(Einaudi, 2011)
Georges Perec (1936-1982) è stata una delle figure più rilevanti e al tempo stesso originali del panorama culturale francese, e non solo, del Novecento. E’ stato un membro di spicco dell’OuLiPo (Ouvroir de Littérature Potentielle), il gruppo transalpino di matematici e letterati fondato da Raymond Queneau e François Le Lionnais, e di cui faceva parte anche Italo Calvino. Nato in una famiglia ebraica di origine polacca, il piccolo Georges perde entrambi i genitori durante la Seconda Guerra Mondiale. Il padre perisce al fronte, mentre la madre viene deportata e muore in un campo di concentramento, molto probabilmente ad Auschwitz.
Adottato dalla zia, Perec abbandona gli studi alla Sorbona e inizia a fare diversi lavori, uno dei quali lo porta a Sfax, in Tunisia, allora colonia francese. Nel 1965 pubblica il suo primo romanzo “Le cose: una storia degli anni Sessanta” che diventa subito un simbolo della società e della cultura contemporanea, non solo francese.
Attraverso il racconto della vita e del rapporto fra i giovani Jérome e Sylvie, Perec ci disegna una società che sta velocemente e ferocemente cambiando, abbandonando quell’anima rurale che da secoli la contraddistingueva, per diventare completamente proiettata verso il consumismo e il capitalismo.
Perec, in tempo reale, comprende e descrive dettagliatamente un cambiamento così radicale da diventare irreversibile. Naturalmente in Jèrome e Sylvie c’è molto del suo autore, visto che la coppia nel romanzo passa alcuni anni proprio a Sfax.
Ma, a differenza di altri scritti pubblicati negli stessi anni, “Le cose” racconta un cambiamento definitivo che va oltre i Sessanta. Io che sono nato all’inizio del decennio successivo e ho vissuto l’adolescenza negli edonistici anni Ottanta, in questo libro ho ritrovato incredibilmente atmosfere, situazioni e comportamenti tipici di quegli anni, e – ahimè.. – anche dei decenni successivi che, volenti o nolenti, hanno portato la nostra società ad essere quelle che è diventata.
Guardandoci bene intorno, anche oggi, non è difficile riconoscere Jèrome e Sylvie in persone nei nostri paraggi che, come le descrive Perec: “…troppo spesso, in ciò che chiamavano lusso, amavano solo il denaro che c’era dietro” e che “…soccombevano dinanzi ai segni della ricchezza, amavano la ricchezza prima di amare la vita”.