“Corte d’Assise” di Georges Simenon

(Adelphi, 2010)

Ci sono scrittori capaci di raccontare l’animo umano con una semplicità disarmante, e poi c’è Georges Simenon, che fa sembrare questa capacità quasi un gioco da ragazzi. Pubblicato per la prima volta nel 1941 – ma scritto nel 1937 e rifiutato molte volte perché tacciato di “assoluta immoralità” – “Corte d’assise” è uno di quei romanzi in cui l’autore, senza i soliti riflettori puntati su Maigret, si addentra nei territori più oscuri dell’animo umano, con una precisione chirurgica e un tocco di poesia che lascia il segno.

Il protagonista di questa tragedia umana è Louis Bert, detto Petit Louis, un uomo che sembra già condannato fin dal primo capitolo. Accusato dell’omicidio della sua amante Jeanne Ropiquet, Louis si ritrova in un’aula di tribunale, dove si gioca non solo il suo futuro, ma anche la comprensione di ciò che lo ha portato fin lì. Simenon ci guida attraverso il processo con una narrazione che va avanti e indietro nel tempo, mostrandoci la vita del protagonista come un film a pezzi, fatto di miseria, disperazione e scelte sbagliate.

Louis non è un mostro, non è un criminale spietato; è un uomo fragile, spezzato dalle circostanze, incapace di fuggire da una vita che sembra decisa per lui sin dalla nascita. È proprio in questo tratteggio psicologico che Simenon dà il meglio di sé. L’autore non ci offre la storia di un assassino da condannare o da assolvere, ma di un essere umano che cade, quasi inevitabilmente, nel vortice degli eventi.

Se vi aspettate una riflessione su giustizia e morale, siete nel posto giusto, ma sappiate che Simenon non è uno scrittore da soluzioni facili. In “Corte d’assise“, la giustizia non è mai bianca o nera e così, come nell'”Antigone” di Sofocle, la Legge si scontra inevitabilmente con la Morale. L’aula di tribunale diventa il teatro di una rappresentazione in cui le parti in causa — giuria, pubblico, giudici — non sono altro che attori in un gioco prestabilito. E noi lettori ci ritroviamo a osservare, con lo stesso senso di impotenza di Louis, il suo destino scivolare via.

Simenon non ci dice mai apertamente se Louis è colpevole o innocente, perché la colpa non è una questione di leggi scritte, ma di umanità. Le vite dei personaggi di Simenon non si possono spiegare con formule giuridiche: sono troppo complesse, troppo imperfette.

Come al solito, Simenon colpisce con la sua prosa asciutta e precisa. Ogni parola sembra scelta con cura maniacale, ogni dialogo affilato come una lama. Non c’è spazio per fronzoli o descrizioni inutili, perché ciò che conta è la tensione che cresce pagina dopo pagina, fino al climax inevitabile. E quella tensione è costante, palpabile, senza mai risultare forzata o esagerata.

L’atmosfera del romanzo è cupa e opprimente, tanto che sembra di sentire l’odore della polvere nell’aula di tribunale, di percepire il rumore dei passi degli avvocati, il fruscio dei documenti maneggiati dalla giuria. Non è solo un romanzo, è un’esperienza che ti avvolge e ti lascia un senso di disagio profondo, proprio come un buon Simenon dovrebbe fare.

Corte d’assise” non è tra i titoli più noti del prolifico autore belga, ma è uno di quei romanzi che una volta finiti ti rimangono attaccati addosso. Simenon ha il dono di farti riflettere sul destino e sulla fragilità della condizione umana, senza mai risultare moralista o didascalico. Se vi piacciono i romanzi che scavano nell’animo umano, che non hanno paura di mostrarvi le debolezze dei personaggi, allora questo libro è una tappa obbligata. Perché in fondo, come ci insegna Simenon, siamo tutti un po’ come Petit Louis: schiavi delle nostre scelte e vittime di un mondo che non ci capisce davvero.

E se vi aspettate un lieto fine, beh, state leggendo l’autore sbagliato.

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“L’amore ai tempi del colera” di Gabriel García Márquez

(Mondadori, 1986)

Gabriel García Márquez, una delle voci più potenti e liriche della letteratura mondiale, ci ha donato con “L’amore ai tempi del colera” un capolavoro che trascende il tempo e lo spazio, esplorando con delicatezza e profondità i misteri del cuore umano. Pubblicato per la prima volta nel 1985, questo romanzo è un inno alla resistenza dell’amore, alla sua capacità di durare nonostante gli anni, le circostanze avverse e le mutazioni della vita.

La storia ruota attorno ai protagonisti Florentino Ariza e Fermina Daza, il cui amore giovanile viene interrotto dalla decisione di Fermina di sposare il benestante dottor Juvenal Urbino. Ma Florentino, determinato e paziente, coltiva il suo sentimento per oltre cinquant’anni, aspettando il momento in cui potrà finalmente reclamare il suo posto accanto all’amata. Marquez ci accompagna in questo lungo viaggio attraverso la vita dei personaggi, dipingendo con maestria le loro vicende, i loro sogni, le loro passioni e le loro delusioni.

