“Bellezza infinita” di Craig Roberts

(UK, 2019)

Il gallese Craig Roberts (classe 1991) è considerato uno dei migliori attori britannici della sua generazione, grazie sopratutto alle interpretazioni nelle ottime pellicole “Submarine” diretto da Richard Ayoade nel 2010 e “Altruisti si diventa” di Rob Burnett del 2016.

Probabilmente anche attraverso questi due film è passata la genesi di “Bellezza infinta”, la sua seconda opera da regista e sceneggiatore, dopo l’esordio con “Just Jim” del 2015. Perché in “Submarine” Roberts ha recitato accanto a Sally Hawkins che vestiva i panni di sua madre, mentre in “Altruisti si diventa” interpretava in ruolo di Trevor, un adolescente paraplegico affetto da una grave forma di distrofia muscolare.

Sebbene una disabilità fisica abbia caratteristiche e conseguenze profondamente diverse da una mentale o comportamentale, spesso l’occhio di chi la osserva ottusamente le accomuna nel provare disagio o falsa pietà e commiserazione.

Per questo il Trevor di “Altruisti si diventa”, che ama scandalizzare e turbare gli sconosciuti che lo osservano nascondendo il proprio disagio sotto una misera coltre di pietismo, non è troppo lontano dalla Jane protagonista di “Bellezza infinita” che, nonostante il mondo la consideri solo una “povera malata di mente”, vuole vivere semplicemente assecondando le proprie basiche esigenze.

Così approdiamo nella cittadina del Galles dove vive Jane (una stratosferica Sally Hawkins da Oscar) classificata come “schizofrenica” dopo un grave esaurimento nervoso. Attraverso i suoi occhi e, soprattutto, la sua mente ripercorriamo gli eventi che hanno contribuito a farla precipitare nel baratro, eventi che hanno il loro fulcro, come accade fin troppo spesso – …purtroppo – nella famiglia.

Ma Jane ha risorse che i “normali” (come si vogliono per forza chiamare tutti quelli che tronfi sfuggono alle classificazioni ufficiali) si sognano; e ai quali Jane dimostrerà di saper fare la cosa che la maggior parte di loro vanamente anela per tutta la propria esistenza: saper convivere con se stessa.

Con una battuta finale memorabile, “Bellezza infinita” è un vero e proprio gioiello cinematografico e un inno all’amore e alla tolleranza …soprattutto verso le persone che ostentatamente bramano per esser incasellate nel gruppo dei “normali”.

Da ricordare anche l’interpretazione di Penelope Wilton nei panni della madre di Jane.

Per la chicca: il film è dedicato alla vera “Calamity Jane” e quindi, come accade spesso, la realtà supera la finzione.

Da vedere.

“La forma dell’acqua” di Guillermo Del Toro

(USA, 2017)

Il genio di Guillermo Del Toro ci regala due ore di grande ed emozionante cinema.

Il maestro messicano ci racconta una delle storie più romantiche degli ultimi decenni. Come sempre, poi, i messaggi più profondi e forti passano nel cinema di genere molto più spesso che in quello classico.

Anche per questo Del Toro, che sa mettere in maniera sublime e come pochi il cinema nel cinema, rende omaggio al genere horror anni Cinquanta e Sessanta (fra cui su tutti “Il mostro della Laguna Nera“) dove i temi sociali avevamo molto più spazio rispetto alle leggiadre e infiocchettate commedie romantiche con Rock Hudson o Doris Day.

Non è un caso, quindi, che Elisa Esposito (una bravissima e affascinantissima Sally Hawkins) sia una donna muta, cresciuta in un orfanotrofio nel quale fu accolta dopo essere stata ritrovata da bambina, con la laringe recisa.

E non è un caso quindi che i suoi unici amici siano Zelda, una collega di colore (un altrettanto bravissima Octavia Spencer) e Giles, un pittore omosessuale (Richard Jenkis) per questo reietto della società.

