“Sweet Charity – Una ragazza che voleva essere amata” di Bob Fosse

(USA, 1969)

Il nostro grande cinema ha fatto scuola in tutto il mondo, e spesso è stato apprezzato prima e molto più all’estero, dove ne è stato coltivato il rispetto in maniera più duratura rispetto a quello del suo Paese natale.

E’ il caso del capolavoro mondiale del maestro Federico Fellini “Le notti di Cabiria” (scritto assieme a Ennio Flaiano e Tullio Pinelli), che nel 1957 vince l’Oscar come miglior film straniero, che un altro genio assoluto del Novecento come Bob Fosse decide di portare sul palcoscenico facendolo diventare un musical.

Fellini aveva anticipato, in anni impensabili, la dignità e il rispetto verso l’anima pura di una donna che per la società di allora proprio non ne poteva avere: una “battona” delle borgate. E Fosse, con la collaborazione al testo di un terzo genio quale Neil Simon, porta sul palcoscenico un musical che sbanca ai botteghini.

Sono gli anni Sessanta e il ruolo della donna comincia ad essere al centro delle lotte sociali. Cosi Cabiria, che è diventata Charity Hope Valentine, diventa il simbolo sul palcoscenico dell’emancipazione della donna, da troppo succube dell’arroganza, del potere e delle debolezze dell’uomo.

Hollywood decide di portare sul grande schermo il musical dove a vestire i panni della protagonista è una bravissima Shriley MacLaine. La regia e le coreografie rimangono nelle mani del mago Fosse che crea una pietra miliare del cinema. Per capire la grandezza assoluta di Bob Fosse come coreografo basta riguardare le scene di ballo più famose, che ancora oggi lasciano di stucco.

Da ricordare anche la partecipazione del grande Sammy Davis Jr. nel ruolo secondario di Big Daddy Brubeck.

Per la chicca: in un ruolo ancora più marginale, ma con il nome nei titoli di testa, c’è una eterea e fascinosa Barbara Bouchet che pochi anni dopo, nel nostro Paese sarebbe divenuta un’icona sexy – e forse non tanto dell’emancipazione femminile … – con film come “Donne sopra, femmine sotto”, “Racconti proibiti… di niente vestiti” o “Una cavalla tutta nuda”.

“La sposa cadavere” di Mike Johnson e Tim Burton

(USA/UK, 2005)

Tim Burton è davvero un geniaccio visionario, e ha iniziato la sua carriera come disegnatore e animatore per la Disney. Cresciuto guardando i più classici B movie anni Cinquanta e Sessanta, shakera in maniera sublime queste sue due anime, regalandoci spesso pellicole indimenticabili come questa “La sposa cadavere” girato in stop-motion.

Proprio le sue due anime vengono richiamate simbolicamente all’inizio del film, quando sui titoli di testa appare un gatto del tutto simile a Vincent, il protagonista del suo primo cortometraggio datato 1982. Così come quando Victor e Victoria si incontrano per la prima volta, lui suona un pianoforte marca “Harryhausen”, marca che è un omaggio al genio degli effetti speciali e dei mostri cinematografici più inquietanti dei film anni Quaranta, Cinquanta e Sessanta Ray Harryhausen.

Per scrivere la sceneggiatura John August, Pamela Pettler e Caroline Thompson si basano sui personaggi creati dallo stesso Burton assieme a Carlo Grangel (disegnatore e animatore di film come “Madagascar”, “Kung Fu Panda”, “Bee Movie” e “Hotel Transylvania”) che a loro volta prendono spunto da un racconto folkloristico della cultura ebraica del Seicento.

I Van Dort possiedono una pescheria grazie alla quale sono diventati la famiglia più ricca del paese. L’unica cosa che gli manca è far dimenticare le umili origini dalle quali la signora e il signor Van Dort provengono. Gli Everglot, invece, sono la famiglia più blasonata del paese, ma che però è ormai sul lastrico. Per assecondare le rispettive esigenze, le due famiglie organizzano un matrimonio combinato fra i rispettivi figli unici: Victor Van Dort (che nella versione originale è doppiato da Johnny Depp) e Victoria Everglot (Emily Watson).

Ma il carattere timido e impacciato di Victor cozza con la rigida formalità che un evento del genere esige, e così il ragazzo preso dal panico fugge nel bosco. Lì, suo malgrado, risveglierà il cadavere di Emily (Helena Bonham Carter) una giovane donna uccisa il giorno del suo matrimonio…      

Come capita spesso, Burton ci racconta una storia dove i mostri più orrendi non sono i cadaveri che riprendono vita, ma i vivi eleganti e di bell’aspetto…

Da vedere.  

Per la chicca: il personaggio di Bonejangles, lo scheletro che cantando e ballando accoglie Victor nel regno dei morti, è ispirato al grande Sammy Davis Jr.