“Questa volta è la mia storia” di Neil Simon

(Excelsior 1881, 2007)

Questa bellissima autobiografia è stata pubblicata per la prima volta da Neil Simon (1927-2018) nel 1996 ed è approdata nelle nostre librerie, incredibilmente, solo nel 2007. Sul motivo di questo inspiegabile ritardo si scervelleranno i posteri, anche se al momento sembra alquanto difficile che le future generazioni italiche la potranno leggere visto che ormai è fuori catalogo e per reperirla bisogna rivolgersi al mondo dell’usato.

Io sono uno scrittore “self-made”, che si autopubblica, e quindi non so proprio spiegarmi perché questo libro sia stato ignorato dalla nostra editoria tradizionale con la quale, …ahimè, non ho contatti. Magari fra cinquant’anni, con l’eventuale pubblicazione dei segreti più oscuri della nostra Repubblica la mia discendenza lo scoprirà. Ma al momento rimane davvero un mistero insondabile il motivo della scomparsa italiana dell’autobiografia di uno dei più famosi drammaturghi del Novecento, ancora oggi tanto messo in scena quanto imitato citato e copiato.

Il libro si apre nella primavera del 1957 quando il neanche trentenne Neil Simon, già affermato autore televisivo, decide di scrivere la sua prima commedia teatrale. Il motivo, oltre a quello di sentire il sacro fuoco del palcoscenico, è di tornare a vivere e lavorare a New York, la sua città natale, visto che la ricca televisione paga bene sì, ma in quegli anni ha il suo cuore pulsante a Los Angeles.

Con l’appoggio incondizionato di sua moglie Joan Baim, Neil inizia quel percorso – che lo renderà uno degli autori teatrali più famosi del suo tempo – digitando sulla sua macchina da scrivere il titolo: “S E N Z A U N A S C A R P A”.

Seguiamo così l’evolversi della sua prima commedia – che subisce non meno di una settantina di riscritture – e andrà in scena col titolo definitivo “Alle donne ci penso io”. Come le successive, molte di clamoroso e planetario successo, anche la prima è ispirata da persone o eventi che l’autore conosce o vive direttamente. Così “Alle donne ci penso io” nasce dall’approccio con l’altro sesso di suo fratello maggiore Danny, insieme al quale egli stesso farà i primi passi come autore comico dilettante.

Non a caso Danny Simon, oltre che per il fratello Neil, è stato un mentore per molti grandi comici e autori di quella generazione come per esempio Woody Allen che lo ricorda nella sua altrettanto splendida autobiografia “A proposito di niente“.

Così se “A piedi nudi nel parco” nasce dai veri primi tempi del matrimonio fra lui e Joan, “La strana coppia” è ispirata ancora una volta a suo fratello Danny che, dopo essersi separato, per motivi economici era andato a vivere assieme a un amico anche lui divorziato. Per questo, ci racconta Neil, una parte delle royalty che fruttava la commedia andavano anche a Danny.

Ma soprattutto Neil Simon ci racconta come era facile per lui scrivere, ma terribilmente complicato arrivare poi a mettere in scena il suo testo. Per questo, fortunatamente, ha avuto la fortuna di incontrare artisti di primissimo livello come Mike Nichols, che ha diretto le prime edizioni delle sue commedie più famose (come “A piedi nudi nel parco”, “La strana coppia” o “Prigioniero della Seconda Strada”) o Bob Fosse (per il quale Simon scrisse il testo del musical “Sweet Charity”) che alla festa dopo la prima a Broadway di “A piedi nudi nel parco”, visto il clamoroso successo, fece il brindisi sibillino: “…a Neil e all’ultima serata in cui avrà amici sinceri”.

E naturalmente tutti i grandi attori che per primi hanno portato i suoi personaggi, le sue storie e le sue immortali battutte sulle assi di un palcoscenico come Robert Redford, Walther Matthau, Art Carney, George C. Scott, Marsha Mason o Peter Falk.

Un viaggio nei primi venticinque anni della carriera splendente di Simon, che non a caso si conclude con la fine del matrimonio con la Baim. Un’autobiografia irresistibile e al tempo stesso dura e cruda, molto simile nella forma e nella sostanza a quel “A proposito di niente” già citato. Come il libro di Allen, reputo anche questa autobiografia di Simon un “manuale” indispensabile per chi ama scrivere, oltre che leggere, magari da sistemare accanto a “On Writing – Autobiografia di un mestiere” del maestro Stephen King.

