“Il risveglio della magia” di Don Hahn

(USA, 2009)

Agli inizi degli anni Ottanta il cinema classico d’animazione sembrava essere arrivato al capolinea.

I grandi effetti speciali misti a sequenze spettacolari di film come “Guerre stellari” o “Indiana Jones” sembravano aver definitivamente sostituito la magia dei tradizionali cartoni animati.

La stessa Walt Disney Company otteneva la maggior parte dei ricavi da altri campi come i parchi a tema o le serie tv, e al botteghino i classici cartoni non riscuotevano più il successo dei decenni precedenti.

Ma le cose cambiarono quando a capo della Disney vennero messi due uomini provenienti dalle grandi case di produzione di Hollywood: Frank Welles e Michael Eisner.

Oltre a triplicare gli introiti della company i due, in qualità rispettivamente di Presidente e Amministratore Delegato, ridiedero energia e linfa al reparto animazione che nel decennio 1984-1994 realizzò capolavori campioni d’incassi come “La sirenetta”, “Aladdin”, “La bella e la bestia” e “Il Re Leone”.

E sbriciando dietro le quinte di questi bei film incontriamo grandi artisti come Howard Ashman, autore geniale delle musiche dei primi tre, stroncato dall’AIDS a soli quarant’anni nel 1991 prima di poter vedere “La bella e la bestia” nell’edizione finale.

Insomma, un documentario bellissimo che ci racconta la rinascita dell’animazione fino al 1995, anno in cui cambia tutto nuovamente con “Toy Story” che segna il definitivo avvento della grafica digitalizzata.

E per la chicca ci si può godere, nelle immagini di repertorio, un giovanissimo Tim Burton disegnatore della Disney, e un John Lasseter, futuro fondatore della Pixar, maldestro operatore amatoriale.

“The Universe of Keith Haring” di Christina Clausen

(Italia/Francia, 2008)

Con questo bellissimo documentario diretto da Christina Clausen ripercorriamo l’intensa, ma troppo breve, vita del grande artista di strada Keith Haring.

Nato in una piccola cittadina della Pennsylvania nel maggio del 1958, vista la sua grande propensione al disegno e alle arti in generale, Keith si trasferisce appena ventenne a New York iscrivendosi alla Scuola delle Arti Figurative.

La Grande Mela in quegli anni sta diventando il centro del mondo per molti ambiti della cultura e della società, e così il giovane Haring entra in contatto con quelli che di lì a breve diverranno – come lui – artisti di fama mondiale.

Ma sono gli stessi anni in cui la comunità gay newyorchese è travolta dalla tragedia dell’AIDS, che stroncherà il giovane e ormai immortale Keith Haring il 16 febbraio 1990 a soli 31 anni, lo stesso che qualche anno prima era stato fra i primi personaggi famosi a parlare pubblicamente della sua malattia.

Ma oltre a ciò, questo documentario ci descrive al meglio il genio di Haring e la sua infinita voglia di donare a tutti la sua irripetibile arte – basta buttare un occhio sul sito della sua fondazione dedicato all’incontro fra l’arte e i bambini, che contiene anche percorsi dettagliati per gli insegnati delle scuole primarie – cosa che faceva storcere non poco il naso ai galleristi.

“The Normal Heart” di Ryan Murphy

(USA, 2014)

Questo intenso film per la televisione – scritto da Larry Kramer, diretto da Ryan Murphy e prodotto dalla HBO – ci riporta nella comunità gay di New York del 1981, nel momento in cui apparvero i primi casi del cosiddetto “cancro dei gay”.

La storia ci dice tragicamente che quella misteriosa malattia poco dopo sarebbe stata chiamata con un acronimo che avrebbe segnato tragicamente e moralmente la vita di tutti: AIDS.

Ma il film affronta anche la tragedia morale, oltre che quella fisica, della comunità omosessuale newyorchese che a partire da quell’anno, in pochissimo tempo, venne quasi dimezzata; dei vani e disperati tentativi di questa di coinvolgere le istituzioni per avere finanziamenti per assistere i malati – che non potevano far altro che diventare terminali – e per fare ricerca e prevenzione.

Ma siccome l’AIDS venne considerata per anni esclusivamente una “malattia dei froci” (termine osceno, indegno e tremendamente volgare ma che io, allora appena adolescente, ricordo di uso fin troppo comune) negli Stati Uniti nessuno si mosse, a partire dalla Casa Bianca, dove risiedeva Ronald Reagan.

Solo nel 1986, dopo che vennero riconosciuti numerosi casi anche fra gli eterosessuali, il Presidente Reagan la menzionò in un suo discorso annunciando fondi per la ricerca.

Da ricordare le interpretazioni di Mark Ruffalo – nel ruolo dell’attivista gay Ned Weeks -, Julia Roberts – in quello della dottoressa Brookner, che fu la prima ad accogliere nel suo reparto i sieropositivi – e quella di Jim Parsons.

Da vedere e da far vedere soprattutto a chi, povero stolto, ha ancora medievali problemi con se stesso e si nasconde dietro l’omofobia.