Ciò che rende “L’amore ai tempi del colera” un’opera straordinaria è la capacità di rappresentare l’amore in tutte le sue sfumature. Non si tratta solo di una storia d’amore romantico, ma di una riflessione sulla natura complessa e multiforme di questo, spesso incontenibile, sentimento. García Márquez esplora l’amore giovanile, l’amore coniugale, l’amore passionale e l’amore senile, mostrando come questo possa evolversi, trasformarsi e sopravvivere a ogni ostacolo.

Lo stile narrativo di Garcia Marquez è, come sempre, ricco e avvolgente, carico di immagini poetiche e di una sottile ironia che conferisce al racconto una leggerezza che si contrappone alla profondità dei temi trattati. L’ambientazione tropicale, con i suoi colori vibranti e la sua atmosfera languida, diventa un personaggio a sé stante, capace di influenzare e rispecchiare gli stati d’animo dei protagonisti.

L’amore ai tempi del colera” è un romanzo che parla di attesa e perseveranza, ma anche di perdita e disillusione. Márquez non idealizza mai l’amore; al contrario, lo presenta come un sentimento che può essere tanto fonte di gioia quanto di sofferenza, ma che, alla fine, è sempre degno di essere vissuto.

Per chi ama le storie che esplorano i meandri dell’animo umano, “L’amore ai tempi del colera” è una lettura imperdibile. Marquez ci ricorda che l’amore è un sentimento eterno, capace di sopravvivere non solo al passare del tempo, ma anche alle ferite e alle cicatrici che la vita ci infligge. Un’opera che si erge come uno dei pilastri della letteratura mondiale e che continuerà a parlare ai cuori dei lettori per generazioni a venire.

D’altronde, leggere ad intervalli fissi Gabriel García Márquez, è indispensabile per godere di una vita emotiva sana e florida, lo dicono gli esperti!

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“Il barone rampante” di Italo Calvino

(Einaudi, 2015)

Pubblicato per la prima volta nel 1957, “Il barone rampante” è uno dei romanzi più originali e affascinanti della letteratura italiana del XX secolo, capace di conquistare lettori di ogni età con la sua inventiva narrativa e le sue profonde riflessioni filosofiche.

La storia è ambientata nel XVIII secolo e narra le vicende di Cosimo Piovasco di Rondò, un giovane nobile che, a soli dodici anni, decide di ribellarsi alle convenzioni sociali e all’autorità paterna, scegliendo di vivere sugli alberi. Una volta salito su una quercia, Cosimo giura di non scendere mai più, e da quel momento in poi, tutta la sua esistenza si svolge tra i rami degli alberi che costeggiano il piccolo borgo ligure in cui è nato.

Accanto a Cosimo si muovono una serie di personaggi che arricchiscono la narrazione e danno vita a un universo variegato e complesso: Viola, il grande amore della sua vita, con la quale intrattiene un rapporto tanto passionale quanto tormentato; il fratello Biagio, che osserva e racconta le sue gesta con affetto e ammirazione; e un susseguirsi di incontri e avventure che lo vedono interagire con contadini, banditi, filosofi e persino con Napoleone Bonaparte.

Il romanzo è un’esplorazione profonda dell’individualismo e della ricerca di libertà, della ribellione contro le convenzioni e della tensione tra il desiderio di autonomia e il bisogno di appartenere a una comunità. Calvino arricchisce la narrazione con simboli e allegorie che riflettono temi universali, rendendo “Il barone rampante” un’opera aperta a molteplici interpretazioni.

Uno degli aspetti più affascinanti del romanzo è la sua struttura, che riflette la scelta radicale di Cosimo di vivere al di fuori delle regole imposte dalla società. La prosa di Calvino è a tratti poetica e sempre carica di ironia, capace di trasportare il lettore in un mondo sospeso tra realtà e fantasia, dove la vita quotidiana si intreccia con l’immaginario, e dove ogni gesto, ogni scelta, assume un significato simbolico.

“Il barone rampante” non è solo una storia di ribellione e anticonformismo, ma anche una profonda riflessione sull’esistenza e sul rapporto tra l’essere umano e la natura. È un romanzo che sfida e stimola il lettore, invitandolo a riflettere su temi come la libertà, la solitudine e la ricerca di senso nella vita.

Calvino, attraverso la figura indimenticabile di Cosimo, ci offre uno specchio in cui riflettere le nostre stesse aspirazioni e contraddizioni, ricordandoci quanto sia preziosa e fragile la libertà di pensare e di essere se stessi. “Il barone rampante” è, senza dubbio, un capolavoro della letteratura mondiale, un libro che continua a risuonare nel cuore di chiunque abbia il coraggio di lasciarsi trasportare tra …i rami della sua incredibile foresta narrativa.

Non è solo una favola, né solo un romanzo di formazione, ma è proprio questa commistione di generi e registri a renderlo un’opera straordinaria, capace di affascinare e ispirare generazioni di lettori, un inno immortale alla libertà e alla fantasia.

