le sue proprietà per comprare segretamente le azioni della National Shoes e diventare lui il nuovo presidente. Ma le parole dell’uomo vengono interrotte dallo squillo del telefono: è uno sconosciuto che dichiara di aver rapito Jun e per liberarlo senza ucciderlo vuole 30 milioni di yen, poco meno della cifra che lo stesso Gondo ha raccolto per la sua scalata.

Appena chiusa la telefonata incredibilmente Jun torna in casa cercando Shinichi. Appare chiaro quindi che il rapitore ha sbagliato bambino e fra le sue mani c’è il figlio di Aoki. Il padrone di casa chiama subito la Polizia che discreta giunge nella villa. Il rapitore richiama ammettendo l’errore, ma se non vuole che il piccolo muoia, anche se non è suo figlio, Gondo deve pagare lo stesso.

L’uomo così si trova davanti a un bivio: o salvare il figlio del suo fidato autista e perdere tutto quello per cui ha lavorato per oltre trent’anni, o diventare presidente della National Shoes ma lasciare morire il piccolo Shinichi. Intanto la Polizia inizia le sue indagini…

Splendida pellicola d’antologia, con un ritmo e una regia indimenticabili. Scritto dallo stesso Kurosawa assieme a Hideo Oguni, Ryuzo Kikushima, Eijiro Hisaita questo film, che ci inchioda alla poltrona ad ogni fotogramma, è di fatto diviso in due: la prima claustrofobica parte si consuma all’interno di villa Gondo, mentre la seconda alla centrale della Polizia e fra i quartieri di Tokyo, anche i più degradati dove il grande cineasta giapponese non ha paura di portare la cinepresa.

Così Kurosawa ci parla anche di una piaga sociale che da noi, in quegli anni, era quasi sconosciuta o peggio tabù: l’eroina e la sua terrificante dipendenza. Arriviamo così alla scena finale, con l’incontro/scontro fra Gondo e il rapitore, davvero memorabile e tragicamente attuale, dove ognuno dei due incarna una parte della società, con le proprie ombre e le proprie luci.

Basta guardarlo anche una sola volta per accorgersi quanto è ancora oggi citato o imitato.

Da vedere.

“La sfida del samurai” di Akira Kurosawa

(Giappone, 1961)

L’amante del genere western e “fordiano” dichiarato – nel senso di appassionato del regista John Ford – Akira Kurosawa nel 1961 realizza uno dei suoi capolavori assoluti ambientando una vicenda classica da Far West nel Giappone della fine dell’Ottocento.

Un ronin senza nome (un grande Toshiro Mifune) fa tappa casualmente, nel suo eterno girovagare, in un piccolo paese dilaniato dalla lotta fra le due yakuza Sebei e Ushitora che lo dominano. Il samurai decide di liberare la piccola popolazione dalla doppia tirannia cercando di mettere le due famiglie una contro l’altra.

Il fratello minore di Ushitora, unico nella regione, possiede una pistola e con quella è convinto di annientare qualsiasi katana. Ma il ronin non la pensa allo stesso modo…

Epica e indimenticabile pellicola che è di fatto una delle vere pietre miliari della cinematografica planetaria, scritta dallo stesso Kurosawa – che proveniva da una famiglia di antichi samurai – e Ryûzô Kikushima. La pellicola viene giustamente premiata alla Mostra del Cinema di Venezia dove Mifune vince la Coppa Volpi per la sua interpretazione e Kurosawa candidato al Leone d’Oro. Il film, però, è rimasto negli annali della storia del cinema anche perché è di fatto la pellicola che ha ispirato Sergio Leone per il suo “Per un pugno di dollari” del 1964.

Probabilmente Leone non pesava che il suo primo film con Clint Eastwood potesse riscuotere un successo così clamoroso in tutto il mondo, e così girò una sorta di remake senza la minima autorizzazione. I produttori fecero causa a Leone alla fine della lite legale fu costretto a stornare a Kurosawa e ai suoi produttori parte dei guadagni e a cedergli i diritti di distribuzione del suo film in Asia.

