“Ultimo domicilio conosciuto” di José Giovanni

(Francia/Italia, 1970)

Tratta dal romanzo “The Last Doorbell” di Joseph Harrington del 1969 – purtroppo introvabile in italiano – questa pellicola diretta da José Giovanni, che ne scrive anche la sceneggiatura, ci regala una delle migliori interpretazioni del grande Lino Ventura.

Marceau Leonetti (un granitico Ventura) è uno sbirro alla vecchia maniera: poche parole e molti fatti. E’ stato anche insignito della Legion d’Onore, ma la sua vita è stata segnata irrimediabilmente dall’incidente stradale in cui hanno perso la vita sua moglie e la sua piccola figlia, mentre lui era al volante.

Diventato un uomo solitario, Leonetti si dedica al lavoro dove inanella un successo dietro l’altro. Ma all’alba di una fredda mattina d’inverno incappa in un giovane ubriaco al volante. Invece di chiamare una pattuglia, decide di portalo lui al commissariato. Il ragazzo, però, è il figlio di un noto avvocato che riesce a farlo scarcerare in pochi minuti e accusare pesantemente Leonetti di maltrattamenti. Non avendo testimoni a suo favore il poliziotto non può dimostrare la sua innocenza, e così dalla prestigiosa Polizia Criminale viene trasferito in un piccolo commissariato di periferia.

Lì viene incaricato di arrestare i molestatori che imperversano nei cinema della zona. Per individuarli gli viene affidata Jeanne Dumas (Marlène Jobert) una giovane ausiliaria ottimista e alle prime armi.

Anche se il lavoro è davvero pesante e i due hanno vite e caratteri agli antipodi, Jeanne e Marceau iniziato ad affiatarsi. Quasi per caso, il suo responsabile, gli affida una nuova inchiesta: deve ritrovare Roger Martin, il testimone cruciale nel processo contro Soramon, un noto criminale. Ma Leonetti ha solo una settimana per trovarlo, perché dopo si chiuderà il processo e Soramon verrà liberato. Sono cinque anni che la Polizia Criminale tenta di scovarlo, ma l’anonimo contabile Martin sembra svanito nel nulla.

Leonetti e Jeanne iniziano le ricerche e sulle loro tracce si mette subito Greg (Michel Costantin) killer spietato al servizio di Soramon…

Struggente e crepuscolare poliziesco tipico di quegli anni, che ricorda molto nelle atmosfere gli scritti del grande Giorgio Scerbanenco, e che ha per sfondo le infinite periferie parigine protagoniste di “Due o tre cose che so di lei” diretto da Jean-Luc Godard nel 1967.

Per la chicca: la giovane e inesperta Jeanne ha il volto della Jobert che nella vita reale è la madre dell’attrice Eva Green. Il volto, invece, del perfido Greg è quello di Costanitin che nella realtà, prima di diventare attore è stato un noto giornalista sportivo, e prima ancora – cosa che lo accomuna allo stesso Ventura, campione d’Europa di lotta greco-romana nel 1950 – capitano della nazionale francese di pallavolo.

Da ricordare la struggente colonna sonora firmata da Francois De Roubaix e, nella nostra versione, la splendida voce di Glauco Onorato che doppia Ventura.

La pellicola si conclude con la frase “…la vita è un bene perduto, se non è vissuta come avresti voluto” del poeta rumeno Mihai Eminescu.

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“Grisbì” di Jacques Becker

(Francia, 1954)

Il maestro François Truffaut ha definito, giustamente, il tema di questo film l’incrocio fra l’amicizia e la vecchiaia.

Infatti, il film di Becker inaugura un lungo filone dedicato alla criminalità, e allo scontro nel suo ambito fra vecchie e nuove generazioni. Tema ripreso anche, per esempio, dalla splendida saga de “Il Padrino” di Coppola.

Max (un grande Jean Gabin che per questa interpretazione vince la Coppa Volpi alla Mostra del Cinema di Venezia del 1954) è un dei boss della mala di Orly, e assieme all’amico fraterno Riton (René Dary) ormai da qualche decennio gestisce i traffici illeciti della città.

I due, con sangue freddo e non poca abilità, hanno segretamente messo a segno il colpo che finalmente gli permetterà di ritirarsi: hanno rapinato un carico di lingotti d’oro all’aeroporto della città.

Nessuno sospetta di loro e Max e Riton aspettano solo che le acque si calmino per rivolgersi al loro ricettatore di fiducia. Ma Riton ha un debole per le ballerine e così incautamente rivela all’avvenente Josy (una giovanissima Jeanne Moreau) il colpo appena fatto. Josy però è una cocainomane e pur di garantirsi la dose racconta tutto a Angelo (un duro Lino Ventura al suo debutto cinematografico).

Per avere il famigerato malloppo (“grisbì” nell’allora gergo della mala francese) Angelo rapisce Riton e ricatta Max. Ma l’amicizia per il vecchio gangster è sacra e così non ci pensa due volte ad accettare la scambio. Ma Angelo, incautamente, considera Max un vecchio arrugginito…

Grande pellicola d’atmosfera che ci parla dello scontro generazionale della mala, appunto, fra quella affermatasi prima della Seconda Guerra Mondiale e quella cresciuta e maturata dopo, che ignora e calpesta i vecchi codici d’onore della prima.

