(USA, 1957)
Negli anni Cinquanta Roma è stata il set di numerose e famose pellicole come “Guardie e ladri” e “I soliti ignoti” di Mario Monicelli, o “Poveri ma belli” di Dino Risi. Ma nello stesso periodo – proprio nel 1957, anno in cui Risi girava il primo film con Maurizio Arena e Renato Salvatori – una troupe statunitense girava nella Capitale gli esterni di un film di fantascienza che sarebbe diventato di vero e proprio culto nei decenni successivi.
L’idea di realizzare un film di fantascienza ambientato a Roma venne nei primi anni Cinquanta al geniale Ray Harryhausen, giovane esperto di effetti speciali. Ma il costo fece slittare di parecchio la realizzazione del film che poi, scritto da Christopher Knopf e Robert Creighton Williams, venne diretto dall’ottimo artigiano della MDP, di origini austriache, Nathan Juran.
Al rientro dalla prima e segretissima spedizione spaziale su Venere, il razzo cosmico guidato dal colonnello Robert Calder (William Hopper) naufraga nel mare, vicino alle coste della Sicilia. Unico sopravvissuto all’impatto è proprio Calder che, una volta ripresosi, comunica al Pentagono la sua posizione. La priorità, per il militare, è ritrovare il campione biologico che la spedizione ha prelevato su Venere.
Ma lo strano cilindro con dentro un uovo in gelatina viene ritrovato sulla spiaggia da un ragazzino del posto che lo vende al Dottor Leonardo (Frank Puglia), un famoso etologo del Giardino Zoologico di Roma, in vacanza studio nel luogo. Poche ore dopo l’uovo gelatinoso si schiude per far uscire una piccola e minacciosa lucertola che cammina sulle zampe posteriori. Respirando l’ossigeno terrestre la creatura comincia a ingigantirsi fino a costringere i militari, che nel frattempo hanno localizzato Leonardo, a tramortirla con l’elettricità. La creatura extraterrestre viene così portata nel Giardino Zoologico di Roma per essere studiata ma, a causa di un banale incidente, riesce a liberarsi per poi fuggire e seminare terrore e distruzione nella Città Eterna…
Al di là della storia, che comunque ha il suo fascino – e ricorda in tinte horror quella di “E.T. L’Extraterrestre” di Spielberg – la bellezza di “A 30 milioni di km. dalla Terra” sta negli effetti speciali concepiti, creati e filmati a “passo uno” dal grande Ray Harryhausen, che realizzava tutto senza l’aiuto di nessun collaboratore. Fra le scene memorabili devono essere ricordate la battaglia fra la creatura extraterrestre e un elefante che dal Giardino Zoologico, passando davanti alla Galleria Borghese, per via Cristoforo Colombo, arriva fino a Castel Sant’Angelo – con una spettacolare distruzione di Ponte Sant’Angelo – e che trova il suo l’epilogo finale sul Colosseo: davvero strepitoso!
A fare l’eroe, un po’ troppo ingessato per la verità, è William Hopper, famoso per interpretare il detective Paul Drake, braccio destro del Perry Mason televisivo impersonato da Raymond Burr; nonché figlio della “famigerata” Hedda Hopper, penna “armata” e feroce del maccartismo più intransigente che flagellò Hollywood a partire dalla fine degli anni Quaranta.
Per capire bene l’impronta che Ray Harryhausen ha lasciato nel cinema bastano due piccoli esempi: nel 2013 il grande Guillermo Del Toro dedica il suo “Pacific Rim” alla “memoria dei maestri dei mostri Ray Harryhausen e Ishiro Honda” (papà del primo e inarrivabile “Godzilla” e regista di “Latitudine Zero“). E per finire, nello splendido “Monsters & Co.” di Pete Docter il ristorante di sushi, alla moda e molto esclusivo, in cui Sulley riesce a prenotare per Mike e Celia si chiama, guarda il caso, “Harryhausen’s”.