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“L’assassinio di Roger Ackroyd” di Agatha Christie

(Mondadori, 2011)

Tra i pilastri della letteratura gialla, “L’assassinio di Roger Ackroyd” di Agatha Christie occupa un posto di rilievo, non solo per la genialità della trama, ma anche per l’innovativo approccio narrativo che ha saputo sorprendere generazioni di lettori. Pubblicato per la prima volta nel 1926, questo romanzo ha contribuito a definire il genere, rendendo Agatha Christie una delle autrici più celebrate e influenti del ventesimo secolo.

La trama si sviluppa nell’immaginaria cittadina inglese di King’s Abbot, un luogo apparentemente tranquillo dove la vita scorre placida fino all’assassinio del facoltoso Roger Ackroyd. La storia è narrata in prima persona dal dottor James Sheppard, il medico del paese, che si trova coinvolto nelle indagini condotte dal celebre investigatore belga Hercule Poirot, ormai in pensione e residente nei pressi.

Uno degli elementi che rende questo romanzo un capolavoro è il colpo di scena finale. Senza rivelare troppo per chi ancora non avesse avuto il piacere di leggerlo (abbasso gli spoiler!), Christie sfrutta magistralmente la narrazione in prima persona per depistare il lettore, offrendo un esempio di come il narratore possa essere utilizzato per creare un effetto sorpresa di straordinaria potenza. Questo espediente narrativo ha fatto scuola ed è stato oggetto di numerosi studi e imitazioni.

I personaggi sono delineati con la consueta maestria di Christie. Hercule Poirot, con la sua logica infallibile e le sue eccentricità, si conferma un investigatore di razza, capace di vedere oltre le apparenze e di scoprire la verità celata dai segreti dei personaggi. Il dottor Sheppard, invece, emerge come un personaggio complesso e intrigante, la cui presenza al centro della narrazione è cruciale per il dipanarsi della trama.

Il ritmo del romanzo è sostenuto e avvincente, con ogni capitolo che aggiunge un nuovo pezzo al puzzle, mantenendo alta la tensione e la curiosità del lettore. Le descrizioni ambientali e i dialoghi, sempre vivaci e realistici, contribuiscono a creare un’atmosfera ricca e dettagliata, immersiva al punto giusto.

“L’assassinio di Roger Ackroyd” non è solo un giallo ben congegnato, ma anche una riflessione sulle apparenze e sui segreti che si celano dietro la facciata di rispettabilità della società. Agatha Christie ci invita a non fidarci delle prime impressioni e a guardare più in profondità, un insegnamento che va oltre le pagine del libro.

In conclusione, “L’assassinio di Roger Ackroyd” è un romanzo imperdibile per gli amanti del giallo e per chiunque apprezzi una trama ben costruita, personaggi indimenticabili e un finale che lascia senza fiato. Agatha Christie dimostra ancora una volta di essere la regina del mistero, capace di regalare ai suoi lettori ore di pura suspense e intrattenimento intelligente. Se non l’avete ancora letto, vi consiglio vivamente di farlo: vi aspetta un viaggio nel cuore del mistero che non dimenticherete facilmente.

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“22/11/’63” di Stephen King

(Sperling & Kupfer, 2011)

Nella vasta produzione letteraria del maestro Stephen King, “22/11/’63” si distingue come un’opera che va oltre i confini tradizionali del thriller e dell’horror, per esplorare territori più profondi e complessi. Questo romanzo, pubblicato nel 2011, non è solo un’odissea nel tempo, ma un’esplorazione del destino, del rimpianto e della capacità umana di cambiare il corso della storia, con tutte le implicazioni morali che ne derivano.

La trama ruota attorno a Jake Epping, un insegnante di inglese di una cittadina del Maine, la cui vita ordinaria viene sconvolta quando Al, il proprietario di una tavola calda locale, gli rivela l’esistenza di un portale temporale nel suo retrobottega. Questo varco conduce sempre e solo al 9 settembre 1958. Al, ormai malato terminale, convince Jake a prendere il suo posto in una missione impossibile: impedire l’assassinio di John Fitzgerald Kennedy, avvenuto il 22 novembre 1963.

Il Re ci porta così in un viaggio affascinante attraverso un’America degli anni ’50 e ’60 ricostruita con una precisione quasi maniacale. La descrizione di quel periodo è vibrante, con una cura dei dettagli che fa immergere il lettore in un’epoca diversa, fatta di colori vividi, suoni e odori che sembrano uscire dalle pagine del libro. Ma il romanzo non si limita a essere una semplice cronaca del passato. Attraverso Jake, King esplora la natura del tempo stesso, dipingendolo come qualcosa di resiliente e pericolosamente determinato a mantenere il suo corso.

