“Lo straccione” di Carl Reiner

(USA, 1979)

“The Saturday Night Live” – che molti chiamano solo SNL – è ormai da quasi cinquant’anni la fucina delle nuove generazioni di comici, autori e registi della commedia made in USA, e non solo. Da lì sono partiti artisti che hanno conquistato il pubblico di tutto il mondo come John Belushi o Robin Williams, solo per citarne due.

Sotto i riflettori degli studi dove si registrava lo show si sono allacciate amicizie e sodalizi artistici memorabili. Così il giovane comico Steve Martin assieme all’autore Carl Gottlieb (che poco prima, con Peter Benchley, aveva scritto per l’amico Steven Spielberg la sceneggiatura de “Lo squalo”) buttano giù il soggetto per una commedia satirica e surreale in pieno stile SNL.

La sceneggiatura viene scritta insieme a Michael Elias e a dirigere il film viene chiamato Carl Reiner (padre di Rob Reiner), maestro indiscusso della commedia americana sia dietro che davanti la macchina da presa. Steven Soderbergh, tanto per fare un esempio, lo vuole nel cast di “Ocean’s Eleven – Fate il vostro gioco” accanto a George Clooney, Brad Pitt e Julia Roberts.

Navin Johnson (Steve Martin) è uno dei numerosi figli di un’indigente famiglia afroamericana che vive nei pressi delle paludi della Luisiana. Rispetto ai suoi genitori, alle sue sorelle e ai suoi fratelli però Navin si sente sempre in difficoltà e inadatto. Infatti, è l’unico della famiglia a non riuscire a tenere il tempo quando tutti gli altri cantano e ballano. Affranto si ritira nel suo letto dove la madre gli rivela di essere stato …adottato. La notte stessa, ascoltando casualmente la radio sente dello swing e finalmente i suoi piedi riescono a tenere il tempo. Folgorato dalla novità Navin ha un’illuminazione: andare a cercare la fortuna a St. Louis, la città da dove era trasmessa la musica.

Con pochi dollari in tasca e tanta voglia di farcela Navin parte alla ricerca di se stesso e soprattutto della sua realizzazione che, grazie alle sue doti di inventore realizzerà, ma…

Esilarante commedia sopra le righe con un grande Steve Martin, al suo primo ruolo da protagonista, che con tagliente ironia si sberleffa del grande “sogno americano”. Nel cast, oltre a Bernadette Peters, alcuni dei caratteristi più famosi del periodo come M. Emmet Walsh, Bill Macy e Jackie Mason, oltre a un delizioso cameo della stesso Carl Reiner nei panni di se stesso.

Non è facie far ridere, ed è ancora più difficile fare un film che a distanza di oltre quarant’anni continui a farlo, come questo.

“Un biglietto in due” di John Hughes

(USA, 1987)

Negli edonistici anni Ottanta essere un esperto di marketing presso una nota ditta di cosmesi con sede nella scintillante Manhattan era, per molti e non solo statunitensi, il massimo delle ambizioni lavorative oltre che alquanto cool.

Per questo l’altero ed “educatamente” arrogante Neil Page (Steve Martin) si sente fiero del suo lavoro, della sua posizione sociale e, soprattutto, della sua famiglia fatta dall’avvenente moglie Susan (Laila Robins) e dai tre piccoli figli che vivono in una lussuosa villa nei pressi di Chicago.

A causa del prolungarsi di una riunione con il Presidente e Amministratore Delegato della sua ditta, Neil deve correre all’aeroporto per prendere l’aereo che lo porterà a casa due giorni prima del Ringraziamento.

Ma, proprio mentre sembra riuscire a prendere un rarissimo taxi libero, sulla sua strada incappa in Del Griffith (uno strepitoso John Candy) commesso viaggiatore e logorroico rappresentate di anelli in plastica per tende da doccia.

Proprio a causa di Del, Neal perderà l’aereo prenotato e assieme a lui inizierà un viaggio “infernale” verso casa che, per colpa di una violenta bufera di neve, diventerà incredibilmente lungo e complicato…

Deliziosa commedia piena di gag ancora oggi molto divertenti con l’incontro-scontro di due personalità opposte e divergenti.

Scritta dallo stesso Hughes, questa commedia rappresenta anche una poi non tanto velata critica all’American Way Of Life di quegli anni, concentrata tutta sui vincenti e gli arroganti e spietata con i deboli e i perdenti.

Purtroppo la prematura scomparsa di Candy impedì che la coppia di protagonisti potesse ripetersi in un’altra pellicola.   

Anche se ormai pure i Metallica si sono tagliati i capelli, gli anni Ottanta sono ancora vivi e combattono accanto a noi!

“La piccola bottega degli orrori” di Frank Oz

(USA, 1986)

Nel 1982 sbarca a Broadway il musical ispirato al film culto di Roger Corman “La piccola bottega degli orrori“. Gli autori sono Alan Menken e Howard Ashman e il successo è clamoroso. Non a caso in due, negli anni successivi, vinceranno come autori di canzoni e colonne sonore ben dieci Oscar, quasi tutti per film della Disney, fra cui “La Sirenetta” e “La Bella e la Bestia”. E i premi sarebbero stati molti di più se Ashman non fosse stato stroncato prematuramente dall’HIV nel 1991.

Ma, tornando al musical, anche se figlio di una piccola produzione ha tutti gli elementi per il successo. Belle musiche, tanta ironia e una storia tanto assurda da essere irresistibile. Così anche Hollywood se ne interessa e decide di riadattarla per il grande schermo.

Dietro la macchina da presa c’è Frank Oz, già collaboratore stretto del maestro Jim Henson autore dei Muppets, nonché voce originale e animatore del grande Yoda in “Star Wars: L’impero colpisce ancora” e “Star Wars: Il ritorno dello Jedi”. Un esperto di pupazzi e animazione, insomma, con un grande senso ironico.

Seymour (Rick Moranis) è un orfano che fa il tuttofare nella piccola bottega di fiori del signor Mushnik (un grandioso Vincent Gardenia). Ad aiutarlo c’è la bella e un pò goffa Audrey (Ellen Greene) che ha una pessima opinione di se stessa, tanto da frequentare il manesco Tony Scrivello (uno moro capelluto Steve Martin) che ama essere uno dei più perfidi dentisti della città. Ma l’arrivo dallo spazio di una piccola quanto famelica pianta cambierà le cose…

Deliziosa commedia musicale con una colonna sonora da Oscar. Sempre divertente e sfriziosa. Bill Murray interpreta il ruolo che nell’originale del 1960 interpretò un allora sconosciuto Jack Nicholson.

Per la chicca: Frank Oz è il protagonista di uno spassoso cameo ne “I Blues Brothers” di John Landis: è l’addetto del carcere che restituisce gli oggetti personali e Jake all’inizio del film.

Per la chicca 2: a doppiare Vincent Gardenia, nella nostra versione, è il grande e indimenticabile Silvio Spaccesi che ne “Star Wars: L’impero colpisce ancora” e “Star Wars: Il ritorno della Jedi” doppia Yoda. …che intreccio!