“Il diritto di contare” di Theodore Melfi

(USA, 2016)

C’è un vecchio – subdolamente maschilista ma sempre tanto usato – detto che dice: “Dietro una grande uomo, c’è sempre una gran donna” che sottolinea come il massimo spazio d’azione e di affermazione di una donna, da sempre, può essere solo nell’ombra del suo uomo.

Per sdradicare e distruggere questi pericolosi preconcetti ci vogliono eroi e veri rivoluzionari che semplicemente con il loro comportamento cambiano le cose per sempre. Se il nostro Paese deve essere onorato e orgoglioso di avere dato i Natali ad una persona straordinaria come Franca Viola, gli Stati Uniti devono esserlo ugualmente perchè hanno visto nascere entro i loro confini persone come Katherine Johnson, Dorothy Vaughan e Mary Jackson, la cui storia ci racconta questa bellissima pellicola.

Già agli inizi degli anni Sessanta la cittadina segregazionista di Hampton, nello Stato della Virginia, ospitava il Langley Reserch Center, il più antico centro della NASA. Sono gli anni della lotta contro l’U.R.S.S. per la conquista dello spazio. Gli USA sono in netto ritardo dopo che i sovietici hanno lanciato il primo satellite nella storia, lo Sputnik, e soprattutto hanno inviato il primo uomo nel cosmo: Yuri Gagarin.

Sotto la pressione del Presidente Kennedy, la Nasa deve raggiungere e superare gli avversari. A gestire il programma è Al Harrison (Kevin Costner) che ha bisogno di ingegneri e di matematici. E proprio cercando il migliore a disposizione, Harrison incappa in Katherine Johnson (Taraji P. Henson) brillantissimo genio matematico, con solo due grandi “limiti”: essere donna, ed essere di colore.

Così come hanno gli stessi “limiti” le sue due colleghe matematiche Dorothy Vaughan (Octavia Spencer) che lavora come responsabile di un gruppo senza averne però la carica ufficiale, e Mary Jackson (Janelle Monàe) aspirante ingegnere…

Scritto dallo stesso Theodore Melfi assieme ad Allison Schroeder, e tratto dal libro “Hidden Figures: The Story of the African-American Women Who Helped Win the Space Race” di Margot Lee Shetterly, questo film ci parla di tre donne che con la loro volontà e soprattutto il loro coraggio hanno contribuito a cambiare il mondo.

Da far vedere a scuola.

Per la chicca: nella parte di un antipatico ingegnere retrogado e razzista spicca il grande Jim Parsons, mentre in quelli dell’algida e spocchiosa Sig.ra Mitchell, capo della Vaughan, c’è Kirsten Dust.


“Young Sheldon” di Chuck Lorre e Steve Molaro

(USA, dal 2017)

Si è da poco conclusa la messa in onda negli Stati Uniti della prima serie di “Young Shledon” la nuova sitcom spin-off della grande “The Big Bang Theory”.

Chuck Lorre (già creatore di TBBT) e Steven Molaro (produttore e coautore di TBBT) hanno creato un nuovo contesto per raccontare le gesta geniali, ma allo stesso tempo comiche e imbarazzanti, del mitico Sheldon Cooper.

E hanno scelto l’infanzia del futuro fisico, epoca che spesso ricorre nei racconti del suo protagonista in TBBT. Un’infanzia tristemente consumata in una “classica” famiglia texana timorata di Dio, dove nessuno è mai riuscito a comprenderlo, considerandolo meno amichevole di un extraterrestre.

Il grande Jim Parsons (unico presente del cast originale di TBBT) appare come voce narrante e il suo personaggio bambino è impersonato da Iain Armitage. Quello della giovane madre Mary è interpretato da Zoe Perry, vera figlia dell’attrice Laurie Metcalf che la interpreta dal 2007 in TBBT.

Attendiamo fiduciosi le nuove e “passate” avventure del fisico più geniale e divertente della televisione.

Bazinga!

“The Normal Heart” di Ryan Murphy

(USA, 2014)

Questo intenso film per la televisione – scritto da Larry Kramer, diretto da Ryan Murphy e prodotto dalla HBO – ci riporta nella comunità gay di New York del 1981, nel momento in cui apparvero i primi casi del cosiddetto “cancro dei gay”.

La storia ci dice tragicamente che quella misteriosa malattia poco dopo sarebbe stata chiamata con un acronimo che avrebbe segnato tragicamente e moralmente la vita di tutti: AIDS.

Ma il film affronta anche la tragedia morale, oltre che quella fisica, della comunità omosessuale newyorchese che a partire da quell’anno, in pochissimo tempo, venne quasi dimezzata; dei vani e disperati tentativi di questa di coinvolgere le istituzioni per avere finanziamenti per assistere i malati – che non potevano far altro che diventare terminali – e per fare ricerca e prevenzione.

Ma siccome l’AIDS venne considerata per anni esclusivamente una “malattia dei froci” (termine osceno, indegno e tremendamente volgare ma che io, allora appena adolescente, ricordo di uso fin troppo comune) negli Stati Uniti nessuno si mosse, a partire dalla Casa Bianca, dove risiedeva Ronald Reagan.

Solo nel 1986, dopo che vennero riconosciuti numerosi casi anche fra gli eterosessuali, il Presidente Reagan la menzionò in un suo discorso annunciando fondi per la ricerca.

Da ricordare le interpretazioni di Mark Ruffalo – nel ruolo dell’attivista gay Ned Weeks -, Julia Roberts – in quello della dottoressa Brookner, che fu la prima ad accogliere nel suo reparto i sieropositivi – e quella di Jim Parsons.

Da vedere e da far vedere soprattutto a chi, povero stolto, ha ancora medievali problemi con se stesso e si nasconde dietro l’omofobia.

“The Big Bang Theory” di Chuck Lorre e Bill Prady

(USA, dal 2007 al 2019)

Nel 1984 usciva nelle sale “La rivincita dei Nerds”, diretto da Jeff Kanew, che riconosceva definitivamente un ruolo ufficiale nella società – …nel bene e nel male – al secchione con il fisico da lanciatore di coriandoli.

Con l’avvento dei PC e dell’alta tecnologia a domicilio i Nerd hanno acquistato sempre più spazio, diventando – loro malgrado – bersaglio ancora più ambito dei loro coetani, soprattutto per quel che riguarda l’amore e il sesso.

Ideata da Chuck Lorre (già creatore di “Dharma & Greg”) e Bill Prady (anche lui sceneggiatore di vari episodi “Dharma & Greg”) “The Big Bang Theory” è una sit-com pura (ogni episodio dura 22 minuti e si svolge quasi sempre negli stessi ambienti interni) che mette a confronto una coppia di fisici teorici, ricercatori all’Università di Pasadena e Nerd D.O.P., con la loro nuova vicina: un’avvenente e verace ragazzotta del Nebraska arrivata in California per fare l’attrice.

Col passare delle stagioni le dinamiche cambiano, ma le battute esilaranti e le situazioni goffe e imbarazzanti restano sempre di prim’ordine. Merito anche degli attori, tutti bravissimi, e soprattutto del giovane Jim Parsons che impersona l’inarrivabile Sheldon Cooper, personaggio per il quale ha già vinto un Emmy e un Golden Globes USA.

Dico solo che mi sono già comprato alcune delle fantastiche e nerdissime T-Shirt che Sheldon sfoggia in ogni puntata.

Chi nella vita almeno in un’occasione non è stato un Nerd si installi gli aggiornamenti dei software da solo…