“Mona Lisa” di Neil Jordan

(UK, 1986)

Mentre la New Wave britannica invadeva le classifiche e le case dei giovani di tutto il mondo, che sognavano più di ogni altra cosa Londra per vivere a pieno quella mitica seconda “british invasion” di moda e costume, in quelle stese strade si consumava uno dei film più belli e struggenti del periodo.

George (uno straordinario Bob Hoskins) è un piccolo e non tanto acuto malvivente che ha sempre vissuto nel sottobosco criminale della capitale inglese. Per proteggere il suo capo Mortwell (un bravissimo quanto insolitamente antipatico Michael Caine) si è fatto sette anni di carcere.

All’uscita la prima cosa che vuole è rivedere Jeanine, sua figlia ormai adolescente, ma l’ex moglie glielo vieta in ogni modo. Ad aspettarlo c’è solo il meccanico Thomas (quel Robbie Coltrane che poi indosserà i panni di Rubeus Hagrid nella saga di Harry Potter) suo unico amico che lo ospita nella propria officina.

George si reca nel locale di Mortwell che alla fine, per ricompensarlo della sua fedeltà, gli trova un lavoro come autista e lacchè di Simone (Cathy Tyson), una prostituta d’alto bordo. Nonostante i primi difficili incontri/scontri fra i due nasce un’amicizia tanto che Simone chiede a George di aiutarla a ritrovare Cathy, un’altra prostituta che ha perso di vista da qualche tempo.

Intanto Mortwell chiede a George di scoprire i vizi e le passioni segrete di un facoltoso cliente di Simone…

Splendido e crudo sguardo ai margini della società, con chiari accenti pasoliniani, dove vive e prolifera chi sfrutta in ogni basso modo gli altri, là dove spesso ha puntato la sua meravigliosa macchina di presa Ken Loach, che ci ha sempre ricordato che anche gli ultimi e i diseredati hanno diritto alla loro dignità e soprattutto ai loro sentimenti.

Scritta dallo stesso Neil Jordan assieme a David Leland, questa piccola e al tempo stesso grande pellicola, che calca la scia dell’indimenticabile Free Cinema britannico – di cui Loach è l’ultimo grande rappresentante – rimane una delle migliori realizzate negli anni Ottanta, non solo nel Regno Unito; e lancia definitivamente la carriera del suo ottimo protagonista.

Fra i numerosi riconoscimenti ricevuti dal film, infatti, ci sono soprattutto quelli ottenuti da Bob Hoskins che vince il premio come miglior attore protagonista a Festival del Cinema di Cannes del 1987 e il Golden Globe nello stesso anno, nonché la candidatura all’Oscar che però quell’anno gli strappa Paul Newman per la sua interpretazione ne “Il colore dei soldi”.

“Il caso Drabble” di Don Siegel

(UK, 1974)

Ci sono molti critici (…ma d’altronde se non criticano loro?) convinti che questo del maestro Don Siegel sia uno dei suoi film minori. Certo, non parliamo di “Contratto per uccidere”, “Chi ucciderà Charley Varrick?” o “Fuga da Alcatraz”, ma non scherziamo: stiamo parlando comunque  di un maestro del cinema thriller – e non solo – che nel suo genere ha davvero – ancora oggi – pochi rivali.

Il maggiore John Tarrant (un glaciale e implacabile Michael Caine) ha lasciato l’Esercito di Sua Maestà per entrare nei Servizi Segreti, nell’unità Anti Guerriglia. Se la sua carriera sembra promettere bene, il suo matrimonio ne ha risentito così tanto da naufragare, infatti la sua ex moglie vive in un’altra casa con il loro unico bambino.

Mentre Tarrant tenta di infiltrarsi in un gruppo terroristico affiliato all’Ira, suo figlio viene rapito. A casa della sua ex moglie arriva una telefonata di un tale signor Drabble (letteralmente infangare) che in cambio dell’incolumità di suo figlio chiede a Tarrant una partita di diamanti acquistati segretamente da capo della sua unità Cedric Harper (un molto ironicamente “british” Donald Pleasence) solo qualche giorno prima.

Ovviamente il Governo di Sua Maestà non può trattare coi terroristi e così il riscatto non verrà pagato. Ma il punto è anche un altro: come facevano a sapere i rapitori delle pietre preziose? Uno strano giro di contingenze porta a far cadere i sospetti proprio su Tarrant. Ma un agente del Servizio Segreto è addestrato ad affrontare ogni situazione di petto, e così…

Ottimo thriller con ottimi interpreti fra cui spiccano anche Delphine Seyrig e il sempre cattivo John Vernon.