“Lenny” di Bob Fosse

(USA, 1974)

Quando nell’ottobre del 2018 parlai del libro “Come parlare sporco e influenza la gente” di Lenny Bruce, questo bellissimo film era introvabile. Oggi, fortunatamente, è tornato disponibile in dvd.

Il grande Bob Fosse decide di ricordare le fortune e soprattutto le sfortune di uno dei comici più geniali e rivoluzionari del Novecento, considerato il padre della “stand-up comedy”. E lo fa basandosi sulla pièce teatrale omonima scritta da Julian Barry, noto drammaturgo e sceneggiatore americano, che in quel periodo furoreggia a Broadway.

A vestire i panni di Bruce è un bravissimo Dustin Hoffman, e il film – con una serie di flashback concatenati – ricostruisce la vita e l’arte del comico attraverso le interviste alla sua ex moglie Honey (una bravissima Valerie Perrine), a sua madre Sally Marr (Jan Miner) e al suo agente Artie Silver (Stanley Beck).

Quando ancora Bruce è un comico sconosciuto che si esibisce soprattutto in locali di striptease, incontra la provocante Honey, una spogliarellista con una fluente chioma rossa. Scoppia un amore profondo e i due decidono di sposarsi e condividere il palcoscenico.

Ma, sulla strada di Lenny, insieme al successo arrivano anche gli stupefacenti. Grazie alla sua comicità caustica e senza sconti per nessuno, Bruce viene soprannominato la “coscienza d’America”. Cosa che la parte più reazionaria e puritana degli Stati Uniti non gli perdonerà mai, e così il comico verrà travolto da arresti e cause per offese al comune senso del pudore.

Già quando Fosse girò questo film, otto anni dopo la morte di Bruce, le accuse erano ormai considerate ridicole, visto che i termini e soprattutto gli argomenti che molti giudici gli contestarono erano già diventati parte del lessico quotidiano della società. Figuriamoci oggi…

Il film venne giustamente candidato a sei Oscar: miglior film, miglior regia, miglior sceneggiatura non originale e miglior fotografia (con una pellicola girata totalmente in bianco e nero). Hoffman e la Perrine ottennero la candidatura come miglior attore e attrice protagonista.

Il dvd propone la versione originale fatta quando la pellicola venne distribuita nelle nostre sale con uno stratosferico Gigi Proietti che doppia Hoffman.

“The Little Prince” di Stanley Donen

(USA/UK, 1974)

Questa suggestiva trasposizione cinematografica del romanzo di Antoine de Saint-Exupéry, nonostante il prestigioso cast dietro e davanti alla macchina da presa che presenta, purtroppo non è mai uscita nelle nostre sale, né è mai stata trasmessa dalle nostre televisioni tradizionali.

A dirigere e produrre il film è Stanley Donen (regista di pellicole come “Catando sotto la pioggia”, “Sette spose per sette fratelli” o “Due per la strada”) la sceneggiatura e i testi della canzoni sono di Alan Jay Lerner (autore di script come “Un americano a Parigi” e “My Fair Lady”) e le musiche di Frederick Loewe (autore di quelle di film come “Gigi”, “Intrigo internazionale” e “My Fair Lady”).

Per quanto riguarda il cast artistico spiccano il grande Bob Fosse e l’indimenticabile Gene Wilder. Fosse (coreografo e regista quasi inarrivabile a Broadway – con ben otto Tony Award vinti per le sue coreografie e uno per la regia – e autore al cinema di film come “Cabaret”, “Lenny” e “All That Jazz”) impersona il Serpente. La coreografia “Snake in The Grass”, da lui creata e interpretata, ancora oggi fa scuola.

Gene Wilder invece interpreta la Volpe, e con il suo completo fulvio, senza altri particolari effetti, sembra proprio la volpe del libro.

Un vero piccolo gioiello – vista l’indiscutibile difficoltà di tradurre per il grande schermo un libro così particolare e sublime – che però non parla l’italiano visto che l’unica versione al momento reperibile è quella in inglese. Il dvd, infatti, non possiede sottotitoli o contenuti extra.

“All That Jazz” di Bob Fosse

(USA, 1979)

Non sono numerosi i testamenti spirituali di grandi autori cinematografici come questo splendido “All That Jazz” scritto (assieme a Robert Alan Aurthur) e diretto dal grande Bob Fosse.

