“Quel giardino di aranci fatti in casa” di Herbert Ross

(USA, 1982)

E’ vero che portare sul grande schermo una commedia di Neil Simon è apparentemente una cosa molto facile, ma solo la grande maestria di Herbert Ross riusciva a farlo senza far trasparire l’impronta nettamente teatrale del soggetto.

E’ il caso di questo delizioso film dei primi anni Ottanta in cui giganteggia un grande Walter Matthau nei panni di Herbert Tucker, sceneggiatore hollywoodiano in crisi che riceve la visita della figlia 19enne Libby (una brava Dinah Manof, già Marty Maraschino in “Grease”) che non vede da sedici anni.

Oltre a confermare la teoria secondo la quale un grande attore comico possieda anche le corde del drammatico, “Quel giardino di aranci fatti in casa” ci parla dei problematici e – troppo spesso – dolorosi rapporti familiari con quella leggerezza e ironia di cui solo Neil Simon è capace.

Da vedere.

“Vedovo, aitante, bisognoso d’affetto, offresi… anche babysitter” di Jack Lemmon

(USA, 1971)

Sì, il regista è proprio lui, Jack Lemmon, il grande interprete delle più importanti commedie hollywoodiane della seconda parte del Novecento.

Questa deliziosa – e sottolineo deliziosa – commedia è l’unica pellicola, purtroppo, firmata dal grande attore. E non poteva che essere interpretata dal suo amico e partner di lavoro Walter Matthau che, invecchiato appositamente per il film, impersona Joseph P. Kotcher un anziano vedovo che vive col figlio e la nuora, e si occupa più che efficientemente del nipotino Duncan.

Ma sua nuora lo trova invadente e obsoleto, e soprattutto non si fida di lui. Gli toglie così la cura del figlio, affidandola alla giovane adolescente Erica. Poco dopo impone al marito di chiudere il suocero in una casa di riposo. Ma “Kotch” proprio non ci sta, e per non mettere in crisi il matrimonio del figlio decide di allontanarsi.

Intanto, la giovane Erica rimane incinta e viene allontana dalla città. L’anziano, venuto a conoscenza della notizia, la rintraccia e sarà lui l’unico sostegno, materiale e morale, alla grande prova che dovrà affrontare la giovane.

Davvero un affresco dolce e delicato sulla terza età e sul ruolo di questa nella società, terza età che già allora veniva emarginata.

E adesso la domanda delle cento pistole: “ma che cavolo c’entra il titolo in italiano?”

E infatti non c’entra una mitica mazza!

E’ evidente che dietro a queste fantasmagoriche traduzioni ci deve essere qualcosa, tipo un premio occulto in denaro per il titolo più fuorviante e demente in italiano… Tanto per la cronaca il titolo originale era “Kotch”.

Non vorrei essere polemico, ma vogliamo parlare pure della locandina italiana? …Degna del fatidico “La nipotina” de “Il comune senso del pudore” di Alberto Sordi.