“Dolce veleno” di Noel Black

(USA, 1968)

Nel 1966 Stephen Geller (classe 1940) pubblica il suo primo romanzo, il thriller noir “She Let Him Continue”, che riscuote un discreto successo di pubblico e critica. Il libro racconta, in maniera originale, la storia di Dennis, un giovane che ha passato molti anni in un riformatorio per aver dato fuoco alla casa in cui abitava, uccidendo involontariamente la zia che lo ospitava.

Due anni dopo Noel Black dirige l’adattamento cinematografico la cui sceneggiatura è firmata da Lorenzo Semple Jr., fra i più capaci autori del periodo e autore di script di pellicole come: “Papillon” (1973) di Franklin J. Schaffner che scrive assieme a Dalton Trumbo, “Perché un assassino” (1974) di Alan J. Pakula, “Detective Harper: acqua alla gola” (1975) di Stuart Rosenberg e “I tre giorni del condor” (1975) diretto da Sidney Pollack, per il quale vince l’Oscar.

Dennis Pitt (un bravo e ambiguo Anthony Perkins) esce finalmente dal riformatorio dove ha passato la gran parte dell’adolescenza e la maturità da poco raggiunta. A 15 anni ha incendiato la casa in cui viveva assieme alla zia, che è rimasta vittima del rogo.

Il dottor Morton Azenaur (John Randolph) che è il direttore dell’istituto nel quale Dennis è stato rinchiuso, oltre a comunicargli le ferree regole della sua nuova libertà – che è ovviamente vigilata – gli ricorda che fuori da quelle mura la sua incontenibile fantasia difficilmente verrà apprezzata.

Anche se Azenaur gli ha trovato un posto in una falegnameria nei dintorni dell’istituto, Dennis preferisce trasferirsi a Winslow, una piccola cittadina della provincia americana, dove trova lavoro in uno stabilimento chimico.

Pitt non sopporta come la fabbrica scarichi impunemente i suoi rifiuti nel grande fiume della città e così decide di boicottarla, nonostante il suo burbero capo Bud Munsch (Dick O’Neill) lo tenga costantemente d’occhio. Intanto, un pomeriggio, nel parco pubblico Dennis osserva l’esibizione delle majorette della cittadina e rimane incantato dalla porta bandiera, la giovane e prorompente liceale Sue Ann Stepanek (Tuesday Weld).

Decide così di avvicinarla, fingendosi un agente della CIA in incognito, pronto a sferrare un attacco alla fabbrica nella quale lavora. Sue Ann rimane affascinata da Dennis, credendogli subito e assecondandolo senza remore, ma…

Originale thriller noir che ci racconta come sia difficile uscire dalla gabbia che, nel bene e soprattutto nel male, la società ci impone e ci mette addosso, e per questo alla fine siamo fin troppo vulnerabili alle manipolazioni altrui.

Grazie anche all’ottima interpretazione dei due protagonisti Anthony Perkins e Tuesday Weld, oltre alla sceneggiatura di Semple Jr., questa pellicola è un piccolo e sfizioso gioiellino noir che resiste al tempo.

Per la chicca: il dolce veleno del titolo – che è quello anche della versione originale “Pretty Poison” – si lega ad una delle scene finali del film.

“Le piace Brahms?” di Anatole Litvak

(Francia/USA, 1961)

Françoise Sagan (al secolo Françoise Quoirez) nel 1955, a soli 19 anni, pubblicando il suo primo romanzo “Buongiorno tristezza” diventa una delle scrittrici più famose d’Europa e una delle rappresentati di punta del movimento letterario degli “Ussari”. Nel 1959 pubblica il suo quarto romanzo “Le piace Brahms?” che due anni dopo il regista Anatole Litvak porta sullo schermo con protagonista una splendida Ingrid Bergman.

Paula Tessier (la Bergman) è un’arredatrice di discreto successo a Parigi. Dopo il fallimento del suo primo matrimonio e compiuti da poco i quarant’anni, frequenta stabilmente l’industriale Roger Damarest (Yves Montand). Il loro rapporto è apparentemente completo, anche se vivono in case differenti. Ma in realtà a rinunciare a molte cose è soprattutto Paula, visto che a Roger non dispiace una certa indipendenza che gli permette frequenti scappatelle, anche di qualche giorno, con giovani ragazze che comunque per lui “…non significano niente”.

Roger riesce sistematicamente ad evitare di parlare di matrimonio; e anche la sera del loro quinto anniversario Paula la passa da sola a casa vista l’improvvisa e improcrastinabile riunione di lavoro di Roger.