Per farlo il geniale coreografo/regista americano torna ad ispirarsi – dopo “Le notti di Cabiria” per “Sweet Charity” – al maestro Federico Fellini e al suo “8 e 1/2”. Tutto il resto è la vera vita privata e artistica – che alla fine sembrano proprio inscindibili – dello stesso Fosse.

Joe Gideon (un grande Roy Scheider sempre con la sigaretta in bocca) è in tutto e per tutto l’alter ego di Fosse, e come lui deve mettere su le coreografie e la regia di un nuovo spettacolo musicale a Broadway. Il tutto mentre monta, da ormai parecchi mesi, la sua ultima fatica cinematografica dedicata a un famoso comico americano.

Come succede a Gideon ogni volta, l’impresa sembra impossibile, ma grazie al suo genio alla fine la vetta diventa accessibile. Ma tutto ha un costo, soprattutto quando si abusa indiscriminatamente del proprio corpo e della propria saluta con alcol, droghe, fumo (anche sotto la doccia…) e donne, tante donne.

Fosse non nasconde, anzi palesa, il suo essere Gideon tanto che nel ruolo di Kate, la compagna ufficiale del protagonista, anche lei ballerina e anche lei, come la sua ex moglie, continuamente tradita c’è Ann Reinking, al tempo delle riprese del film vera compagna di Fosse.

C’è il film che Gideon monta, che in tutto e per tutto si riferisce a “Lenny”, girato dallo stesso Fosse nel 1974, e dedicato al grande comico Lenny Bruce. E poi ci sono tutti i lati oscuri dello show business fatti di cavillose assicurazioni, invidie personali e profitti da ottenere.

E poi c’è l’epilogo drammatico della vita di Gideon, che drammaticamente anticipa tutto quello che porterà a quell’infarto fatale che nel 1987 stroncherà nella realtà Bob Fosse a soli 60 anni.

Con numeri coreografici ancora oggi straordinari, e con una crudeltà narrativa che lascia l’amaro in bocca, “All That Jazz” è uno dei più grandi film sul mondo dello spettacolo mai realizzati, che ci rapisce e commuove al pari della splendida “Show Must Go On” dell’immortale Freddy Mercury.

“Sweet Charity – Una ragazza che voleva essere amata” di Bob Fosse

(USA, 1969)

Il nostro grande cinema ha fatto scuola in tutto il mondo, e spesso è stato apprezzato prima e molto più all’estero, dove ne è stato coltivato il rispetto in maniera più duratura rispetto a quello del suo Paese natale.

E’ il caso del capolavoro mondiale del maestro Federico Fellini “Le notti di Cabiria” (scritto assieme a Ennio Flaiano e Tullio Pinelli), che nel 1957 vince l’Oscar come miglior film straniero, che un altro genio assoluto del Novecento come Bob Fosse decide di portare sul palcoscenico facendolo diventare un musical.

Fellini aveva anticipato, in anni impensabili, la dignità e il rispetto verso l’anima pura di una donna che per la società di allora proprio non ne poteva avere: una “battona” delle borgate. E Fosse, con la collaborazione al testo di un terzo genio quale Neil Simon, porta sul palcoscenico un musical che sbanca ai botteghini.

Sono gli anni Sessanta e il ruolo della donna comincia ad essere al centro delle lotte sociali. Cosi Cabiria, che è diventata Charity Hope Valentine, diventa il simbolo sul palcoscenico dell’emancipazione della donna, da troppo succube dell’arroganza, del potere e delle debolezze dell’uomo.

Hollywood decide di portare sul grande schermo il musical dove a vestire i panni della protagonista è una bravissima Shriley MacLaine. La regia e le coreografie rimangono nelle mani del mago Fosse che crea una pietra miliare del cinema. Per capire la grandezza assoluta di Bob Fosse come coreografo basta riguardare le scene di ballo più famose, che ancora oggi lasciano di stucco.

Da ricordare anche la partecipazione del grande Sammy Davis Jr. nel ruolo secondario di Big Daddy Brubeck.

Per la chicca: in un ruolo ancora più marginale, ma con il nome nei titoli di testa, c’è una eterea e fascinosa Barbara Bouchet che pochi anni dopo, nel nostro Paese sarebbe divenuta un’icona sexy – e forse non tanto dell’emancipazione femminile … – con film come “Donne sopra, femmine sotto”, “Racconti proibiti… di niente vestiti” o “Una cavalla tutta nuda”.