Uno degli aspetti più intriganti di “22/11/’63” è proprio la rappresentazione del tempo come un’entità quasi viva, che resiste ai cambiamenti. Ogni volta che Jake tenta di alterare eventi del passato, il tempo reagisce, spesso in modi violenti e imprevedibili, quasi a proteggere se stesso. Questa tensione tra il desiderio umano di cambiare il passato e l’ineluttabilità del destino è uno dei temi più potenti del romanzo.

King riesce, come in altri suoi lavori, a fondere elementi di fantascienza con una profonda riflessione sul peso delle scelte individuali. La questione centrale del libro, infatti, non è tanto se Jake riuscirà o meno a salvare Kennedy, ma piuttosto se farlo porterà davvero a un mondo migliore. Il lettore è costantemente sfidato a riflettere sulle conseguenze delle proprie azioni, e su come il desiderio di correggere gli errori del passato possa avere ripercussioni inaspettate e, a volte, disastrose.

Il personaggio di Jake Epping è sviluppato con una grande sensibilità. È un uomo comune, con le sue debolezze e le sue paure, che si trova improvvisamente caricato di una responsabilità enorme. La sua crescita personale, il suo amore per Sadie Dunhill, una donna che incontra nel passato, e i dilemmi morali che affronta rendono Jake uno dei protagonisti più memorabili della produzione di King.

In definitiva, “22/11/’63” è un’opera che si distingue non solo per la sua trama avvincente e l’abilità narrativa del Re, ma anche per la profondità delle domande che solleva. È un romanzo che parla di nostalgia, di amore e di perdita, e che esplora il desiderio universale di poter tornare indietro e cambiare il corso della propria esistenza. Ma, come King ci ricorda con maestria, ogni azione ha un prezzo, e il passato, per quanto tentiamo di cambiarlo, è un fardello che portiamo sempre con noi.

Il maestro Stephen King, ancora una volta, ci regala una storia che è tanto avvincente quanto emozionante, capace di farci riflettere sul tempo, sul destino e sulle scelte che modellano le nostre vite.

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“Sotto il vulcano” di Malcom Lowry

(Feltrinelli, 2000)

Pubblicato per la prima volta nel 1947, “Sotto il vulcano” di Malcolm Lowry è senza dubbio uno dei romanzi più complessi e affascinanti della letteratura del XX secolo, capace di stregare lettori di tutto il mondo con la sua prosa opulenta e la sua profondità emotiva.

La storia si svolge in un’unica giornata, il Giorno dei Morti del 1938, nella città messicana di Quauhnahuac. Il protagonista, Geoffrey Firmin, è un ex console britannico in rovina, devastato dall’alcolismo e da un dolore inestinguibile. Attraverso una narrazione intrecciata e frammentaria, Lowry ci guida in un viaggio nella psiche tormentata del console, i cui ricordi e rimorsi emergono incessantemente nel corso di quella fatidica giornata.

Accanto a Geoffrey, troviamo sua moglie Yvonne, che torna a Quauhnahuac con la speranza di riconciliarsi e salvarlo dalla spirale autodistruttiva in cui è caduto, e il suo fratellastro Hugh, un giornalista idealista con i propri demoni interiori. La relazione tra questi personaggi si sviluppa sullo sfondo di un Messico vibrante e misterioso, che Lowry descrive con un realismo sensoriale sorprendente, quasi tangibile.

Il romanzo è un’esplorazione profonda della disperazione e della redenzione, della solitudine e del riscatto. Lowry utilizza una serie di simboli e riferimenti letterari, biblici e mitologici per arricchire la narrazione, rendendo “Sotto il vulcano” un’opera densa di significati e aperta a molteplici interpretazioni.

Uno degli aspetti più sorprendenti del romanzo è la sua struttura, che riflette il caos interiore di Geoffrey. La prosa di Lowry è a tratti onirica, quasi ipnotica, capace di trasportare il lettore nelle profondità della mente del console, dove il confine tra realtà e allucinazione si fa sempre più labile.

“Sotto il vulcano” non è solo una storia di autodistruzione, ma anche una meditazione sull’amore e la perdita, sul senso di colpa e sulla possibilità di redenzione. È un romanzo che sfida e coinvolge, richiedendo al lettore un impegno totale per essere pienamente compreso e apprezzato.

Malcolm Lowry, attraverso la figura tragica di Geoffrey Firmin, ci offre uno specchio in cui riflettere le nostre stesse paure e debolezze, ricordandoci quanto sia fragile l’equilibrio tra l’ordine e il caos nella vita di ciascuno di noi. “Sotto il vulcano” è, senza dubbio, un capolavoro della letteratura mondiale, un libro che continua a risuonare con forza nel cuore di chiunque abbia il coraggio di immergersi nelle sue pagine. Non è un libro facile, né è facile leggero, ma è proprio questo a renderlo un capolavoro, una pietra miliare per più di una generazione.

Nel 1984 il maestro John Huston dirige l’ottimo adattamento cinematografico “Sotto il vulcano” con Albert Finney nel ruolo di Firmin e Jacqueline Bisset in quello di Yvonne.