Questo ovviamente non toglie nulla all’opera di Sergio Leone che rimane comunque un’altra pietra miliare del cinema mondiale, visto poi che se la storia e alcuni particolari sono davvero molto simili (Mifune appare per la maggior parte del film con uno stecchino in bocca, che diventa un sigaro per Eastwood; così come lo scontro epico fra katana e pistola di Kurosawa, si trasforma in pistola e fucile per Leone) la potenza visiva di Leone è ancora oggi difficilmente eguagliabile (per non parlare delle musiche del maestro Morricone).

Da vedere, che amiate il sushi o gli spaghetti …western.

“Una meravigliosa domenica” di Akira Kurosawa

(Giappone, 1947)

Nel Giappone devastato del primissimo secondo dopoguerra hanno la “sfortuna” di vivere i due giovani fidanzati Yuzo (Isao Numasaki) e Masako (Chicko Nakaklita). Il loro amore è nato prima dello scoppio della guerra ed è una delle poche cose rimaste in piedi nella terra del Sol Levante.

Ma la situazione sociale ed economica del Paese è tragica e così i due, che lavorano incessantemente dal lunedì al sabato in cambio di un misero stipendio, vivendo ospiti da una sorella lei e da un amico lui, posso vedersi solo la domenica.

In tasca hanno 35 yen in totale, cosa che gli permetterà ben pochi svaghi. Ma l’amore sembra l’unica cosa che conta. Durante il passare delle ore però, la loro grave indigenza li opprime sempre più. Anche il feroce cinismo di un orfano di guerra vagabondo, che ricorda incredibilmente i due protagonisti dello splendido “La tomba delle lucciole” di Isao Tahakata, non fa che accrescere il rancore di Yuzo. Rancore che esplode in rabbia quando i due non possono far altro che riconoscere che nel loro Paese, al momento, stanno diventando ricchi solo spregiudicati e criminali.

Yuzo, rabbioso, impone a Masako un ultimatum: o lei lo seguirà a casa del suo amico, dove è sottinteso che consumeranno il loro primo rapporto sessuale, oppure lui se ne andrà per gli affari suoi. La ragazza, che sogna da sempre romanticamente il loro primo rapporto in altre più serene e felici contingenze prima rifiuta ma poi, per paura di perderlo, accetta.

Ma nel vedere il suo amore cedere disperata, Yuzo riacquista la ragione e propone di andare a prendere un tè. Mentre vagano per la città, che ormai sta diventando preda della sera, i due si fermano in un auditorium all’aperto desolato. Yuzo decide di dirigere un’orchestra immaginaria alla quale fa suonare “L’incompiuta” di Franz Schubert, che proprio nel pomeriggio non sono riusciti ad andare ad ascoltare a causa dei bagarini.     

La musica magicamente invade l’aria fino a quando la stessa Masako, guardando fissa la macchina da presa, esige decisa un applauso del pubblico per tutta la sua generazione che sta vivendo il periodo più buio nella storia del Giappone. Perché senza una speranza e senza un lavoro e un vero e giusto stipendio non c’è dignità. Ma grazie all’amore e alla stima di Masako, Yuzo riacquista la sua.  

Bellissima pellicola scritta dallo stesso Kurosawa assieme a Keinosuke Uekusa, che ci racconta di un Giappone piegato dal conflitto e ormai terra di conquista culturale e morale. Ed è soprattutto quest’ultimo concetto che Kurosawa sottolinea superbamente attraverso anche la scenografia che ci descrive infiniti ruderi sui quali troneggiano numerose scritte in inglese poste dai vincitori o messe proprio in loro onore.    

Un vero e proprio film neorealista nipponico dove, non a caso, Masako e Yuzo assomigliano tanto a Carmela e Antonio dello splendido “Due soldi di speranza” che Renato Castellani girerà nel 1952.

Da vedere.

