“La regina delle nevi” di Lev Atamanov

(URSS, 1957)

Questo mediometraggio è uno dei più fulgidi esempi di quello che è stato il grande cinema d’animazione dell’Unione Sovietica, dove i suoi artisti (nel bene e nel male, ovviamente) venivano stipendiati direttamente dallo Stato, indipendentemente dai risultato al botteghino. Così gli autori di cartoni animati non avevano problemi di tempo o di consegne, e potevano permettersi di realizzare un film secondo le proprie esigenze artistiche e non sotto quelle rigide del mercato.

La storia ci dice come è andata a finire, purtroppo ( …o fortunatamente) il mercato detta legge, comanda ed è implacabile. Tralasciando tutte le discussione socio-economiche sul crollo dell’URSS, sta di fatto che oggi sarebbe impensabile realizzare un film d’animazione così: senza scadenze ma solo seguendo il genio dei suoi autori (…sob!).

E allora godiamoci questo capolavoro indiscusso della cinematografia mondiale che vinse a Venezia il Leone d’Oro per l’animazione, e che si ispira fedelmente a uno dei capolavori del maestro danese Hans Christian Andersen.

Seguiamo così le vicissitudini della piccola Gerda disposta a tutto pur di ritrovare il suo amico del cuore Kai, rapito dalla perfida e glaciale regina delle nevi. Ogni avventura della piccola è un viaggio fantastico creato da artisti dell’animazione unici.

Per rendere l’idea di quanto questo capolavoro abbia influenzato il mondo dell’animazione basta ricordare che il maestro giapponese Hayao Miyazaki ha sempre affermato di aver iniziato a lavorare nell’ambito dei cartoni animati proprio dopo averlo visto in gioventù.

Nessuno si offenda, ma la bellezza di questa pellicola – che visivamente ancora oggi continua a essere fonte di ispirazione – annulla tutte le successive versioni cinematografiche della favola di Andersen.