(USA/Messico, 1984)
Diretto dal leggendario John Huston e uscito nelle sale nel 1984, questo film è l’adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo “Sotto il vulcano” di Malcolm Lowry, uno dei testi più complessi e affascinanti del XX secolo. Huston, con la sua consueta maestria, riesce a catturare l’essenza della storia, trasportando sul grande schermo la tormentata esistenza del protagonista Geoffrey Firmin e la vibrante atmosfera del Messico degli anni ’30, sull’orlo del baratro della Seconda Guerra Mondiale.
La trama del film segue fedelmente il romanzo, concentrandosi su una singola, fatidica giornata: il Giorno dei Morti del 1938, nella città di Quauhnahuac. Geoffrey Firmin, interpretato magistralmente da Albert Finney, è un ex console britannico in rovina, divorato dall’alcolismo e dai rimorsi. La sua discesa nell’abisso è rappresentata con una tale intensità che lo spettatore non può che sentirsi trascinato nella spirale autodistruttiva del protagonista.
Accanto a Geoffrey, troviamo sua moglie Yvonne (Jacqueline Bisset) che, dopo il divorzio, torna a Quauhnahuac con la speranza di salvarlo, e suo fratellastro Hugh (Anthony Andrews), un giornalista idealista, appena tornato dalla Spagna, dove ha combattuto vanamente contro i militari di Franco. Le dinamiche tra i tre personaggi si sviluppano sullo sfondo di un Messico reso con un realismo quasi tangibile, grazie alla straordinaria fotografia di Gabriel Figueroa, che cattura superbamente la bellezza e la brutalità del paesaggio messicano.
Figueroa, direttore della fotografia preferito dal cineasta messicano Emilio Fernández, autore di numerose pellicole a partire dagli anni Cinquanta, collabora con Huston grazie soprattutto all’amicizia personale fra Fernández e lo stesso cineasta americano. Non è un caso quindi se Huston, in questo film, affida allo stesso Fernández la parte del proprietario di galli da combattimento che apre la sequenza finale.
Il film riesce a mantenere la complessità emotiva del romanzo, esplorando temi come la disperazione, la redenzione, la solitudine e la comunione. Huston, con il suo tocco inconfondibile, infonde nella pellicola una serie di simboli e riferimenti che arricchiscono la narrazione, proprio come Lowry fa nel suo romanzo. La struttura del film, sebbene più lineare rispetto alla prosa frammentaria di Lowry, riflette comunque il caos interiore di Geoffrey, portando lo spettatore in un viaggio onirico attraverso la sua psiche tormentata.
Uno degli aspetti più sorprendenti del film è la sua capacità di trasmettere la stessa sensazione di inesorabile discesa verso l’abisso che si prova leggendo il romanzo. La regia di Huston è a tratti ipnotica, immergendo lo spettatore nelle profondità della mente del console, dove il confine tra realtà e allucinazione si fa sempre più labile.
“Sotto il vulcano” di John Huston non è solo una storia di autodistruzione, ma anche una meditazione sull’amore e la perdita, sul senso di colpa e sulla possibilità di redenzione. È un film che sfida e coinvolge, richiedendo allo spettatore un impegno totale per essere pienamente compreso e apprezzato, proprio come il romanzo da cui è tratto.
Attraverso la figura tragica di Geoffrey Firmin, Huston, seguendo le orme di Lowry, ci offre uno specchio in cui riflettere sulle nostre stesse paure e debolezze, ricordandoci quanto sia fragile l’equilibrio tra l’ordine e il caos nella vita di ciascuno di noi. “Sotto il vulcano” è, senza dubbio, un capolavoro cinematografico che continua a risuonare con forza nel cuore di chiunque abbia il coraggio di immergersi nelle sue profondità. E pensare che per decenni il romanzo di Lowry è stato considerato “infilmabile”.
Sono passati quarant’anni dall’uscita di questa pellicola nelle sale cinematografiche di tutto il mondo ma, per comprendere al meglio la modernità e la contemporaneità del genio di Huston, basta osservare quanto l’umanità sia oggi ancora davanti ad un baratro.