“Le piace Brahms?” di Anatole Litvak

(Francia/USA, 1961)

Françoise Sagan (al secolo Françoise Quoirez) nel 1955, a soli 19 anni, pubblicando il suo primo romanzo “Buongiorno tristezza” diventa una delle scrittrici più famose d’Europa e una delle rappresentati di punta del movimento letterario degli “Ussari”. Nel 1959 pubblica il suo quarto romanzo “Le piace Brahms?” che due anni dopo il regista Anatole Litvak porta sullo schermo con protagonista una splendida Ingrid Bergman.

Paula Tessier (la Bergman) è un’arredatrice di discreto successo a Parigi. Dopo il fallimento del suo primo matrimonio e compiuti da poco i quarant’anni, frequenta stabilmente l’industriale Roger Damarest (Yves Montand). Il loro rapporto è apparentemente completo, anche se vivono in case differenti. Ma in realtà a rinunciare a molte cose è soprattutto Paula, visto che a Roger non dispiace una certa indipendenza che gli permette frequenti scappatelle, anche di qualche giorno, con giovani ragazze che comunque per lui “…non significano niente”.

Roger riesce sistematicamente ad evitare di parlare di matrimonio; e anche la sera del loro quinto anniversario Paula la passa da sola a casa vista l’improvvisa e improcrastinabile riunione di lavoro di Roger.

Le cose si stravolgono quando Paula viene chiamata ad arredare l’appartamento appena acquistato dalla Signora Van Der Besh (Jessie Royce Landis), una ricca vedova americana da poco stabilitasi nella capitale francese. E proprio durante gli incontri con la sua cliente Paula conosce Philip (Anthony Perkins), il figlio venticinquenne e molto viziato della Van Der Besh.

Il giovane si innamora subito di Paula che però all’inizio cerca in ogni modo di dissuaderlo. Quando Roger l’abbandona per l’ennesima volta per passare il weekend con una sua giovane conquista, la donna cede alla corte di Philip ed inizia con lui una vera e propria relazione.

Relazione che però fa scandalo visti gli abbondanti quindici anni di differenza fra i due, al contrario dei flirt che consuma Roger con ragazze che spesso hanno ben oltre quindici anni di meno. A Philip non importa di che cosa pensi la gente di loro, si è innamorato corrisposto e questa è l’unica cosa che conta. Paula invece non riesce a sopportare più le occhiate di biasimo che ormai riceve da tutti, e quando Roger le implora di tornare con lui e sposarlo accetta…

Questa pellicola, che non è priva di qualche stereotipo sentimentale, oggi apparentemente potrebbe far sorridere. Può sembrare ridicolo che una donna non riesca a tollerare l’ostracismo che le impone la società se è single e sceglie di frequentare un uomo molto più giovane di lei. Ci sono persino rampanti – e spesso volgari… – definizioni come “cougar” o “milf” che identificano donne che frequentano uomini più giovani. Ma allora perché paritarie determinazioni lessicali, o gergali, non esistono per i signori uomini che frequentano donne giovani o molto più giovani di loro?

Perché, potrebbe rispondere qualcuno, è più “normale!” …E allora questo ci film fa sorridere un pò meno e riflettere un pochino di più. Perché Paula Tessier certo non è vittima di feroci violenze fisiche da parte del suo compagno (come lo sono ancora troppe donne anche nel nostro Paese) ma è preda indifesa del basso, subdolo e micidiale perbenismo – che troppo spesso cela anche il più misero maschilismo – della società che vede una donna senza un uomo accanto priva di ogni ruolo o identità sociale.

Sono passati sessant’anni dalla realizzazione di questo film e le cose fortunatamente sono cambiate, ma ancora non del tutto, soprattutto nella testa di sempre troppe persone.

Da ricordare oltre all’interpretazione della Bergman anche quella di Perkins che viene premiato al Festival di Cannes e con il Donatello per la migliore interpretazione maschile.

“Vite vendute” di Henri-Georges Clouzot

(Francia/Italia, 1953)

Tratto dal romanzo semi autobiografico “Il salario della paura” di Georges Arnaud (che nel secondo dopoguerra fece davvero il camionista nell’America Latina) questo splendido film è forse uno dei più crudi diretti dal maestro Henri-Georges Clouzot.

La Seconda Guerra Mondiale è finita ormai da qualche anno e a Las Piedras, una piccola cittadina del Sud America in mezzo al nulla, vivono – o meglio sopravvivono – alcuni europei. Fra loro ci sono il francese Mario Livi (Yves Montand) e l’italiano Luigi (Folco Lulli) che condividono una baracca. Al gruppo, un giorno, si unisce il francese Mister Jo (Charles Vanel) col quale Mario lega subito. Tutti sognano di tornare nella loro patria, ma nessuno possiede i mezzi per farlo.

L’economia della piccola località ruota intorno alle attività di una compagnia petrolifera americana che, a cinquecento chilometri da Las Pedras, possiede alcuni pozzi petroliferi. Proprio uno di questi prende fuoco, uccidendo alcuni operai. O’Brian (WIlliam Tubbs), responsabile a Las Pedras della compagnia, per spegnere l’incendio del pozzo e farlo tornare a produrre greggio, deve assolutamente portare in loco una tonnellata di nitroglicerina.

Passerebbero settimane prima dell’arrivo degli elicotteri, e per un aereo è impossibile atterrare nei pressi dei pozzi. L’unica soluzione è portare l’esplosivo con un camion, anzi meglio con due così si raddoppiano le possibilità di riuscita. Perché la strada che collega Las Pedras ai pozzi è poco più che una pista sterrata piena di buche e crepe.

O’Brian organizza una sorta di “gara” fra i disperati che vivono a Las Pedras per scegliere i quattro autisti per i due camion ai quali andranno duemila dollari ciascuno. Alla fine “vincono” la gara Mario, Luigi, Mister Jo e uno scandinavo soprannominato “Bimba”.

Poco prima dell’alba parte il primo camion con a bordo Mister Jo e Mario, mezz’ora dopo parte quello con Luigi e “Bimba”, la distanza è necessaria per evitare che l’esplosione di uno coinvolga anche l’altro…

Il maestro Clouzot ci descrive in maniera davvero terribile la disperazione che divora i “senza patria” e i reietti pronti a morire senza pietà pur di potersi comprare un biglietto per tornare a casa. Nonostante il film sia stato realizzato con mezzi limitati, si può apprezzare lo stesso la maniacale perfezione del regista che traspare in ogni scena, anche in quelle meno rilevanti. Perfezione maniacale del tutto simile a quella di Stanley Kubrick.

Quando Clouzot decise di realizzare l’adattamento cinematografico, l’autore del romanzo Arnaud gli propose uno script scritto da lui stesso. Ma Clouzot (anche in questo molto simile a Kubrick che, per esempio, ignorò qualsiasi suggerimento di Stephen King per realizzare “Shining”) senza troppe cerimonie la rifiutò per scriverla lui stesso insieme al suo fidato collaboratore Jérôme Géronimi.

Nonostante gli anni passati dalla sua realizzazione, questo film – come molti altri del suo autore – lascia ancora il segno.

Per la chicca: lo statunitense William Tubbs, che qui veste i panni di O’Brien, è stato un attore molto amato da alcuni nostri grandi cineasti come Roberto Rossellini che lo volle in “Paisà”, “La macchina ammazzacattivi” e “Europa ’51”, o Steno e Monicelli che lo diressero in “Guardie e ladri” e “Al diavolo al celebrità”.