(USA, 1984)
Nel 1984 la paura dell’olocausto atomico era ancora forte e concreta – come purtroppo è tornata a esserlo in questi ultimissimi giorni – e un film di fantascienza centrato sul tema non sembrava una grande novità.
Ma quello che realizzò il giovane e semi sconosciuto James Cameron (con all’attivo solo il sequel di un b-movie horror) divenne immediatamente un cult, segnando una netta linea di demarcazione nel cinema di genere, e non solo.
Merito soprattutto di una bella e incalzante sceneggiatura – firmata dallo stesso Cameron insieme a Gale Anne Hurd (proveniente dalla scuola di Roger Corman e che sposerà lo stesso Cameron nell’85 per poi separarsi e convolare a nozze con Brian De Palma nel 1991) e William Wisher.
Il merito va anche ai muscoli e alla faccia “da schiaffi” di Arnold Schwazenegger, alla soggettiva del cyborg e agli effetti speciali che faranno scuola, come poi spesso capiterà per gli altri film di Cameron.
E ci aggiungo anche la bravura di Linda Hamilton che interpreta la volitiva Sarah Connor – madre del futuro leader della resistenza John Connor – attrice che lo stesso Cameron ha poi sposato nel 1997.
E comunque, per la fredda cronaca, Cameron – forse perché è laureato in fisica, e i fisici si sa sono tutti un po’ eccentrici (vedi “The Big Bang Theory”) – non l’ha piantata di sposare colleghe: dal 1989 al 1991 è stato il marito di Kathryn Bigelow, la prima donna nella storia a vincere l’Oscar come miglior regista (nel 2008 con “The Hurt Locker”).
Ma tornando al film, la mia battuta preferita, oltre alla diabolica domanda del Terminator: “Sarah Connor?” è quella del passante che, mentre sta palrando ad un telefono pubblico, viene letteralmente sradicato dal cyborg che cerca l’elenco telefonico per sapere l’indirizzo della sua preda, e che dice rialzandosi, pacato, all’orco meccanico: “…Ehi amico: hai dei seri problemi comportamentali…”.