(Minimun Fax, 2017)
Grazia Cherchi (1937-1995) è stata una delle figure più rilevanti della nostra editoria del Novecento. Oltre ad essere una delle migliori, se non la migliore in assoluto, collaboratrice e curatrice editoriale – termine che può voler dire tutto e niente, ma che oggi si traduce al meglio in editor – è stata una formidabile talent scout, scoprendo scrittori come Stefano Benni, Alessandro Baricco e Massimo Carlotto.
I suoi consigli, i suoi suggerimenti e i suoi scritti hanno inciso profondamente nella storia della nostra editoria a partire dai primi anni Sessanta con la fondazione e la direzione – assieme a Piergiorgio Bellocchio – della rivista “Quaderni piacentini”, passando poi per numerosi articoli pubblicati su alcune delle riviste e dei giornali più rilevanti del nostro panorama editoriale, nonché con la stretta collaborazione con le case editrici più agili e illuminate dell’epoca. Attività che ha svolto fino a quasi la sua morte in maniera lucida e sempre all’avanguardia perché, a differenza di alcuni nostri contemporanei sedicenti editor, Grazia Cherchi non era una scrittrice mancata: ma una lettrice implacabile, famelica e soprattutto onesta.
Ma allora perché oggi, ai più, il suo nome è praticamente sconosciuto?
Io che sono uno scrittore che si autopubblica, e quindi non ha alcun contatto con la nostra editoria canonica, non posso affermarlo con certezza. Certo fanno riflettere gli scritti della Cherchi, soprattutto quelli in cui si scaglia contro il “patriarcato” dell’editoria – che allora naturalmente era solo quella classica – e aborriva ogni tipo di premio letterario, dallo “Strega” al “Campiello”, considerandoli una patetica replica dei “migliori” salotti che l’intellighenzia italica offriva e che erano uno dei carburanti principali dello stesso patriarcato.
Così questo prezioso tomo, a cura di Roberto Rossi, ci racconta lucidamente le radici della grave crisi della nostra editoria che, qualche anno dopo la morte della stessa Cherchi, sfocerà in quella sempre più profonda che oggi noi stiamo vivendo da tempo. Con i suoi articoli per riviste e giornali come “Linea d’ombra”, “Linus”, “Panorama” o “L’Unità”, la Cherchi punta il dito sulla metamorfosi che l’editoria – e non i libri, attenzione! – in quegli anni sta iniziando.
Ci racconta di un ambiente fatto di “mafie e mischie” dove fin troppo spesso vengono spinti e pubblicizzati libri di autori cari all’establishment e non quelli di valore. Le pubblicità e la recensioni dei libri, ci sottolinea, sono ormai a uso e consumo dell’editore e a volte dello scrittore, ma mai per il lettore. Tanto che lei sovente è in quelli poco conosciuti o che spariscono subito dagli scaffali delle librerie che trova perle e chicche, come ad esempio “Le streghe” di Roald Dahl o il racconto “La gente delle dieci” di Stephen King. Per questo, con almeno trent’anni di anticipo sulla storia, la Cherchi ipotizza e sogna che ogni lettore possa poter mettere lui personalmente una breve recensione, magari anche sintetizzata da un pollice giù o uno in su, a favore di tutti gli altri lettori che desiderino avere pareri sinceri e non strumentali sul libro…
Ma non solo, l’acume della Cherchi la porta a parlare sia di romanzi e saggi ma anche di racconti, forma letteraria che lei giustamente pone sullo stesso piano per dignità e interesse alle prime due. E, già a cavallo fra gli anni Ottanta e i Novanta, inizia a notare un apparente inspiegabile e preoccupante scarto da parte di tutti gli editori nostrani della forma racconto, soprattutto quelli di autori italiani. A distanza di trent’anni la nostra editoria è una delle poche al mondo che ormai ignora di fatto i racconti dei nostri autori – tranne raramente di quelli già famosi – limitandosi a pubblicare al massimo, ogni tanto, quelli di scrittori che siano “tassativamente” stranieri.
Insomma, una raccolta di testi che ci illumina sulla crisi profonda della nostra editoria che non è legata, come qualcuno cerca ancora e in ogni modo di farci credere, all’avvento dei libri digitali, ma sopratutto a scelte commerciali miopi e ottuse che partono da lontano.
Pubblicato per la prima volta nel 1997, “Scompartimento per lettori e taciturni” – il cui titolo si rifà a un articolo in cui la Cherchi auspica che un giorno le Ferrovie dello Stato riservino alcuni scompartimenti appositamente per incalliti viaggiatori lettori che per leggere hanno bisogno di un educato silenzio… – è una preziosa miniera di diamanti per chi, come la sua autrice, ama soprattutto leggere, miniera dove trovare preziosi suggerimenti.
Ma, sopratutto, attraverso articoli, deliziose e pungenti interviste ai nostri maggiori autori dell’epoca come Raffaele La Capria, Oreste Del Buono, Goffredo Fofi, Giuseppe Pontiggia o Michele Serra, nonché ritratti e ricordi, come quello struggente della sua amica personale Elsa Morante da poco scomparsa, Grazia Cherchi ci racconta che cose è stata – …sob! – la nostra grande editoria.
Menomale che, fino ad oggi, almeno nessuno si sia azzardato a dedicarle un premio letterario…
Da leggere, tenere gelosamente nella propria biblioteca e da far studiare a scuola.