(Italia/Francia, 1970)
Scritto dallo stesso Caprioli assieme a Bernardino Zapponi ed Enrico Medioli (assiduo collaboratore di Luchino Visconti) questo film rappresenta una pietra miliare della cinematografia italiana, e non solo.
Alessio (uno stratosferico Ugo Tognazzi) è un ex ballerino che ha dedicato la sua vita a Mimmina (Jenny Tamburi), figlia del suo storico compagno di vita morto ormai da tempo. Proprio per Mimmina, che ormai è un’irrequieta adolescente alla soglia della maggiore età, ha abbandonato la sua carriera artistica per fare il corniciaio in un negozio del centro storico di Roma.
Le rughe e la pelle, ormai non più così tesa ed elastica, pesano sull’anima di Alessio che segretamente è ancora in cerca di un nuovo grande amore. Ma gli omosessuali in quegli anni potevano incontrarsi solo di nascosto, dentro a case private o fra i ruderi romani nelle ore notturne, lontano dall’occhio poco tollerante e ferocemente ipocrita, quanto perbenista, della nostra cattolicissima società.
Così, proprio fra i ruderi del Colosseo, un uomo avvenente e particolarmente elegante avvicina Alessio invitandolo a seguirlo. Ma i sogni amorosi di Alessio naufragano quando l’uomo (Maurice Ronet) si rivela essere un commissario di Pubblica Sicurezza che lo ha adescato per avere notizie sulla morte di un omosessuale, ucciso qualche giorno prima in un parco.
Alessio, ferito e deluso, si rifiuta di collaborare e così torna a casa. L’unico modo che ha per consolarsi è quello di organizzare una serata en travesti a casa sua, dove ha arredato apposta una stanza con tanto di drappi e trono sul quale, debitamente travestito, prende i panni della regale Madame Royale, alla quale le altre dame della “corte”, fra cui Bambola di Pechino (lo stesso Vittorio Caprioli), sono use introdurre nuovi adepti.
A rompere la nuova quotidianità di Alessio ci pensa Mimmina che gli piomba in casa con la richiesta di duecentomila lire per abortire. Siamo nel 1970 e nella cattolica e medievale Italia l’aborto è ancora illegale. Così chi non ha i soldi per andare all’estero, è costretta a finire nelle mani sanguinolente di persone senza scrupoli e fin troppo spesso incapaci. Ma Alessio è moralmente contrario all’aborto, visto che poi non vede l’ora di diventare nonno, e promette alla ragazza di prendersi cura lui stesso del nascituro.
Mimmina però non ha voglia assolutamente di portare avanti una gravidanza e così, in qualche modo, racimola i soldi e si affida a una mammana clandestina. Come purtroppo fin troppo spesso accadeva in quei tempi – sotto questo punto di vista senza dubbio ancora assai barbari – Mimmina rischia di morire per un’emorragia, ma a salvarla ci pensa lo stesso Alessio che chiama un’ambulanza.
Passata l’emergenza Mimmina viene arrestata per aver abortito e il commissario di Pubblica Sicurezza torna a bussare alla porta di Alessio: se vuole che la sua figliastra esca dal riformatorio senza alcuno strascico legale deve collaborare. E così il corniciaio inizia a denunciare tutto quel sottobosco criminale romano con cui lui stesso a volte riesce ad arrotondare lo stipendio, sottobosco che ha appena iniziato ad occuparsi anche di stupefacenti.
Ma le notizie, prima o poi, si spargono…
Delizioso e sincero omaggio agli ultimi, come allora erano trattati e considerati gli omosessuali, che al tempo stesso venivano schifati e sfruttati dalla società che li tollerava a patto che si nascondessero. Ma nella Nazione confinate con lo Stato Città del Vaticano, simbolo terreno della Cristianità planetaria, ci si scordava – colpevolmente – che anche loro avevano bisogno soprattutto di amore, amore che è senza dubbio il tema centrale del film.
Memorabile è poi l’interpretazione di Tognazzi nel ruolo di un omosessuale indubbiamente marcato evidente e a volte patetico, ma che non scade mai nella macchietta o nel volgare ridicolo. Senza dubbio da questa sua straordinaria interpretazione nasce quella che farà qualche anno dopo nel delizioso “Il vizietto”.
Le cronache dell’epoca riportano che l’idea originale del film venne a Caprioli parlando con un ex artista del “Madame Arthur”, notissimo e storico cabaret di Drag Queen di Parigi che sembra proprio il locale dove lavora Gabriel, lo zio della protagonista di “Zazie nel Metrò” di Raymond Queneau e nella cui omonima versione cinematografica diretta da Malle nel 1960 ha partecipato lo stesso Caprioli, e che poi ha inspirato senza dubbio il club “Le Cage aux Folles” dello stesso “Il vizietto”.