Facendo le pulizie Elisa e Zelda capitano in un laboratorio dove è tenuta segregata una strana creatura, una specie di uomo pesce (impersonato da Doug Jones). Il responsabile scientifico è il Dottor Hoffstetler (un sempre bravo Michael Stuhlbarg) che nutre un profondo rispetto e una sana curiosità per l’essere sconosciuto.

Ad avere fra le mani le vite di tutti questi “diversi”, invece, è il colonnello Strickland (Michael Shannon), volitivo e inflessibile giovane promessa delle Forze Armate, incarnazione del sogno americano più reazionario possibile, razzista e sessista come un bell’uomo bianco e con un po’ di potere in quegli anni doveva essere.

Capire ora chi è il vero mostro in questa splendida favola gotica non è difficile…

“La forma dell’acqua”, scritto da Del Toro insieme a Vanessa Taylor, ha incassato 7 nomination agli Oscar fra cui quella per il miglior film, e il miglior regista (categoria per la quale Del Toro ha già vinto il Golden Globe) nonché che quella come miglior attrice alla Hawkins, e miglior attori non protagonisti alla Spencer e a Jenkins.

Ma indipendente da premi che potrà vincere o meno, “La forma dell’acqua” con i suoi omaggi al grande cinema, da Fritz Lang a Federico Fellini, è una delle pellicole più struggenti degli ultimi anni.

Da vedere.

“We Want Sex” di Nigel Cole

(UK, 2010)

Sembra incredibile, ma ancora nel 1968 il salario di uomini e donne era diverso, ovviamente in sfavore delle donne.

Questo film ci racconta la lotta che per prime fecero 187 operaie che lavoravano alla Ford, nel reparto tappezzerie dei sedili dello stabilimento di Dagenham, un quartiere di Londra.

Ricordandoci, poi, come dovettero combattere contro i pregiudizi dei loro datori di lavori, ma anche dolorosamente contro quelli dei loro mariti e fratelli.

Del 1968 vengono ricordate fin troppe cose – molte delle quali sono rimaste sempre e solo nella capoccia di chi, enfatico, continua a raccontarle – ma i fatti di Dagenham sono fra i pochi che devono essere ricordati come dovere civico e sociale.

Con una grande Sally Hawkins e un bravissimo e indimenticabile Bob Hoskins, da vedere e rivedere fin da piccoli.

“Submarine” di Richard Ayoade

(USA/UK, 2010)

Questa deliziosa pellicola intimista ci racconta della prima grande battaglia della vita, dura e senza esclusione di colpi, che è l’adolescenza. Così seguiamo l’adolescente Oliver (Craig Roberts) che tenta di diventare popolare a scuola e, soprattutto, farà di tutto per conquistare la sua compagna Jordana.

A complicare le cose, però, ci si mette pure l’ex fidanzato della madre che, casualmente, si trasferisce nella casa accanto alla loro, proprio nel culmine di una profonda crisi fra i suoi genitori Jill (Sally Hawkins) e Lloyd (Noah Taylor). Ad Oliver non rimane che ideare astrusi e “diabolici” piani per raggiungere i suoi scopi…

Con chiarissimi richiami a quel genio visionario di Michel Gondry, “Submarine” ci regala davvero 97 minuti di bel cinema.

Prodotto anche da Ben Stiller (che appare in un piccolo cameo come attore di una soap opera) e diretto da Richard Ayoade (interprete, fra le altre cose, della serie “The IT crowd” e, assieme allo stesso Stiller, del demenziale “Vicini del terzo tipo”) “Submarine” è tratto dall’omonimo romanzo di Joe Dunthorne.

Ho scritto omonimo, ma in realtà solo per noi fortunati lettori italiani non è così: perché il romanzo di Dunthorne nel Belpaese è stato tradotto sagacemente: “Breve indagine sotto il pelo dell’acqua”.

Ma tranquilli, l’edizione cartacea è fuori catalogo e reperibile solo nel mondo dell’usato. E vi prego, non parliamo di edizione digitale …è contro Natura!