“Sospesi nel tempo” di Peter Jackson

(USA, 1996)

Agli inizi degli anni Novanta Peter Jackson e la sceneggiatrice Fran Walsh, sua compagna anche nella vita, scrivono il soggetto di un film fantasy/horror che alla fine riescono a sottoporre a Robert Zemeckis. Il regista di “Ritorno al futuro” e “Forrest Gump” ne rimane entusiasta e così parte la produzione della pellicola.

Jackson ottiene che il film venga girato negli esterni in Nuova Zelanda, il suo Paese natale, a patto che l’ambientazione e le scenografie ricordino quelle tipiche del mid-west statunitense, gli impone la produzione. Se allora la scelta del regista poteva sembrare solo il frutto di un legittimo sentimento patriottico, oggi invece è fin troppo chiaro che il regista si stava preparando a realizzare la trilogia de “Il Signore degli Anelli”, che ha anche negli splendidi panorami neozelandesi uno dei suoi punti di forza, oltre alla sceneggiatura scritta dallo stesso Jackson assieme alla stessa Fran Walsh e Philippa Boyens.

Zemeckis, da grande uomo di cinema qual è, sa che Jackson – allora… – e il cast artistico scelto, anche se ottimi professionisti, non sono così famosi al pubblico e convince il suo amico Michael J. Fox ad interpretare il protagonista per attirare l’attenzione su una pellicola così originale e innovativa visto che possiede i caratteri della commedia, del giallo e dell’horror sapientemente bilanciati.

Frank Bannister (Michael J. Fox) era un architetto di successo e, insieme a sua moglie Debra, stava costruendo la casa dei suoi sogni. Ma a causa di un grave incidente automobilistico, di cui Frank si assume tutta la colpa morale e materiale, Debra è morta. Sono passati oltre cinque anni, ma Frank non ha portato avanti la costruzione della casa che è rimasta di fatto un cantiere a cielo aperto.

Ha abbandonato il suo lavoro e ora vive di espedienti, soprattutto quelli legati al paranormale. Perché dopo l’incidente Frank riesce a vedere e a parlare con i fantasmi. E proprio con tre di questi ha creato una società a delinquere. Cyrus (Chi McBride), un piccolo criminale morto negli anni Settanta, Stuart (Jim Fyfe), uno studente modello perito negli anni Cinquanta, e il “vecchio” giudice (John Astin), un volitivo e uomo di legge del duro Far West, infestano la casa scelta appositamente prima da Frank che poi si presenta come “disinfestatore” dell’occulto dietro una lauta ricompensa.

Ma quando l’ex architetto si presenta a casa di Lucy (Trini Alvarado) e Ray Lynskey (Peter Dobson) oltre a vedere i suoi complici, che i padroni di casa non possono vedere, scorge i segni di un inquietante Tristo Mietitore affamato di vite umane…

Con effetti speciali allora davvero all’avanguardia, sequenze mozzafiato e una piacevole ironia “Sospesi nel tempo” – il cui titolo originale è “The Frighteners”, ovvero “Gli spaventosi”, che ha molto più senso di quello in italiano, soprattutto dopo aver visto il finale… – ci offre oltre 100 minuti di brividi e divertimento, firmate da un vero artigiano indiscusso della macchina da presa che riesce sempre ad inventare trovate visive originali e inaspettate.

John Astin – che nell’immaginario collettivo sarà sempre il primo grande Gomez nella serie televisiva degli anni Sessanta “La famiglia Addams” – è nella vita reale il padre di Sean Astin, già protagonista del mitico “I Goonies” e che poi, pochi anni dopo, interpreterà Samvise Gamgee nella trilogia de “Il Signore degli Anelli” diretta da Jackson, partecipando poi, fra le altre cose, alla seconda stagione della serie televisiva cult “Stranger Things“.

“Vittime di guerra” di Brian De Palma

(USA, 1989)

Questo film ricostruisce uno dei più tragici episodi che hanno caratterizzato il conflitto statunitense in Vietnam.

Nel 1966 una pattuglia di soldati americani, nei pressi di un villaggio nella giungla, è vittima di un’imboscata dei Viet Cong.

