“La maledizione dello scorpione di giada” di Woody Allen

(USA, 2001)

Gli anni Quaranta sono stati per Woody Allen quelli dell’infanzia, che ha magnificamente raccontato nel delizioso “Radio Days“. In questa sua opera, invece, li usa come ambientazione per narrare una storia su uno degli argomenti più affascinanti ed esotici di quel momento: l’ipnotismo.

Negli anni della definitiva esplosione della jazz – musica non a caso tanto amata dallo stesso Allen – la società era incantata da alcuni sedicenti maghi che riuscivano in pochi istanti ad ipnotizzare le persone davanti a un pubblico sempre più numeroso.

Da questo spunto il genio newyorkese scrive dirige e interpreta una deliziosa pellicola in pieno stile hollywoodiano da sophisticated comedy – in cui ha brillato, per esempio, la coppia Katharine Hepburn e Cary Grant – e i cui due ingredienti principali sono l’amore e il mistero. Non è un caso, quindi, se la colonna sonora del film è centrata su alcuni pezzi storici dell’epoca fra cui “Sophisticated Lady” firmata ed eseguita da Duke Ellington, con testo di Irving Mills.

1940, CW Briggs (lo stesso Allen) è l’investigatore più esperto – …e più anziano – di una grande compagnia di assicurazioni di New York. Nonostante i suoi metodi elementari e poco ortodossi, Briggs riesce sempre a smascherare le truffe e a ritrovare i pezzi trafugati e assicurati dalla sua società.

I problemi arrivano quando Chris Magruder (Dan Aykroyd), presidente delle assicurazioni nonché figlio del fondatore, assume Betty Ann Fitzgerald (una bravissima Helen Hunt) per rinnovare e svecchiare la compagnia.

Fra Briggs e Fitzgerald scoppiano però subito delle acredini e delle scintille, e a complicare tutto ci si mette un prestigiatore che una sera, nel locale dove i due assieme a Magruder e ad altri colleghi cenano, li ipnotizza con un ciondolo di giada a forma di scorpione ordinandogli di essere per alcuni momenti due felici innamorati. Intanto, nella città che non dorme mai, iniziano ad essere messi a segno clamorosi furti che hanno come obiettivo gioielli assicurati proprio dalla compagnia di Magruder…

Deliziosa ed esilarante commedia con dei dialoghi irresistibili, grazie anche alla bravura della Hunt che riesce davvero a tenere testa ad Allen come poche altri attrici hanno saputo fare. Un grande omaggio ai film di quegli anni, su cui già calava inesorabile la terribile ombra del secondo conflitto mondiale, che con una risata riuscivano a far sopravvivere gli spettatori alla “orribile realtà”, come la chiama Briggs/Allen in una delle ultime scene.

Nel cast anche una prorompente e fascinosa Charlize Theron e Wallace Shan, quest’ultimo uno degli attori preferiti in assoluto da Allen.

“Ai confini della realtà” di John Landis, Steven Spielberg, George Miller e Joe Dante

(USA, 1983)

Un’intera generazione di cineasti americani – e non solo, parliamo anche di scrittori, come il Re Stephen King, tanto per citarne uno – è stata influenzata in maniera determinante da quella che molti, me per primo, considerano una delle serie televisive migliori di sempre: “Ai confini della realtà” creata dal grande Rod Serling nel 1959 e andata in onda per quattro indimenticabili stagioni fino al 1964.

Così, agli inizi degli anni Ottanta, la nuova Hollywood decide di rendergli omaggio riportando e riadattando al cinema tre degli episodi più famosi. A prendere in mano l’idea è John Landis, reduce di gradi successi al botteghino come “Animal House“, “Un lupo mannaro americano a Londra”, “The Blues Brothers” o “Una poltrona per due“.

Nel progetto, sia come regista che come produttore, viene coinvolto anche l’amico Steven Spielberg – che proprio in “The Blue Brothers” aveva fatto un piccolo cameo – che sceglie di dirigere il segmento “Calcia il barattolo”, il cui episodio originale andò in onda nel 1962. Gli altri registi sono Joe Dante che dirige “Un piccolo mostro” – episodio originale della terza stagione e andato in onda nel 1961- e l’australiano George Miller, reduce dal successo dei film della serie “Interceptor” con Mel Gibson, che firma “Incubo a 20.000 piedi” il cui episodio originale passò per la prima volta in televisione nel 1963 e venne diretto da un giovane Richard Donner che poi passerà al cinema dirigendo film come “Superman”, “Arma letale” e, non a caso, il mitico “I Goonies“.

Tutto il film è pregno di citazioni e riferimenti diretti alla serie originale tanto che la voce narrante – che nella serie storica apparteneva allo stesso Serling – è quella di Burgess Meredith (che molti ricorderanno per sempre come l’allenatore sordo in “Rocky”) che fu il protagonista del famosissimo episodio “Tempo di leggere”, andato in onda nel 1959.

Landis dirige il prologo e l’epilogo del film interpretati dall’amico Dan Aykroyd con un cameo di Albert Books, e scrive un nuovo e originale episodio dal titolo “Time Out”. Bill Connor (Vic Morrow) è un uomo di mezz’età deluso e incattivito dalla vita. Così una sera, in un locale seduto assieme a due suoi amici, inizia a sfogarsi col mondo diventando ferocemente razzista e prendendosela con il collega ebreo che secondo lui ha avuto la promozione al suo posto, e poi con tutte le persone di religione ebraica, con quelle di colore e con gli asiatici visto che da giovane ha servito il suo Paese in Corea contro i “musi gialli”.