Le cose si stravolgono quando Paula viene chiamata ad arredare l’appartamento appena acquistato dalla Signora Van Der Besh (Jessie Royce Landis), una ricca vedova americana da poco stabilitasi nella capitale francese. E proprio durante gli incontri con la sua cliente Paula conosce Philip (Anthony Perkins), il figlio venticinquenne e molto viziato della Van Der Besh.

Il giovane si innamora subito di Paula che però all’inizio cerca in ogni modo di dissuaderlo. Quando Roger l’abbandona per l’ennesima volta per passare il weekend con una sua giovane conquista, la donna cede alla corte di Philip ed inizia con lui una vera e propria relazione.

Relazione che però fa scandalo visti gli abbondanti quindici anni di differenza fra i due, al contrario dei flirt che consuma Roger con ragazze che spesso hanno ben oltre quindici anni di meno. A Philip non importa di che cosa pensi la gente di loro, si è innamorato corrisposto e questa è l’unica cosa che conta. Paula invece non riesce a sopportare più le occhiate di biasimo che ormai riceve da tutti, e quando Roger le implora di tornare con lui e sposarlo accetta…

Questa pellicola, che non è priva di qualche stereotipo sentimentale, oggi apparentemente potrebbe far sorridere. Può sembrare ridicolo che una donna non riesca a tollerare l’ostracismo che le impone la società se è single e sceglie di frequentare un uomo molto più giovane di lei. Ci sono persino rampanti – e spesso volgari… – definizioni come “cougar” o “milf” che identificano donne che frequentano uomini più giovani. Ma allora perché paritarie determinazioni lessicali, o gergali, non esistono per i signori uomini che frequentano donne giovani o molto più giovani di loro?

Perché, potrebbe rispondere qualcuno, è più “normale!” …E allora questo ci film fa sorridere un pò meno e riflettere un pochino di più. Perché Paula Tessier certo non è vittima di feroci violenze fisiche da parte del suo compagno (come lo sono ancora troppe donne anche nel nostro Paese) ma è preda indifesa del basso, subdolo e micidiale perbenismo – che troppo spesso cela anche il più misero maschilismo – della società che vede una donna senza un uomo accanto priva di ogni ruolo o identità sociale.

Sono passati sessant’anni dalla realizzazione di questo film e le cose fortunatamente sono cambiate, ma ancora non del tutto, soprattutto nella testa di sempre troppe persone.

Da ricordare oltre all’interpretazione della Bergman anche quella di Perkins che viene premiato al Festival di Cannes e con il Donatello per la migliore interpretazione maschile.

“L’ultima spiaggia” di Stanley Kramer

(USA, 1959)

Anche se, a dire il vero, la sceneggiatura non è scritta in maniera impeccabile, ci sono numerosi motivi per vedere – o rivedere – questo film diretto da Stanley Kramer.

Con un cast degno della più classica Hollywood, fra cui spiccano il bravissimo e sempre sobrio Gregory Peck, una sempre bellissima Ava Gardner (che indossa degli abiti strepitosi firmati dalle Sorelle Fontana), Anthony Perkins e Fred Astaire (non mi toccate il grande Fred, che litighiamo subito!) Kramer ci racconta l’ultimo anelito di vita del genere umano sopravvissuto al conflitto atomico.

1964: l’Australia è l’ultima zona della Terra a essere rimasta incontaminata dalle implacabili radiazioni nucleari che hanno sterminato la vita nel resto del globo, dopo l’esplosione del terzo conflitto mondiale.

Ma gli studi rivelano che a causa dei venti e delle correnti il continente verrà comunque raggiunto dalle radiazioni al massimo in cinque mesi. Ogni sopravvissuto affronterà come può la fine imminente…

Considerato il capostipite del genere “the day after” questo film – che fu candidato all’Oscar come miglior pellicola dell’anno – in alcune scene conserva intatta la sua potenza narrativa, e ci da un’idea ben precisa dell’angoscia nucleare che regnava in quei tempi di piena guerra fredda.

Un inno alla pace e alla vita. D’altronde Peck e Kramer furono dei paladini cinematografici dei grandi ideali civili, se Peck vinse l’Oscar con la sua interpretazione in “Il buio oltre la siepe”, Kramer firmò pellicole come “E l’uomo inventò Satana” e “Indovina chi viene a cena?”.

Nel 2000 è stato realizzato un anonimo remake televisivo dallo stesso titolo, tratto anch’esso del romanzo di Nevil Shute.

Corsi e, tragici, riscorsi storici…