La versione in italiano presente nel dvd è quella doppiata recentemente, visto che questo film Kurosawa lo realizzò prima di riscuotere il successo planetario con lo straordinario “Rashomon” nel 1950, e da noi non venne mai distribuito nelle sale cinematografiche. Nella sezione extra sono presenti, tra gli altri, la filmografia del regista e alcune sue sfiziose massime sulla settima arte.

“Non rimpiango la mia giovinezza” di Akira Kurosawa

(Giappone, 1946)

Com’è vivere una vita senza rimpianti? Secondo Ryukichi Noge, uno dei protagonisti di questo film giovanile del maestro Akira Kurosawa, è essere disposti a tutto per difendere la libertà del proprio Paese.

Giappone, 1933. All’Università Imperiale di Kyoto sono famose le lezioni liberali del professor Yagihara. Fra gli studenti che frequentano la sua casa ci sono Noge e Itokawa, due ragazzi che hanno caratteri opposti. Il primo è impulsivo e dichiaratamente di sinistra, mentre il secondo è più riflessivo e moderato. I due sono comunque attratti da Yukie, figlia unica del professore e loro coetanea.

Quando le truppe imperiali nipponiche invadono la Manciuria, gli studenti dell’Università organizzano un’imponente manifestazione contro il proprio Governo. Tra i docenti più attivi contro l’atteggiamento fascista del Giappone c’è Yagihara, che per questo viene rimosso dalla sua cattedra. Durante gli scontri con le Forze dell’Ordine, Noge viene arrestato mentre Itokawa, grazie alla sua moderazione, non solo termina gli studi ma diventa anche procuratore del Governo. Una sera, a cena dagli Yagihara, Itokawa rivela che dopo quattro anni Noge è finalmente uscito di prigione e al momento è a Tokyo dove conduce una vita pacifica e ordinaria: la detenzione lo ha “finalmente” convertito.

Yukie, da sempre attratta da Noge, parte per la città in cerca del ragazzo incredula del suo cambiamento. Infatti, rintracciatolo, scopre che l’uomo conduce una pericolosissima doppia vita: è in contatto con l’U.R.S.S. per tentare si fermare la deriva nazista e fascista verso la quale il suo Paese sta andando, ed evitare in ogni modo un possibile e catastrifico conflitto mondiale. I due si sposano ma Noge lascia fuori dalla sua attività clandestina la moglie.

Una notte però la Polizia irrompe nella loro casa arrestandoli e separandoli. Yukie viene interrogata e torturata, ma non fornisce alcuna informazione ai suoi aguzzini. Il giorno del bombardamento giapponese di Pearl Harbour la donna, grazie all’intervento di Itokawa, viene liberata. Ad aspettarla fuori dal carcere ci sono i suoi genitori che chiedono allo stesso Itokawa notizie di Noge. Il procuratore del Governo rivela agli Yagihara che il marito di Yukie è morto la sera precedente.

La guerra si consuma tragicamente, mentre Yukie è prostrata dal dolore. L’unica cosa che si sente di fare è portare le ceneri del marito ai suoi genitori, due umili contadini residenti in una delle prefetture più povere del Giappone. Se il suocero la rifiuta, la madre di Noge l’accoglie con cortesia invitandola però ad andarsene subito perché loro due sono ormai additati e maltrattati da tutta la cittadina per essere i genitori di una spia. Yukie si oppone e decide di rimanere per dare una mano lavorando nelle risaie, lavoro che per la vergogna e le vessazioni continue deve essere fatto di notte. Ma la determinazione granitica di Yukie…

Ispirata alla vera vicenda che vide protagonista il professor Takikawa e il suo allievo Hidemi Ozaki (unico giapponese impiccato dal proprio Governo durante la Seconda Guerra Mondiale), questa pellicola già ci mostra le grandi doti narrative e soprattutto visive di Kurosawa.

Con chiari riferimenti all’Espressionismo tedesco di Fritz Lang e alla “drammaturgia della forma” di Sergej Michajlovič Ėjzenštejn, Kurosawa ci racconta una storia di amore e di onore in uno degli anni più difficili nella storia del suo Paese che, straziato dalla tragedia della guerra, tenta di risollevarsi.