Ma appena Bill esce dal locale per fumarsi una sigaretta si ritrova nella Parigi occupata dalle truppe naziste nei panni di un ebreo braccato. Quando i tedeschi lo colpiscono a morte Bill si risveglia fra le mani di feroci membri del Ku Klux Klan che lo vogliono impiccare solo perché è di colore. L’uomo riesce a fuggire ma si ritrova in una foresta del Vietnam nei panni di un vietcong, inseguito dalle truppe americane. Colpito a morte si ritrova in loop nella Parigi occupata. Il suo ultimo contatto col mondo al quale apparteneva sarà da un treno piombato, diretto ai campi di sterminio nazisti, dal quale vedrà i suoi amici cercarlo fuori dal locale.

In “Calcia il barattolo” Mr. Bloom (Scatman Crothers) propone agli altri ospiti della casa di riposo in cui vive di giocare con un barattolo nel cuore della notte. Ma solo quelli che avranno il coraggio di mettersi in gioco accettando al tempo stesso la loro età potranno davvero divertirsi…

“Un piccolo mostro” ci racconta la storia dell’insegnante Helen Foley (Kathleen Quinlan) che durante il viaggio verso la città in cui comincerà una nuova esistenza incappa nel piccolo Anthony, che la porterà a casa sua dove scoprirà un terribile segreto. Nel cast, nei panni di zio Walt, appare Kevin McCarthy, protagonista di un altro episodio storico della serie originale: “Lunga vita a Walter Jameson”, andato in onda nel marzo del 1960.

“Incubo a 20.000 piedi” ha come protagonista l’esperto programmatore di computer John Valentine (John Lithgow) che ha il terrore di volare ma che per lavoro è costretto a farlo. Cercando in ogni modo di calmarsi si mette a guardare fuori dal finestrino e scorge un essere mostruoso intento a sabotare i motori dell’aereo su cui sta volando.

Tutti e quattro gli episodi e le loro atmosfere mantengono fede allo spirito dell’opera originale di Serling e a rivederli oggi, anche a distanza di quasi quarant’anni, si prova sempre un certo gusto e piacere. Ma, purtroppo, durante la lavorazione del film si consumò un terribile e mortale incidente che influì sulla sua riuscita globale. Durante le riprese della scena finale dell’episodio “Time Out” l’elicottero che inseguiva Bill Connor nei panni di un vietcong con in braccio due piccoli vietnamiti rovinò al suolo investendo e uccidendo sul colpo Vic Morrow – padre dell’attrice Jennifer Jason Leigh – e i due attori bambini che erano con lui.

Sull’elicottero viaggiava Landis che dirigeva la scena, dando indicazioni al pilota. L’incidente, stabilirono gli inquirenti, venne causato dai numerosi fuochi d’artificio usati per riprodurre un bombardamento nella giungla, fuochi che abbagliarono il pilota facendogli perdere il controllo del mezzo.

Il processo durò circa dieci anni e ridimensionò inesorabilmente la carriera e il prestigio di Landis che molti considerarono colposamente e soprattutto moralmente responsabile in gran parte dell’accaduto. Spielberg troncò l’amicizia con lui e poi produsse da solo una serie televisiva chiaramente ispirata a quella di Serling – di cui però non possedeva i diritti – dal titolo “Storie incredibili” che andò in onda quasi in contemporanea alla nuova serie “Ai confini della realtà” prodotta dalla CBS e andata in onda dal 1985 al 1989.

Dal giorno dell’incidente e dopo l’esito dell’inchiesta, Hollywood cambiò drasticamente le normative per girare scene anche lontanamente pericolose per artisti e tecnici.

“The Blues Brothers – I fratelli Blues” di John Landis

(USA, 1980)

Su questo capolavoro inossidabile che va dal musical alla commedia surreale è stato detto tanto. Ma mai abbastanza!

Oltre a incoronare definitivamente John  Belushi icona immortale di una generazione, questa pellicola diretta da Landis concilia quella stessa nuova generazione con un genere musicale che allora sembrava adatto solo alle precedenti epoche.

Oltre ai grandi interpreti, la grande musica e alcune spettacolari sequenze, il film è scritto davvero alla grande (la sceneggiatura è firmata da Dan Aykroyd e lo stesso John Landis), e anche per questo rimane immortale come i suoi due protagonisti  “Joilet” Jake ed Elwood Blues.

Grande piccolo cameo di Steven Spielberg nei panni dell’impiegato che alla fine emette la benedetta fattura per salvare l’orfanotrofio e di Frank Oz che, all’inizio, riconsegna gli effetti personali a Jake prima che questo esca dal penitenziario.

Immortale.

“Una poltrona per due” di John Landis

(USA, 1983)

Louis Winthorpe III (Dan Aykroyd) è l’aristocratica giovane promessa manageriale della potentissima agenzia finanziaria Duke & Duke, in mano ai fratelli Mortimer (Don Ameche) e Randolph (Ralph Bellamy) Duke.

Randolph, oltre ad amare la finanza e – come il fratello – i soldi che questa produce, è un patito di studi sociologici. Per questo sfida il fratello con una scommessa: le contingenze ambientali incidono in maniera determinante sul comportamento umano, qualsiasi uomo onesto, messo in condizioni critiche può diventare un criminale, e viceversa.

Per un dollaro come posta Mortimer accetta, e quando il ladruncolo Billy Ray Valentine (uno strepitoso Eddie Murphy) gli capita fra i piedi…

John Landis firma una memorabile commedia a incastro – che consacra al grande successo internazionale Eddy Murphy e l’esplosiva Jamie Lee Curtis (nel ruolo della prostituta Ophelia) – che si vede e rivede cento volte senza stancarsi mai.

E poi, a riguardandola oggi, si legge ancora meglio quella graffiante critica all’America “edonista” e “reaganiana” protagonista del decennio.