(USA, 1981)
Questa deliziosa commedia è stata scritta da Lawrence Kasdan poco dopo aver terminato le sceneggiature di film come “L’impero colpisce ancora” e “I predatori dell’arca perduta”. A dirigerla avrebbe dovuto essere Steven Spielberg, ma visto il clamoroso flop della sua commedia “1941: allarme a Hollywood”, il cineasta preferì fare solo il produttore esecutivo.
Dopo gli strepitosi successi al botteghino di “Animal House” e “The Blues Brothers” – e quelli in televisione al “Saturday Night Live” – John Belushi decide di abbandonare la comicità surreale e demenziale per interpretare un ruolo sempre comico, ma più di spessore e particolareggiato.
Incarna Ernie Souchak, un giornalista d’assalto del Chicago Sun-Times che con la sua rubrica inchioda – o quantomeno tenta in ogni modo di inchiodare – i corrotti della città. E’ un animale tipico della metropoli, che fuma duecento caffè, conosce tutte le gang delle periferie così come ogni prostituta che batte in strada. Come il lago Michigan, Ernie Souchak è uno dei simboli di Chicago.
Le sue inchieste però provocano l’ira di alcuni potenti politici corrotti, e così Souchak viene fatto pestare a sangue. Il suo direttore, per la sua incolumità, lo obbliga a lasciare la città fino a quando “le acque non si saranno calmate”. La scusa è un servizio sull’ornitologa Nell Porter (una brava Blair Brown), paladina della aquile calve americane, che da anni vive isolata in una baita sulle Montagne Rocciose per studiare e proteggere i rari rapaci a rischio d’estinzione.
Ovviamente la vita dura e montanara che affronta ogni giorno la Porter è diametralmente opposta a quella che da sempre è abituato a fare Ernie, ma non solo. La deflagrazione provocata dall’incontro scontro di due mondi così differenti e agli antipodi, porterà a conseguenze imprevedibili…
Kasdan scrive una gustosa commedia nel segno delle più classiche degli anni Cinquanta e Sessanta che con gli anni non perde il suo carisma. Purtroppo questa pellicola naufragò al botteghino, probabilmente perché il pubblico che amava Belushi non era pronto all’evoluzione della sua comicità. Inoltre, la produzione dovette affrontare costi non previsti per le riprese in quota dei rapaci, che durarono più di un anno.
James Belushi, il fratello minore di John, ha sempre raccontato di come il flop di questo film colpì duramente l’attore. Già tossicodipendente da anni (come ha ricordato John Landis alla Festa del Cinema di Roma nel 2010 durante la presentazione del suo “Ladri di cadaveri- Burke & Hare”), John Belushi precipitò definitivamente nel baratro – tanto da necessitare di una “guardia del corpo” che gli impedisse di drogarsi …troppo – dell’autodistruzione che trovò il suo tragico epilogo in un’overdose a base di cocaina ed eroina che lo stroncò il 5 marzo del 1982, a soli 33 anni.
Nessun attore ama assistere al naufragio di un suo film, sopratutto se è quello che reputa di “svolta” nella propria carriera. Ma evidentemente Belushi era troppo fragile (e drogato) per affrontarlo. La sua morte però squarciò il velo ipocrita e molto pericoloso che allora aleggiava intorno all’uso degli stupefacenti, che molti vedevano “cool”, considerando obsoleti perbenisti quelli che invece denunciavano i suoi pericoli mortali.
Così molti attori della generazione di Belushi (e non solo) smisero di fare uso di droghe, come per esempio Robin Williams.
Per quelle imponderabili coincidenze che fanno parte della nostra esistenza “Chiamami aquila” uscì nelle nostre sale tre giorni prima della morte del suo protagonista, che echeggiò in tutto il mondo, cosa che decretò anche nel nostro Paese il suo insuccesso commerciale. Per questo, probabilmente, l’edizione riportata nel dvd ha una qualità mediocre, ma ci permette al tempo stesso di goderci la voce di Massimo Giuliani che doppia straordinariamente Belushi.