Per la chicca: nelle sequenze iniziali appare in un piccolissimo ruolo un giovanissimo John Rhys-Davies che qualche anno dopo vestirà i panni di Sallah l’amico fidato del Prof. Henry Jones Jr, e soprattutto quelli di Gimli il Nano nella Trilogia de “Il Signore degli Anelli”.

“California Suite” di Herbert Ross

(USA, 1978)

In alcune lussuose suite di un grande albergo di Beverly Hills si consumano le più basse, dure ma anche divertenti miserie umane di alcuni suoi ospiti. Neil Simon firma la sceneggiatura di questo ennesimo adattamento di una sua opera teatrale diretto da un grande artigiano del cinema come Herbert Ross.

Hannah (una splendida, in tutti i sensi, Jane Fonda) e il suo ex marito Bill (Alan Alda) si incontrano dopo quasi dieci anni dal divorzio, per discutere l’affidamento dell’ultimo anno da minorenne della loro unica figlia Jenny (Dana Plato).

Diana Barrie (una strepitosa Maggie Smith, che vincerà l’Oscar come miglior attrice non protagonista, il secondo nella sua lunghissima carriera) arriva a Los Angeles per partecipare alla notte degli Oscar, è la favorita per la statuetta come miglior attrice non protagonista (il fato è sempre il fato…). Ad accompagnarla c’è suo marito Sidney Cochran (un forse ancora più bravo Michael Caine) ex attore e ora antiquario, con il quale ha un lungo e problematico rapporto personale. Nonostante tutto Sidney sarà l’unico capace di raccogliere i pezzi di Diana sconfitta alla cerimonia…

Marvin (un irresistibile, come sempre, Walter Matthau) arriva a Beverly Hills per la prima comunione del figlio di suo fratello Harry (Herb Edelman). Marvin non viaggia mai in aereo assieme alla moglie Millie (una grande Elaine May) per paura di rendere con un solo incidente i loro figli orfani. Così lei lo raggiungerà il giorno dopo, qualche ora prima della cerimonia. La sera i due fratelli la passano ricordando i bei vecchi tempi e quando Marvin torna alticcio nella sua suite ci trova una sorpresa di Harry: una escort (che allora si chiamavano squillo). Il problema arriva la mattina dopo quando Marvin si sveglia accanto alla ragazza, ancora totalmente ubriaca, mentre alla porta bussa Millie…

I medici Gump (Richard Pryor) e Panama (Bill Cosby), colleghi di ospedale a Chicago, con le rispettive consorti stanno passando gli ultimi giorni di una vacanza insieme. I numerosi piccoli incidenti avvenuti nel corso delle ferie hanno fatto venire a galla la grande competizione fra i due dottori che esplode incontenibile quando la prenotazione della suite dei coniugi Gump non risulta. Mentre i Panama si godono la loro splendida suite, i Gump devono passare la notte in una piccola e allagata camera di servizio…

I vari episodi non sono così nettamente divisi, ma temporalmente incastrati uno dentro l’altro. L’ordine è quello dal più drammatico a quello più comico. Tutti gli attori dimostrano indiscutibilmente la loro bravura recitando un testo che non perde smalto col passare degli anni.

“Senza indizio” di Thom Eberhardt

(UK, 1988)

Sul mitico Sherlock Holmes ne sono stati girati tanti di film, ma pochi hanno saputo prendere spunto dagli scritti dal grande Arthur Conan Doyle per aggiungere qualcosa di veramente nuovo. Fra questi spiccano “Piramide di paura” (che ipotizza un incontro fra Holmes e Watson al college) e questo “Senza indizio” che, con un colpo di genio, cambia le carte in tavola.

Il vero talentuoso e superbo detective, infatti, è il dottor John Watson (interpretato da un bravissimo Ben Kingsley) che, per non precludersi l’ingresso in un famoso studio medico londinese molto conservatore ma al tempo stesso amando le indagini, scrive i resoconti di queste inventandosi il fittizio investigatore Sherlock Holmes.

Quando la possibilità di entrare nel prestigioso studio medico sfuma e, soprattutto, i suoi racconti cominciano ad avere un certo successo, Watson assume Reginald Kincaid (uno strepitoso Michael Caine) attore squattrinato e ubriacone, per impersonare il suo Sherlock Holmes.

La farsa tiene a tal punto che ormai tutti ci credono e Watson è prigioniero della sua stessa menzogna. Frustrato, si accinge a denunciare al mondo la verità, ma l’ombra del malvagio Professor Moriarty (che ha il viso di Paul Freeman, già perfido archeologo ne “I predatori dell’arca perduta” di Spielberg) cala pericolosamente su Londra e sulle finanze di Sua Maestà…

Divertentissima commedia con un cast eccezionale (solo fra Caine e Kingsley in totale fanno tre premi Oscar), che proviene quasi tutto dalla grande tradizione teatrale britannica (a eccezione del bravo Jeffrey Jones che veste i panni impacciati dell’ispettore Lestrade) e con un Michael Caine davvero in stato di grazia.

