(Italia/Francia, 1978)
Sono passati oltre quarant’anni dalla sua uscita nelle sale cinematografiche, e da allora sono stati girati innumerevoli film sull’omosessualità, ma questa pellicola di Edouard Molinaro rimane davvero tanto attuale.
Sia per la straordinaria bravura dei suoi protagonisti Ugo Tognazzi e Michel Serrault, sia per la sua sceneggiatura fresca, ironica e tagliente, con battute straordinarie.
Nel 1973 debutta al Palais-Royal – edificio seicentesco e storico di Parigi ospitante il Consiglio di Stato e il Consiglio Costituzionale, oltre che un teatro della Comédie-Française – la commedia/farsa “La cage aux folles” (che letteralmente sarebbe “La gabbia delle matte”) scritta dall’attore Jean Poiret, che la interpreta accanto a Michel Serrault.
Il successo è strepitoso e le repliche si protraggono per cinque anni. In Italia furoreggiano le Sorelle Bandiera, battezzate e portate in televisione da Renzo Arbore, e così alcuni produttori pensano di adattare la commedia per il grande schermo.
Michel Serrault mantiene la sua parte di Albin/Zazà, mentre il ruolo che era di Jean Poiret viene affidato a Ugo Tognazzi che impersona Renato Baldi. La sceneggiatura viene scritta dallo stesso Poiret assieme a Molinaro, Marcello Danon e Francis Veber (che poi firmerà altre sceneggiature di grandi incassi come “La capra” e “La cena dei cretini”).
Il successo al cinema è clamoroso e pochi mesi dopo l’uscita nelle sale viene messo in cantiere il primo sequel (che non è all’altezza dell’originale, così come sarà mediocre il terzo episodio “Matrimonio col vizietto” del 1985).
La coppia Serrault-Tognazzi si dimostra come una delle migliori del cinema comico, e nella nostra versione non può non essere ricordato insieme a loro Oreste Lionello che doppia straordinariamente Serrault.
Nel rivederlo oggi, io che bambino lo vidi al cinema divertendomi per quegli uomini stranamente vestiti da donna, comprendo adesso il grande rispetto che Tognazzi e Serrault misero nel portare sullo schermo i vizi, le debolezze ma anche l’infinita tolleranza e il coraggio degli omosessuali di allora.
I veri ridicoli nel film sono i bigottoni dei Charrier, il cui capofamiglia è interpretato da uno strepitoso Michel Galabru, ma soprattutto i due giovani che vogliono sposarsi e che sono disposti a calpestare i sentimenti dei genitori pur di realizzare il loro sogno d’amore, e questo vale soprattutto per Laurent che deride e critica aspramente il padre Renato per il suo stile di vita.
A tal proposito, è giusto ricordare come lo stesso Tognazzi, all’uscita del film in Italia, protestò per il titolo scelto “Il vizietto”, che sembrava riferirsi con accezione negativa all’omosessualità dei protagonisti.
E anche se ufficialmente il vizietto è quello di Renato che una volta ogni vent’anni viene colto dalla voglia di avere un rapporto sessuale con una donna, il titolo del film divenne nel nostro Paese, per qualcuno, il termine becero e stereotipato per riferirsi a un omosessuale.
“Il vizietto” è un film immortale, e non solo per i numerosi premi vinti come il Golden Globe, il David di Donatello, il Cèsar e le due candidature all’Oscar come Miglior Regia e Miglior Sceneggiatura Non Originale, ma perché è, soprattutto, tanto attuale.
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