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“From Hell” di Alan Moore e Eddie Campbell

(Italia Magic Press Edizioni, 2017)

Pubblicato per la prima volta nel 1991, questo romanzo grafico è uno dei più famosi in tutto il mondo.

Pochi anni dopo la libera pubblicazione dei documenti secretati per un secolo dalla Polizia di Sua Maestà britannica, Alan Moore ed Eddie Campbell ricostruiscono gli avvenimenti che – molto probabilmente – si celarono dietro gli efferati e sanguinari omicidi nella Londra vittoriana della fine del XIX secolo, il cui autore – ancora ufficialmente ignoto – venne chiamato dai media “Jack lo squartatore”.

Nell’autunno del 1888 la capitale dell’impero britannico viene insanguinata da quattro atroci delitti di donne i cui corpi vennero letteralmente massacrati e mutilati. Dietro tanta efferatezza, Alan Moore autore del testo, ci identifica le alte sfere dell’impero, arrivando addirittura a indicare come mittente la regina Vittoria, disposta a tutto pur di salvare l’onorabilità di suo nipote, il principe Edoardo, e della corona tutta.

Proprio l’erede al trono Edoardo, libertino e bisessuale, poco prima aveva sposato clandestinamente una giovane ragazza del popolo della quale era innamorato, e da lei aveva avuto un figlio. Quando la notizia arriva alle orecchie di Sua Maestà, questa fa rinchiudere subito in un manicomio la ragazza dopo averla fatta lobotomizzare, spedisce il piccolo anonimamente in un orfanotrofio, e incarica il suo medico personale William Gull di far tacere per sempre le quattro amiche della povera sventurata, le uniche che sono a conoscenza della vicenda.

Gull, esperto chirurgo, che però inizia ad avere i primi segni di squilibro mentale, prende il compito come una missione divina, confondendo l’omicidio di alcune povere sventurate, con qualcosa di “sacro” che lo eleverà moralmente e spiritualmente. Ma il “potere” è dalla sua parte, e gli permetterà di godere di una incredibile immunità con relativi depistaggi da parte di alcuni uomini cruciali di Scotland Yard, tutti legati inesorabilmente alla corona e alla massoneria. Solo l’ispettore Abberline intuisce il vero movente…

Strepitoso, gotico e indimenticabile, questo libro è senza dubbio fra i più riusciti esempi di romanzo grafico mai pubblicati. Non a caso l’inglese Alan Moore (classe 1953) è considerato uno degli autori più poliedrici di spicco degli ultimi decenni avendo al suo attivo, oltre questo tomo, i testi di libri – che poi sono stati adattati per il grande e il piccolo schermo – come: “V per Vendetta”, “Watchmen”, “La Lega degli Straordinari Gentlemen” e “Batman: The Killing Joke”.

Il libro contiene anche due appendici. La prima descrive tutte le fonti, per ogni capitolo, da cui è partito Moore per scrivere i suoi testi. La seconda, che si intitola “La Danza degli Acchiappa-polli”, è dedicata a chi, nel corso degli anni, ha millantato di conoscere la verità su Jack lo squartatore, molto spesso per il proprio tornaconto personale, a partire da alcuni giornalisti contemporanei ai fatti del 1888, che senza il minimo scrupolo sfruttarono la vicenda per vendere più copie. D’altronde il Re Stephen King ha intitolato un suo racconto – e la racconta che lo contiene – “Se scorre il sangue“, proprio dal cinico detto giornalistico “Se scorre il sangue si vende”.

Nel 2001 Albert e Allen Hughes dirigono lo splendido adattamento cinematografico “La vera storia di Jack lo squartatore” con un bravissimo Johnny Depp nei panni di Abberline e il grande Ian Holm in quelli di Gull.

“Il mangione” di Tonino Benacquista e Jacques Ferrandez

(Q Press, 2006)

Pubblicato in Francia nel 1998 con il titolo originale “L’outremangeur”, questo breve romanzo grafico è senza dubbio fra i più originali e insoliti del panorama europeo, e non solo.

L’integerrimo ed efficientissimo commissario Richard Selena ha un doloroso segreto che lo opprime ogni giorno. L’unico modo per riuscire ad andare avanti è quello di mangiare, mangiare tutto quello che il suo stomaco può contenere.

Così, col passare del tempo, ha raggiunto i 160 chili di peso. Ma se il cibo gli ha reso la vita apparentemente più sopportabile, ormai ogni boccone gliela sta accorciando. Il suo cardiologo, infatti, dopo l’ultima visita gli ha dato al massimo due anni di vita a causa proprio del suo peso e della sua condotta quotidiana.

Nel gruppo di supporto per obesi che frequenta, Selena è l’unico che non vuole parlare mai, ma ascolta attentamente i racconti dolorosi degli altri.

Sulla sua scrivania arriva il caso dell’omicidio di Victor Lachaume, dirigente di una nota ditta del porto, trovato morto nel suo appartamento. Mentre tutti gli altri investigatori pensano ad un movente legato agli affari marittimi dell’uomo, Selena si concentra su Elsa, la bella e giovane nipote dell’armatore, figlia del fratello defunto in un incidente automobilistico qualche anno prima.