Con un’ottima sceneggiatura (scritta da Gary Murphy e Larry Strawther su soggetto di Peter Benchley) “Senza indizio” è per gli amanti del segugio di Baker Street, e non solo.

“Vestito per uccidere” di Brian De Palma

(USA, 1980)

Questo film, da molti considerato uno dei migliori – se non il migliore – del grande Brian De Palma, è allo stesso tempo uno dei più riusciti e coinvolgenti omaggi al maestro del brivido – e non solo… – Alfred Hitchcock.

Kate Miller (una splendida e davvero seducente Angie Dickinson) è una casalinga di mezza età, frustrata dal rapporto col suo secondo marito. Il primo, molti anni prima, è morto in Vietnam e le ha lasciato Peter (Keith Gordon) un adolescenze solitario e molto nerd. Per superare la proprie insicurezze è in cura dal Dott. Robert Elliott (un sempre bravo Michael Caine) e proprio dopo una seduta con lui, Kate cede alle lusinghe di uno sconosciuto e – per la prima volta in vita sua – vive un’avventura extraconiugale.

La sera stessa, mentre il suo amante sconosciuto dorme, Kate cercando carta e penna per lasciargli un biglietto, scopre che l’uomo ha da poco contratto la sifilide. Sconvolta, esce rapidamente dall’appartamento ma, ancora nell’ascensore, si rende conto di aver lasciato il suo anello di diamanti dall’uomo. Quando le porte dell’ascensore si aprono al piano da dove era salita, Kate viene aggredita da una donna con una folta chioma bionda e con un grande paio di occhiali da sole, che la massacra con un rasoio.

Nella foga della violenza, la bionda non si rende conto che l’ascensore si ferma a un piano dove sulla soglia c’è Liz Blake (Nancy Allen), una giovane e avvenente escort col suo cliente che però fugge subito via. Liz, turbata, non riesce a far altro che raccogliere il rasoio insanguinato.

Alla centrale, il detective Marino (Dennis Franz, che qualche anno dopo diverrà famoso per il ruolo di Andy Sipowicz nella serie tv “NYPD – New York Police Department”) non le crede e, per accettare il suo alibi, pretende che la ragazza porti davanti a lui il suo cliente. La situazione per Liz sembra disperata, ma ad aiutare lei e la Polizia a individuare il vero colpevole ci pensa Peter…    

Come sempre De Palma – autore anche del soggetto e della sceneggiatura – mette il cinema nel cinema in questo che, assieme a “Omicidio a luci rosse”, è uno dei suoi più carnali e struggenti film, intriso di una hitchcockiana sensuale morbosità, che richiama “Vertigo” su tutti.

Alla sua uscita accese aspre polemiche per l’inserimento di scene di nudo e sesso che molti trovarono “gratuite” e da film hard. E, soprattutto, scandalizzò allora l’uso – mantenuto riservato fino all’uscita del film – di una controfigura per i primi piani del seno e del sesso della Dickinson. Le polemiche durarono molto sulla stampa americana, tanto di portare provocatoriamente De Palma a girare “Omicidio a luci rosse” nel 1984, ambientato appunto nei set del cinema hard, e con una scena proprio di “doppiaggio” del seno della protagonista.

Polemiche (allora più o meno giustificate, anche se oggi con tutto quello che è passato in mezzo fanno un pò sorridere) a parte, “Vestito per uccidere” è davvero un gran bel film. Bella colonna sonora firmata da Pino Donaggio e scena finale – come quasi tutte quelle firmate da De Palma – da brivido e antologia del cinema.

“Hannah e le sue sorelle” di Woody Allen

(USA, 1986)

Da molti considerato un immaginario seguito di “Io e Annie”, questo “Hannah e la sue sorelle” è il successo più ampio di pubblico e critica degli anni Ottanta firmato da Woody Allen. Critica che osannò – forse giustamente – molto di più quel capolavoro che è “Zelig”, che invece il pubblico accolse con molta – inspiegabile oggi – freddezza rispetto a questo.

Oltre ad alcuni elementi palesi di “Io e Annie”, in questo film Allen ci mette molto del suo amore per Ingmar Bergman. Le protagoniste del film sono tre sorelle, così come nel suo bergmaniano puro “Interiors” del 1978, c’è la ricerca drammatica del senso della vita e, infine, l’attore simbolo del cinema bergmaniano Max Von Sydow. Il tutto miscelato ovviamente con la geniale ironia del cineasta newyorkese.

