“Giorno maledetto” di John Sturges

(USA, 1955)

Tratto dal racconto “Bad Time at Honda” di Howard Berslin, pubblicato sul “The American Magazine” nel gennaio del 1947, e adattato per il grande schermo da Don McGuire e Millard Kaufman, “Giorno maledetto” è considerato giustamente uno dei più riusciti western moderni di quegli anni. Per western moderni si intendono pellicole con le classiche caratteristiche dell’epico cinema di frontiera, ma ambientati in epoca contemporanea.

A due mesi dalla fine del secondo conflitto mondiale, e ben dopo quattro anni dall’ultima volta, un treno passeggeri si ferma nella piccola stazione di Bad Rock, nel sud ovest degli Stati Uniti.

A scendere è solo un uomo che indossa una abito nero e tiene nella mano destra una piccola valigia marrone. I pochi abitanti della piccola località sperduta nel deserto osservano il nuovo arrivato diffidenti e curiosi.

L’uomo, che si chiama John J. Macreedy (un bravissimo Spencer Tracy), che ha il braccio sinistro evidentemente offeso, si reca nell’unico albergo del posto e chiede una stanza giusto per una notte. Poi si informa su come raggiungere la località chiamata “La Steppaia”, lontana qualche miglio, dove dovrebbe abitare un certo Komoko. Sentendo quel nome, Reno Smith (Robert Ryan) il più facoltoso proprietario terriero della zona, si irrigidisce…

Strepitoso film d’azione e suspense – come si diceva una volta – con una cast stellare fra cui spiccano, oltre a Tracy e Ryan, i giovani Lee Marvin, Ernest Borgnine e Anne Francis; una costruzione perfetta e ad orologeria; nonché una regia fra le migliori di quegli anni.

Memorabile è comunque l’interpretazione del grande Spencer Tracy, premiato al Festival di Cannes nel 1955, che incarna John Macreedy, simbolo della lotta contro ogni forma di razzismo e intolleranza, e che ci sussurra un bell’inno alla pace.  

“Marty – Vita di un timido” di Delbert Mann

(USA, 1954)

Cominciamo col dire che questo è uno dei 100 film che porterei su un’isola deserta.

Marty (uno straordinario Ernest Borgnine) ha 34 anni, vive con la madre vedova e fa il macellaio, lavoro che dieci anni prima ha dovuto accettare per mantenere i suoi numerosi fratelli che adesso sono tutti sposati e sistemati.

La sua età e, soprattutto, il suo aspetto da orso lo rendono impacciato con le donne, e ogni giorno che passa la cosa diventa sempre più pesante visto anche che nessuno – a partire dalla madre – evita di ricordagli che uno dei primi doveri sociali di un uomo è quello di sposarsi.

Una sera, in un dancing, assiste per caso all’umiliante scaricamento di una ragazza “racchia” da parte di un arrogante cavaliere occasionale.

Per solidarietà fra “piombi” (così vengono definitivi nello slang del momento i pesi morti che nessuno vuole frequentare) Marty le si avvicina consolandola.

I due passeranno una serata indimenticabile, confrontandosi nell’intimo per la prima volta con un altro essere vivente che finalmente comprende le proprie più profonde debolezze.

Marty, prima di congedarsi, promette a Clara (una bravissima Betsy Blair) di richiamarla il giorno seguente per andare poi la sera al cinema.

Ma la mattina, già in chiesa e poi al bar, tutti lo prendono in giro per essersi fatto vedere accanto a una “racchia” del genere. Anche sua madre, per paura di essere relegata al ruolo scomodo di suocera invadente, lo convince a non richiamarla.

La purezza d’animo di Marty però riuscirà a salvarlo …il tutto raccontato in un magico bianco e nero d’epoca.

Da vedere e rivedere!

Questa bellissima pellicola, scritta da Paddy Chayefsky – che merita di essere vista ogni volta che si presenta l’occasione – ha fatto incetta di premi in tutto il mondo, a partire da 4 Oscar (fra cui uno meritatissimo a Borgnine e un altro a Chayefsky) e la Palma d’Oro a Cannes.

E aggiungo pure che secondo me Terrence McNally si è ispirato a questo film per scrivere la sua struggente commedia teatrale “Frankie and Johnny in the Clair de Lune”, che nel 1987 divenne uno dei maggiori successi off-Broadway, e che nel 1991 Garry Marshall portò sul grande schermo col titolo “Paura d’amare” con Al Pacino e Michelle Pfeiffer.

Da vedere.

“L’imperatore del nord” di Robert Aldrich

(USA, 1973)

Epica avventura ambientata nell’America della grande depressione.

Fra i numerosi vagabondi e derelitti che girano il Paese viaggiando abusivamente sui treni merci spicca Numero 1 (un grande Lee Marvin) che è l’unico riuscito a viaggiare su un treno vigilato da Shack (un cattivissimo e infame Ernest Borgnine) senza rimetterci la pelle.

La notizia fa scalpore e fra gli addetti alla ferrovia e fra gli stessi vagabondi scatta una gara di scommesse relativa ad un nuovo viaggio. Numero 1 accetta la sfida, ma il giovane e arrogante Cigaret (Keith Carradine), un vagabondo con manie di grandezza, si mette in mezzo…

Girato fra le splendide montagne del nord America, “L’imperatore del nord” ricostruisce alla perfezione il clima e la disperazione di quegli anni, dove la vita valeva meno di un piatto di minestra. Memorabili le scene girate sui treni in movimento.

Ottima pellicola di un grande regista incredibilmente dimenticato.