Dopo alcuni riscontri, fra cui quello di un capello ritrovato sul luogo del delitto e uno che lo stesso commissario ha prelevato direttamente dalla testa della giovane, non sembrano esserci più dubbi: Elsa ha ucciso suo zio.

Ma Selena non la denuncia anzi, contravvenendo a come si è sempre comportato durante tutta la sua carriera, la ricatta: per non finire in prigione lei dovrà passare a casa sua tutte le sere per un anno, fra le ventuno e le ventitré, per cenare con lui.

La giovane rimane allibita, ma è costretta ad assecondare il commissario pur di non finire in galera. Certa che la cena si trasformerà in qualcosa di molto più materiale e sessuale, Elsa si presenta la sera a casa Selena dove, invece, trova la tavola imbandita. Alle ventitré, appena finito di desinare e senza che ci sia stato il minimo contatto fisico, Selena la congeda.

Gli incontri quotidiani provocano in Elsa stupore e confusione, mentre per Selena sono il motivo per trovare tutto il coraggio necessario per cambiare e non vivere più il momento del pasto come qualcosa di violento e vergognoso. Così, col passare del tempo, le cene fra Elsa e Richard diventano sempre più piacevoli e intime, ed il commissario inizia a sensibilmente a perdere peso. Ma…

Storia insolita di un amore molto particolare, che nasce da quello che un uomo, davanti al bivio più inesorabile, sceglie di ritrovare verso se stesso, che per fin troppo tempo ha punito e umiliato.

I testi di questo romanzo grafico sono di Tonino Benacquista (1961), figlio di immigrati italiani che, dopo aver fatto numerosi e diversi mestieri come il cameriere in pizzeria o il cuccettista sulla linea Parigi-Roma, esordisce negli anni Ottanta nella narrativa noir francese. In relazione a questa storia ha dichiarato che: “necessitava assolutamente di essere raccontata con le immagini”.

I disegni, invece, sono di Jacques Ferrandez (1955) che è noto, fra le altre, per le storie grafiche della serie “Gente di paese”. 

Nel 2003 Thierry Binisti dirige lo sfizioso adattamento cinematografico “L’outremangeur” con, nei panni di Selena, l’ex calciatore Eric Cantona.    

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“You Like It Darker – Salto nel buio” di Stephen King

(Sperling & Kupfer, 2024)

Eccoci davanti a nuovi racconti firmati dal grande Stephen King.

Questa raccolta ne contiene dodici, di cui due, “L’incubo di Danny Coughlin” e “Serpenti a sonagli” più lunghi degli altri. Forse non è un caso che proprio questi due, assieme a “Laurie” e a “L’Uomo delle Risposte”, siano fra i miei preferiti.

Il libro si apre con “Due bastardi di talento” in cui il Re ci racconta la storia – assai …particolare – di uno scrittore e di un pittore di successo planetario, nati e cresciuti nello stesso piccolo paesino fra i monti americani che, superati i quarant’anni, hanno iniziato a produrre opere che sono diventate fra le più lette e le più pagate del panorama artistico americano.

“Il quinto passo” e “Willy lo Strambo” sono due racconti brevi nella classica e tagliente tradizione del Re, che ci sa narrare come pochi dei mostri più pericolosi di tutti: gli esseri umani. Riassumere anche la solo trama sarebbe un’inutile anticipazione, sia nel rispetto di chi li ha scritti, sia soprattutto, per chi li vuole leggere: vanno assaporati e basta.

“L’incubo di Danny Coughlin”, che è il primo dei due lunghi, ci racconta lo stesso King, che gli è venuto in mente mentre si stava vestendo e si osservava allo specchio allacciarsi la camicia. Danny Coughlin è il custode di una scuola nella sconfinata provincia americana. Ha un passato da alcolista, che gli è costato il matrimonio e una diffida che la sua ex moglie ha chiesto dopo che una sera è stato a strillare sbronzo sotto la sua finestra. Una notte Danny “sogna” i resti del corpo di una ragazza, resti che stanno per essere divorati da un randagio. Il corpo è presso una vecchia stazione di servizio Texaco abbandonata, non lontano da una piccola località in un altro stato, luogo che riconosce, ma dove non ha mai messo piede in vita sua. La curiosità è incontenibile e così Danny, in un giorno di riposo, decide di andare a vedere se quel corpo esiste davvero…

“Finn” è forse il più ironico fra i dodici, ed il protagonista è un ragazzo da sempre sfortunato, tanto da finire nelle mani di una gang criminale e sanguinaria, per un banale quanto inesorabile scambio di persona. 