Nel dvd la qualità del filmato – per ragioni storiche – non è ottimale, e il doppiaggio presente è quello recente perché quest’opera non fu distribuita in Italia. Il titolo in italiano che appare all’inizio è “Nessun rimpianto per la nostra giovinezza”. Negli extra è possibile ripercorrere una sintetica biografia del grande cineasta giapponese assieme a quelle di alcuni degli interpreti del film.

“Madadayo – Il compleanno” di Akira Kurosawa

(Giappone, 1993)

Il maestro Akira Kurosawa chiude la sua straordinaria carriera di cineasta con questa splendida pellicola intimista, che molti considerano il suo testamento spirituale. Come molti film precedenti, anche per questo, Kurosawa si affida al suo stretto collaboratore Hishiro Honda, lo stesso geniale regista di fantascienza che nel 1954 girò il primo e indimenticabile “Godzilla”.

I due, basandosi sui veri saggi del professor Hyakken Uchida scrivono la sceneggiatura, curano la fotografia, la regia e il montaggio del film. Alle soglie degli anni Quaranta e compiuti i sessant’anni, il professor Uchida, docente di tedesco presso l’Università di Tokyo, decide di ritirarsi dall’insegnamento e vivere pubblicando i suoi scritti.

L’affetto dei suoi studenti è molto grande, tanto da portare alcuni ad aiutarlo a traslocare e andare a trovarlo regolarmente. Nonostante le ristrettezze legate al secondo conflitto mondiale, Uchida decide di offrire un banchetto ai suoi ex studenti più cari. Poco dopo la sua casa viene rasa al suolo durante un bombardamento alleato, e il professore e sua moglie sono costretti a trasferirsi in una piccola baracca, dove però la stima e l’affetto dei suoi studenti non mancano mai.

Per sostenere il loro ex docente in un momento così difficile viene organizzato un banchetto in suo onore proprio il giorno del suo compleanno. Durante la cena, Uchida scherzando risponde alla domanda che è convinto vogliano fargli i suoi ospiti “Mada kai?” (“Sei pronto?” riferendosi ovviamente alla morte) con un perentorio: “Madadayo!” (“Non ancora”). Questo piccolo scherzo diventa un rito irrinunciabile che a ogni cena annuale si ripete fra il professore e i suoi ex studenti…

Splendida riflessione sulla vita, l’amore, il rispetto e ovviamente la morte che ancora oggi lascia incantanti e sereni, e che ci racconta intimamente l’anima della vita sociale e culturale del Sol Levante.

Da studiare a scuola di cinema la magistrale e toccante, come poche, scena finale.

“Dersu Uzala – Il piccolo uomo delle grandi praterie” di Akira Kurosawa

(URSS/Giappone, 1975)

Ispirato alle vere memorie del capitano russo Vladimir Arseniev che nei primi del Novecento viene inviato a capo di una piccola spedizione geografica ai confini con la Cina.

Lì incontra casualmente Dersu Uzala, un anziano cacciatore della tribù dei Gold, rimasto senza famiglia che decide di fare da guida al gruppo.

Il cacciatore mostrerà al militare russo come la sua gente vive in simbiosi perfetta con la natura che in quelle lande sembra così dura.

Arseniev viene mandato nella zona per una seconda spedizione e ritrova Uzala che anche questa volta lo accompagna. Ma il cacciatore sta diventando cieco e così Arseniev decide di riportarlo con se in città.

Il piccolo uomo delle praterie però è nato per vivere e morire nella sua terra, e così decide di tornarci, ma…

Splendido film, vincitore dell’Oscar e del David di Donatello come migliore opera straniera, con il quale il maestro Kurosawa ripercorre metaforicamente la storia recente del Giappone, che solo a metà dell’Ottocento era fermo al medioevo e che nell’arco di meno di un secolo si è trovato al centro di un devastante e tragico conflitto mondiale che ha stravolto buona parte della sua cultura millenaria.

Da vedere.