“The Fighter” di David O. Russell

(USA, 2010)

“The Fighter” esplora le complesse sfaccettature familiari e personali dietro la vera carriera e la vera vita del pugile statunitense Micky Ward. Ma, attenzione, non è solo una storia di pugilato, ma una dissezione cruda e implacabile delle dinamiche familiari e delle lotte interiori che spingono un uomo verso il ring e, ancor di più, verso la redenzione.

Mark Wahlberg, nel ruolo di Micky Ward, è come una corda tesa, sempre sul punto di spezzarsi, ma incredibilmente resiliente. La sua interpretazione è una sinfonia di silenzi e sguardi che dicono tutto senza dire nulla. Ma, come spesso accade nei migliori racconti, sono i personaggi ai margini a catturare l’attenzione. Christian Bale (che vince l’Oscar come migliore attore non protagonista) nei panni del fratellastro Dicky Eklund, è un tornado di energia caotica e devastante. Ex pugile promettente ormai caduto in disgrazia, Dicky è una figura tragica, un uomo che combatte demoni più spaventosi di qualsiasi avversario sul ring: la tossicodipendenza da crack. E Bale lo interpreta con una ferocia che è sia terrificante che profondamente commovente.

E poi c’è Melissa Leo (anche lei premio Oscar come migliore attrice non protagonista), che incarna magistralmente la madre di Micky e Dicky, una donna tanto devota quanto manipolatrice, madre e patriarca di nove figli avuti da uomini diversi. La sua interpretazione è come una mano gelida che ti stringe il cuore, costringendoti a riconoscere la complessità della maternità in un ambiente così spietato e senza sconti, come sono i margini della società americana.

Russell dirige con la precisione di un chirurgo, alternando con maestria le scene di combattimento viscerali con momenti di dramma familiare che tagliano come coltelli affilati. La fotografia di Hoyte van Hoytema cattura la grinta e la desolazione di Lowell, Massachusetts, come una città intrappolata in un incubo senza fine.

La sceneggiatura, firmata da Scott Silver, Paul Tamasy e Eric Johnson, evita i sentieri battuti dei film sportivi, scegliendo invece di immergersi nelle profondità delle relazioni umane. I dialoghi sono taglienti e autentici, come voci che sussurrano segreti oscuri nelle orecchie degli spettatori. Non è un caso, quindi, che come produttore esecutivo ci sia il regista Darren Aronofsky.

La colonna sonora, con brani di The Rolling Stones e degli Aerosmith, non è solo un accompagnamento musicale, ma un pulsante battito cardiaco che sottolinea ogni pugno, ogni urlo, ogni lacrima e ogni bacio appassionato.

“The Fighter” non è solo pugilato, ma un’epopea umana che scava nei recessi più oscuri dell’anima. È una storia di riscatto e sacrificio, di speranza e disperazione, che ti lascia esausto ma stranamente ispirato. Come un bel romanzo, è un viaggio che esplora non solo il coraggio e la determinazione, ma anche le ombre che perseguitano ciascuno di noi. E alla fine, ti rendi conto che il vero combattimento non è mai sul ring, ma sempre dentro di noi.

Nel cast da ricordare anche l’ottima interpretazione di Amy Adamas nei panni di Charlene, la compagna di Micky.

“Requiem For A Dream” di Darren Aronofsky

(USA, 2000)

Tratto dal romanzo omonimo e cult, scritto nel 1978 da Hubert Selby Jr., “Requiem For A Dream” ci racconta l’ascesa agli inferi di quattro tossicodipendenti, Harry (un bravissimo Jared Leto), il suo amico Tyrone (Marlon Wayans), la sua ragazza Marion (una bellissima e fragile Jennifer Connelly) e sua madre Sara, interpretata da Ellen Burstyn, che per l’interpretazione ottiene la candidatura all’Oscar come migliore attrice protagonista.

Sei i primi tre vengono inesorabilmente divorati dall’eroina Sara, invece, ingenuamente cade nella morsa delle anfetamine con la colpevole e micidiale complicità di una televisione aggressiva e letale.

Darren Aronofsky (che poi vincerà il Leone d’Oro per il suo “The Wrestler”, e dirigerà film come “Il cigno nero” e “Noah”) attraverso l’uso claustrofobico dello split screen e dettagli splatter ci da un bel pugno nello stomaco, togliendoci ogni speranza.

Bello e tosto come pochi.

Per la chicca: l’autore del romanzo e della sceneggiatura Hubert Selby Jr, appare in un cameo, nei panni di un secondino razzista che sorveglia Tyrone ai lavori forzati, mentre il regista Aronofsky veste i panni di un componente del pubblico dello show televisivo che ossessiona Sara.