“L’ispettore Martin ha teso una trappola” di Stuart Rosenberg

(USA, 1973)

Tratto dal romanzo svedese scritto dalla coppia Per Wahlöö e Maj Sjöwall dal titolo “Il poliziotto che ride” – che fa parte della famosissima serie scandinava dedicata al commissario Martin Beck – questo bel poliziesco anni Settanta ha come protagonista un insolito Walter Matthau nei panni del duro difensore della legge.

In una calda notte di San Francisco, il passeggero seduto agli ultimi posti di un bus urbano si alza e con un mitra da commando crivella di colpi tutti i passeggeri, per poi scomparire nel nulla.

Quando arriva, la Polizia scopre che fra le vittime c’è anche Evans, stretto collaboratore dell’ispettore Martin (Matthau). L’opinione pubblica è sconvolta e il Sindaco e il Capo della Polizia premono affinché venga trovato al più presto il colpevole, o “un” colpevole in generale. Tutto il Dipartimento di San Francisco indaga in ogni direzione, ma Martin è sicuro che il feroce assassino venga proprio da un caso che lui due anni prima non è riuscito a risolvere…

Diretto da Stuart Rosenberg, regista di film come “Nick Mano Fredda”, “Detective Harper: acqua alla gola” e lo splendido “Brubaker” – con un passato da regista televisivo di serie come “Alfred Hitchcock presenta ” e la sublime “Ai confini della realtà” di Rod Serling – questo film sente l’influenza del poliziotto duro e antieroe Harry Callaghan – uscito due anni prima – e ci mostra una società che dopo il famigerato ’68 è in crisi con se stessa, non riesce a comunicare e, soprattutto, non riesce a fidarsi di se stessa.

Scena finale da brivido.

“Dunkirk” di Christopher Nolan

(UK/USA/Francia/Olanda, 2017)

Non sono molti i film che raccontano in maniera così reale, sconvolgente e terrificante che cos’è davvero la guerra, e quale devastazione fisica e mentale questa comporti. A “E Johnny prese il fucile”, “Salvate il soldato Ryan” e “Vittime di guerra” – che personalmente trovo fra i migliori di tutti – deve essere aggiunto questo “Dunkirk” firmato dal genio cinematografico inglese Christopher Nolan.

Nolan ha impiegato quasi venticinque anni per scrivere la sceneggiatura di questo film, basandosi sulle dinamche della vera evaquazione di Dunkirk avvenuta nel 1940 durante i primi anni della Seconda Guerra Mondiale.

Quattrocentmila soldati delle Forze Armate britanniche, francesi e belghe sono rimasti isolati nella cittadina costiera francese di Dunkirk (che noi chiamamo Dunkuerque). I soldati aspettano di essere imbarcati per essere portati in salvo in Inghilterra, ma sulla spiaggia gli uomini sono bersagli fin troppo facili per gli aerei tedeschi. Per le maree e i fondali bassi, le grandi navi militari non posso avvicinarsi troppo alla riva. La situazione sembra senza speranza, tanto che lo stesso Churchill considera ottimistico portare in salvo anche solo trentamila soldati. Ma…

Duro e crudo resoconto di un episodio tragico e drammatico del secondo conflitto mondiale: ma in una guerra ci sono episodi non tragici o drammatici?

Con sequenze spettacolari e immagini strazianti, Nolan ci raccontano la storia di Dunkirk attraverso gli occhi del giovane soldato inglese Tommy (Fionn Whithead) che, come ogni essere umano indifeso e sconvolto, vuole solo tornare a casa ed è pronto a tutto pur di riuscirci.

Infine è doveroso riflettere che i cattivi del film eravamo noi, gli aerei che bombardavano e mitragliavano i soldati indifesi sulla spiaggia appartenevo all’Asse di Ferro. Ma in una guerra alla fine non ci sono nè vinti nè veri vincitori. Così Nolan non ci mostra mai direttamente i soldati tedeschi, perché i nemici in una guerra sono molti di più. E dedica la pellicola a tutti coloro le cui vite sono state segnate dagli eventi di Dunkirk, assediati e assalitori.

Da vedere, e da far vedere soprattutto a chi parla di guerra o interventi militari troppo facilmente.