In “Lungo Slide Inn Road” l’intera famiglia Brown – Frank il padre, Corinne la madre e i due piccoli Billy di undici e Mary di nove anni – stanno accompagnando il padre di Frank a Derry, per salutare la sorella Nan, afflitta da un cancro allo stato terminale. Per fare prima Frank decide di assecondare il desiderio del padre e prendere la vecchia Slide Inn Road, una scorciatoia che deve il suo nome all’albergo Slide Inn che molti anni prima venne distrutto da un incendio. Proprio nei pressi dei ruderi solitari dell’hotel l’auto frana in un piccolo fosso e i due bambini ne approfittano per andare a vedere di persona le vecchie rovine…

“Lo schermo rosso” e “L’esperto di turbolenze” potrebbero essere tranquillamente i soggetti per altrettanti episodi cult dell’indimenticabile serie tv “Ai confini della realtà” di Rod Serling e, come per “Il quinto passo” e “Willy lo Strambo”, accennare anche solo la trama toglierebbe senza dubbio il gusto della prima lettura.

“Laurie” è la storia del rapporto profondo fra Lloyd Sunderland e il suo giovane cane Laurie. Lloyd è rimasto vedovo da circa sei mesi, dopo oltre quarant’anni di matrimonio, e così sua sorella Beth gli porta un cucciolo preso in un canile, dove sarebbe destinato alla soppressione. Si tratta di una femmina nata dall’incrocio fra un terrier e un mudi. All’inizio Lloyd non ne vuole sapere di tenerla, ma col passare dei giorni… In questo breve racconto il Re ci parla in maniera molto dolce e sincera del rapporto fra un essere umano e il suo cane, come sa fare solo un grande scrittore, vero amante del suo amico fedele a quattro zampe.    

Nel 1981 il pubblico americano – e poi quello mondiale – venne terrorizzato dal romanzo di King “Cujo”, in cui un placido e giocherellone cane sanbernardo di oltre settanta chili, dopo essere stato morso da un pipistrello, diventa un rabbioso e feroce assassino che assedia senza tregua Donna Trenton e il suo piccolo figlio Tad, bloccati in una automobile in panne sotto il sole torrido estivo. “Serpenti a sonagli” ci porta oltre quattro decenni dopo da Vic Trenton, padre di Tad e marito di Donna, che sta passando qualche settimana ospite nella lussuosa villa del suo amico Greg a Rattlesnake Key, una delle Florida Keys. Greg era, come Vic, un pubblicitario di successo prima di andare in pensione. In quel periodo dell’anno – l’estate – la piccola isola è quasi disabitata dato il clima torrido e umido, così solo un’altra villa è abitata da una persona. Si tratta di Allie Bell, poco più giovane di Vic, che ha la peculiarità di girare sempre spingendo un passeggino per gemelli vuoto. O meglio, senza alcun bambino sopra, ma con degli indumenti da bambini appoggiati sulle sedute. Vic è stato avvertito in precedenza da Greg di quella “stranezza” della donna, legata al trauma per la morte dei suoi due figli gemelli, avvenuta oltre quarant’anni prima, proprio su quell’isola che allora era infestata dai serpenti a sonagli…  Una bellissima e dolorosissima riflessione sulla vita che inesorabilmente passa, sui suoi drammi, sulle sue tragedie e, soprattutto, sulla capacità – fondamentale per proseguire con più dignità possibile la propria esistenza – di lasciarle andare, che non vuol dire certo però dimenticarle.

“I sognatori”, ambientato agli inizi degli anni Settanta, ha come protagonista il veterano del Vietnam William Davis, e possiede più di un riferimento, non solo d’atmosfera, al romanzo “L’incendiaria” che King scrisse nel 1980.

La prima parte de “L’Uomo delle Risposte” King la scrisse molti anni fa, e solo di recente suo nipote ne trovò la bozza originale e, considerandola valida, gli propose di terminarla. Così ci troviamo nel 1939 quando Phil Parker deve prendere una decisione che sicuramente segnerà la sua vita: accettare il posto sicuro nello studio legale di suo padre e del suo futuro suocero, o seguire il suo istinto e aprirne uno nuovo nella piccola cittadina agricola di Curry, forse destinata ad espandersi. Mentre guida la sua vecchia auto, che ospita nel sedile posteriore la sua laurea nuova di zecca appena presa ad Harvard, Phil nota, sul ciglio della strada di campagna che sta percorrendo, un cartello che avverte che: “L’Uomo delle Risposte è a sole tre miglia di distanza”. Poi ne scorge uno con la scritta “1,5 miglia” e finalmente quello con solo “L’Uomo delle Risposte” sotto il quale è seduto un anonimo tizio di mezz’età all’ombra di un ombrellone. Dopo qualche istante di incertezza Phil decide di concedersi il lusso di questa sorta di “illusione” e, scettico, si siede al tavolo pronto a pagare per avere a disposizione 5 minuti in cui fare tutte le domande che vuole. Ma l’Uomo delle Risposte lo avverte: attenzione a cosa si chiede, se non si è sicuri di voler ascoltare davvero le risposte…    

Dodici racconti che parlano di dolore, di perdita e di scelte definitive, con la classe e la potenza narrativa che solo il maestro Stephen King è capace di regalarci. Da leggere, ricordandosi sempre che i racconti hanno pari dignità dei romanzi, almeno fuori dai confini letterari del nostro Paese.  