Nello scontro a fuoco uno dei soldati perisce, e quando gli assalitori si ritirato il sergente Tony Meserve (uno Sean Pean in stato di grazia) decide di entrare nel villaggio e, per rappresaglia, appoggiato dal caporale Clark, rapisce una giovanissima ragazza che diventerà il loro oggetto di piacere sessuale per tutta la missione.

L’unico ad avere il coraggio di opporsi è il soldato Sven Eriksson (un bravo Michael J. Fox) che si rifiuta di toccare la ragazza tentando, inutilmente, di proteggerla.

Anche gli altri due soldati sembrano restii ad abusare della giovane, ma alla fine la ferocia di Meserve li convincerà ad assecondarlo. Dopo alcuni giorni di stupri quotidiani, la pattuglia si ritrova in un nuovo scontro a fuoco e Meserve ne approfitta per uccidere la ragazza, così che nessuno possa raccontare le vicenda.

Ma la coscienza di Eriksson gli impedisce di tacere e, contro anche il parere dei suoi superiori, denuncia ufficialmente l’accaduto. Questo gli costerà la carriera militare, il rispetto dei colleghi e buona parte della vita privata.

E allora chi sono le vittime del titolo? …Tutti.

De Palma ce lo dice benissimo: in guerra perdono tutti.

Perde la povera e innocente giovane vietnamita, così come perde l’onesto soldato Ericksson. Ma perdono anche gli altri due soldati che non hanno avuto la forza di opporsi, così come perdono Clark e Meserve (a cui poi verranno ridotte sensibilmente le pene dopo vari ricorsi) che sono stati costretti a scambiare per sempre la loro umanità con un odio sfrenato e insaziabile.

Purtroppo questa pellicola, così bella e allo stesso tempo così dura, naufragò al botteghino segnando uno dei flop più clamorosi della stagione.

In molti diedero la colpa al suo protagonista Michael J. Fox considerato inadatto al ruolo (allora era fresco reduce della trilogia di “Ritorno al futuro”). Ma io, personalmente, non condivido: quello che allora non piacque, probabilmente, fu il doversi confrontare con un argomento tanto doloroso.

Ma non basta guardare da un’altra parte per evitare i problemi visto che noi oggi, volenti o nolenti, con le vittime di guerra i conti ce li dobbiamo sempre fare.

Da vedere.

“Ritorno al futuro” di Robert Zemeckis

(USA, 1985)

Pochi film hanno rappresentato davvero i sogni della generazione che a metà degli anni Ottanta usciva dall’adolescenza come “Ritorno al futuro”.

Con una sceneggiatura ad orologeria – scritta dallo stesso Zemeckis insieme a Bob Gale (già autore dello script di “1941: allarme a Hollywood” diretto da Spielberg nel 1979) e candidata all’Oscar (battuta da quella di “Witness – Il testimone” di Peter Weir, che adoro ma che secondo me non possiede la deliziosa e magica “perfezione” di quella di Zemeckis e Gale), “Ritorno al futuro” è uno dei classici dieci film da portare sull’isola deserta.

Ogni volta che lo rivedi scopri una nuova chicca, per non parlare poi della colonna sonora.

Rifiutato dalla Disney per il bacio “incestuoso” (e ci vuole tanta buona volontà per chiamarlo bacio) fra Marty (il grande Michael J. Fox) e sua madre Lorraine (Lea Thompson) il film in poche settimane diventa una dei maggiori incassi dell’Amblin Entertainment di Steven Spielberg, consacrando giustamente Zemeckis come uno dei più importanti registi della nuova generazione.

Visto l’enorme successo, la produzione decise di girare due sequel e – grande novità per i tempi – avviare un’unica produzione senza aspettare l’esito del botteghino.

Molto più divertente il III, ambientato nel Far West, che il II ambientato in un cupo futuro, ma nessuno dei due è all’altezza del primo.

E che dire delle svariate invenzioni futuristiche che col passare del tempo si sono concretizzate, come le scarpe a chiusura automatica…

Intramontabile.