Hannah (Mia Farrow), Holly (Dianne West) e Lee (Barbara Hershey) sono tre sorelle che vivono a New York. Le loro esistenze si intrecciano fra amore, sostegno, competizione e invidia. Hannah è un attrice di prosa di successo, felicemente sposata con Eliot (Michael Caine), un consulente economico anche lui di notevole successo. Quando questo si accorge di essere attratto da Lee, che convive con Frederick (Von Sydow) un noto pittore molto più grande di lei, rimane sorpreso dall’essere ricambiato. Holly cerca di seguire le impronte di Hannah in teatro, ma senza riuscirci. Mickey (lo stesso Allen), primo marito di Hannah, è un autore televisivo di successo che entra in crisi quando crede di avere un tumore. Le cose cambieranno per tutti grazie alla fortuna – tema tanto caro ad Allen – all’amore e alla fiducia in se stessi.

Superbo film corale che funziona come un orologio svizzero, con qualche battuta davvero stellare.

Premio Oscar – strameritato – per la Migliore Sceneggiatura Originale, e a Michael Caine e Diane West come Migliori Attori non Protagonisti. In un piccolo ruolo appare anche un giovane John Turturro, che quasi trent’anni dopo dirigerà lo stesso Allen in “Gigolò per caso”.

“L’uomo che volle farsi Re” di John Huston

(USA, 1975)

Il 17 dicembre del 1975 esce nelle sale americane “L’uomo che volle farsi Re”, con il quale il maestro John Huston porta sullo schermo – scrivendo la sceneggiatura assieme a Gladys Hill – l’omonimo racconto di Rudyard Kipling.

Lo stesso Kipling (Christopher Plummer) è testimone del contratto alla base della scellerata impresa che i due ex commilitoni dell’esercito di Sua Maestà, Dravot (un grande Sean Connery) e Carnehan (un altrettanto grande Michael Caine) sbruffoni e arroganti, intendono compiere: seguire le impronte di Alessandro Magno e diventare i capi di una delle tribù del Kafiristan, regione in quel periodo storico selvaggia e arretrata, situata al confine fra Afghanistan e Pakistan.

La fortuna sembra baciare i due fino a quando…

Huston realizza un film epico e splendido come molte delle sue opere, raccontandoci un viaggio fantastico con inquadrature e panorami mozzafiato, e con un epilogo fra i più belli della storia del cinema.

Da vedere a Natale, magari per disintossicarsi dei troppi dolci o film melensi…

“The Weather Man – L’uomo delle previsioni “ di Gore Verbinski

(USA, 2005)

Devo essere sincero, dopo “Stregata dalla Luna”, non ho mai amato Nicolas Cage in ruoli da commedia o drammatici.

Ho sempre detto: fategli cercare un tesoro nascosto da secoli, fatelo correre in moto con la testa in fiamme, fatelo combattere con un extraterrestre o fategli doppiare un uomo delle caverne: ma non fategli interpretare un quarant’enne in crisi esistenziale!

E invece il buon vecchio Nik ti tira fuori dal cilindro una bella interpretazione in questo melanconico “The Weather Man – L’uomo delle previsioni” di Gore Verbinski (autore della trilogia de “I Pirati dei Caraibi”), dove interpreta David Spritz, un modesto presentatore di previsioni che però ha un continuo successo lavorativo, tanto quanto un profondo fallimento personale come padre, marito e figlio.

Con una grande interpretazione di Michael Caine, nel ruolo del padre di David, questo film è una piccola …perla (chi vuol intendere intenda!).

“The Prestige” di Christopher Nolan

(USA/UK, 2006)

Cominciamo col dire che l’inglese Christopher Nolan è uno dei miei registi preferiti, e quasi tutte le dieci pellicole da lui dirette fino ad oggi mi hanno sempre affascinato, per non parlare di “Interstellar” che al momento è in post-produzione, e che promette di essere un altro grande e spettacolare film.

In questo film si parla invece di magia e soprattutto dei trucchi, della creatività, del genio e del sacrificio che sta dietro i più grandi illusionisti di tutti i tempi.

Con un cast stellare fra cui spiccano Christian Bale, Hugh Jackman, Scarlett Johansson, un inquietante David Bowie nei panni dello scienziato Nikola Tesla, e l’intramontabile Michael Caine – protagonista del prossimo film “La giovinezza” di Paolo Sorrentino – “The Prestige” ci racconta fin dove può arrivare la volontà di un uomo che vuole stupire il suo pubblico.

Come tutti i film di Nolan, la parte più intrigante della storia e dei suoi personaggi è quella cerebrale che, mista alla costruzione di un perfetto plot destrutturato, crea un cocktail imperdibile.

Il trucco c’è …o no?