Per la chicca: il titolo originale della raccolta è ispirato alla canzone di Leonard Cohen “You Want It Darker”. 

“Il buio e il miele” di Giovanni Arpino

(Rizzoli, 1969)

Giovanni Arpino (1927-1987) è stato scrittore, poeta e giornalista fra i più rilevanti del Novecento italiano. Nonostante la sua prematura scomparsa avvenuta a sessant’anni – e provocata dalla sua forte dipendenza dal fumo – ci ha lasciato numerose opere fra cui romanzi, raccolte di poesie e di racconti, libri per ragazzi, sceneggiature e opere teatrali.

Partecipa, per esempio, alla redazione della sceneggiatura di “Renzo e Luciana”, splendido episodio diretto da Mario Monicelli e contenuto in “Boccaccio ‘70”, tratto da un racconto di Italo Calvino. Per la sua scrittura, spesso molto essenziale, ma soprattutto per la sua grande creatività, il cinema ha attinto sovente alla sua penna.

Nel 1969 pubblica il romanzo che poi, adattato per il grande schermo, riscuoterà il maggiore successo di tutti: “Il buio e il miele”.

A un giovane studente, che sta per terminare il servizio di leva, viene affidato il compito di assistere e accompagnare per una settimana, come se fosse un attendente, Fausto G., un capitano dell’esercito rimasto gravemente disabile a causa di un incidente avvenuto quasi dieci anni prima, durante un’esercitazione militare.

Il capitano, per l’esplosione accidentale di una granata, ha perso la vista e una mano, oltre a rimanere terribilmente sfigurato. Da Torino vuole andare prima a Genova, poi a Roma ed infine a Napoli. Nella capitale ha un appuntamento con suo cugino, che è un sacerdote, mentre a Napoli con il tenente Vincenzino V., suo commilitone che gli era vicino al momento dell’esplosione e che ha perso la vista anche lui.  

L’impatto, per il giovane militare di leva, è molto duro perché Fausto, che non si è mai sposato e vive con un’anziana cugina quasi recluso nella sua grande abitazione – dove la sua compagna più fedele è una bottiglia di whisky – non fa sconti a nessuno, e sa riversare la sua incontenibile rabbia contro se stesso così come contro gli altri, che provoca e sfotte senza remore tutte le volte che può, soprattutto con chi tenta di compatirlo o, ottusamente, di assecondarlo. Impone subito al ragazzo il nome Ciccio, che lui da a tutti i suoi attendenti “temporanei”.

Nella notte che i due passano a Genova – dove nel pomeriggio il capitano gli ha chiesto, fornendo precise indicazioni, di trovargli una prostituta – il giovane scopre una rivoltella nascosta nel bagaglio dell’ufficiale. A Roma la visita al prelato è senza dubbio più tranquilla, mentre nella città partenopea, dove Fausto è ospitato nella grande casa di Vincenzino, che ha un’ampia terrazza sul mare, si inizia ad organizzare una festa.

Oltre al padrone di casa e al suo capitano, partecipano alcune ragazze che sono le figlie adolescenti – e alcune loro amiche – della proprietaria del ristorante poco distante, dove regolarmente mangiano Vincenzino e i suoi ospiti. Fra queste c’è Sara che da sempre, anche da prima dell’incidente, e nonostante la sua giovane età è innamorata perdutamente di Fausto, che invece la rifiuta, allontanandola tutte le volte, e spesso umiliandola.

Ma il vero motivo del viaggio di Fausto a Napoli, Ciccio e Sara lo comprenderanno solo nel cuore della notte…

Originale, emotivamente crudo e indimenticabile romanzo che ci racconta la rabbia di un uomo disperato che odia più di tutto la vita, ma che ad essa rimane aggrappato con ogni briciolo di forza. Davvero un libro unico e struggente.

Nel 1974 Dino Risi scrive, insieme a Ruggero Maccari, e poi dirige il suo primo adattamento cinematografico che prende il titolo: “Profumo di donna”, con uno straordinario Vittorio Gassman nel ruolo di Fausto, Alessandro Momo in quello di Ciccio e Agostina Belli in quello di Sara, ruolo che la rende famosa.

Nel 1992 Martin Brest firma “Scent of a Woman – Profumo di donna” ispirato al film di Risi e tratto da romanzo di Arpino, scritto da Bo Goldman – due volte vincitore del premio Oscar per gli script di “Qualcuno volò sul nido del cuculo” e “Una volta ho incontrato un miliardario” – con un grande Al Pacino che vince l’Oscar come migliore attore protagonista.

Purtroppo questo libro è fuori catalogo da decenni e nel nostro Paese (…nonostante questo vanti una folta schiera di esperti, dotti e preparatissimi “addetti ai lavori”) è possibile reperirlo, non troppo facilmente, solo nell’universo dell’usato. E’ disponibile nel formato audiolibro o in versione kindle, anche se alcuni benpensanti storcono ancora il naso davanti a cotanta arrogante tecnologia…