E seguiamo il rapporto incondizionato fra due amici molti simili ma non uguali, perché uno non accetta il passare del tempo e l’invecchiare ed è convinto che frequentando donne sempre più giovani potrà evitarlo, mentre l’altro, serenamente rassegnato, accoglie saggiamente e senza troppi patemi il bianco dei suoi capelli e le rughe sul suo volto.

Da ricorda nel cast anche una giovanissima Delia Scala.

Per la chicca: il termine Grisbì, grazie al film, è stato parte integrante del nostro immaginario collettivo tanto che agli inizi degli anni Ottanta, quando una nota industria alimentare doveva lanciare un nuovo tipo di biscotto farcito al cioccolato, lo scelse proprio per dare l’idea di qualcosa di ricco, raro e ricercato. E gli spot di allora, che scimmiottano la pellicola di Becker, lo dimostrano fin troppo chiaramente.

“Guardato a vista” di Claude Miller

(Francia, 1981)

Nonostante quasi tutta l’azione del film si svolga dentro una stanza, la sceneggiatura di questo bellissimo film è tratta da un romanzo e non da un’opera teatrale, come verrebbe da pensare. Il romanzo è “Stato di fermo” di John Wainwright (1921-1995) ottimo e prolifico scrittore inglese. L’adattamento cinematografico è scritto da Jean Vautrin e dallo stesso Claude Miller che poi lo dirige, e i dialoghi sono firmati da Michel Audiard, fra i più noti autori di Francia. E ad impersonare i due protagonisti ci sono due monumenti del cinema mondiale come Michel Serrault e Lino Ventura.

E’ la sera di San Silvestro, esattamente le ore 21.00, e Jerome Martinaud (uno stratosferico Serrault) noto e ricco notaio di una facoltosa cittadina della Normandia è convocato al commissariato per l’ennesimo chiarimento sulla sua deposizione. Martinaud, infatti, qualche giorno prima ha rinvenuto nei pressi di un boschetto ai margini della città, il corpo straziato di una bambina che prima è stata strangolata e poi violentata. A condurre l’interrogatorio è l’ispettore Gallien (un altrettanto stratosferico Ventura) che sembra non credere completamente alle dichiarazioni del notaio. E poi, una settimana prima del tragico ritrovamento, lo stesso Martinaud era nei pressi di una spiaggia dove poche ore dopo venne rinvenuto il corpo di un’altra bambina strangolata e poi violentata.

La posizione di Martinaud oscilla sempre più, ma la sua dialettica e le indiscrezioni che concede a Gallien sulla sua vita privata lasciano forti dubbi sulla sua colpevolezza. A cambiare le sorti dell’interrogatorio giunge, nel cuore della notte, Chantal Martinaud (una sempre elegante ma già molto fragile Romy Schneider) moglie del notaio, che fornisce a Gallien una prova che sembra essere quella decisiva sulla colpevolezza del marito. Ma all’alba del nuovo anno…

Strepitoso noir che ci regala la sublime prova di due attori di gran classe davvero immortali. Una splendida pellicola per chi ama incodizionatamente il cinema. Onore anche a Glauco Onorato e Manlio De Angelis che doppiano magistralmente rispettivamente Ventura e Serrault nella nostra versione.

“Ascensore per il patibolo” di Louis Malle

(Francia, 1958)

Sono convinto che per celebrare una delle icone della cinematografia mondiale come Jeanne Moreau, la cosa migliore sia di parlare di uno dei film da lei interpretati e resi immortali, come “Ascensore per il patibolo” di Louis Malle.

Al film d’esordio di quello che poi diventerà uno dei registi più rappresentativi del Novecento, oltre alla Moreau, partecipano alcune delle figure che diventeranno fra le più emblematiche del cinema francese come gli attori Maurice Ronet, Charles Denner (che Truffaut sceglierà per impersonare il suo alter ego ne “L’uomo che amava le donne”), Lino Ventura e Jean-Claude Brialy.

Per scrivere la sceneggiatura, tratta dal romanzo omonimo di Noël Calef del 1956, Malle chiama l’amico personale e scrittore Roger Nimier, che a soli 28 anni aveva già pubblicato cinque romanzi fra cui “L’ussaro blu”, che divenne il simbolo del cosiddetto movimento letterario degli “ussari”.

Florence Carala (una splendida e sensuale, come poche, Jeanne Moreau) e Julien Tavernier (Ronet) si amano clandestinamente, visto che Simon Carala (Jean Wall), marito molto più anziano di Florence, è uno degli uomini più potenti e influenti del Paese. Ma l’amore e il desiderio, nonché le consistenti sostanze dello stesso Carala, portano i due amanti a elaborare un piano perfetto per eliminare il terzo e ricco incomodo, senza destare sospetti. Ma quando tutto sembra andare come previsto, Julien rimane bloccato nell’ascensore…

Claustrofobico e disperato noir d’antologia, con sequenze e spunti che hanno fatto la storia del cinema, grazie anche alla colonna sonora originale firmata ed eseguita da Miles Davis, e a una Parigi notturna e molto carnale sullo sfondo.  

Il titolo si riferisce direttamente alla pena di morte che in Francia era prevista per gli assassini. Venne abrogata definitivamente dal Codice Penale francese dal neo Presidente della Repubblica François Mitterrand nell’autunno del 1981.