“Crudelia” di Craig Gillespie

(USA/UK, 2021)

E’ indubbio che “La carica dei 101” sia un grande classico del cinema d’animazione e non solo. E che, oltre al tenero centinaio di cuccioli dalmata, il fascino del film sia legato anche alla sua perfida cattiva: Crudelia De Mon.

Gia nel 1996 la Disney realizzò un remake del cartone in live-action, in cui a incarnare la perfida Crudelia c’era la bravissima Glenn Close, che non a caso è co-produttrice di questo “Crudelia”.

Ma la Disney, sulla scia di “Maleficent”, decide di raccontare la genesi di una delle cattive più famose del cinema rivisitando la sua vita, perché se una storia funziona è anche – e spesso sopratutto – per il suo “cattivo o villain come dicono a Hollywood. Tanto che sovente, in alcune produzioni, l’attrice o l’attore che interpreta il villain è più rilevante di quella o quello che incarna l’eroe.

Ispirandosi ai personaggi creati da Dodie Smith, Aline Brosh McKenna (autrice dello script de “Il diavolo veste Prada”) Kelly Marcel (coautrice della sceneggiatura dell’ottimo “Saving Mr. Banks“) e Steve Zissis elaborano il soggetto da cui Dana Fox e Tony McNamara (coautore dello script de “La favorita“) scrivono un’ottima sceneggiatura.

Ci troviamo così nella campagna inglese a metà degli anni Sessanta dove la piccola Estella Miller (Tipper Seifert-Cleveland) vive sola con la madre Catherine. Estella possiede una grande fantasia quanto il suo carattere è volitivo e indomabile. Tanto che alla fine viene espulsa dalla scuola elementare che frequenta.

Sua madre decide allora di trasferirsi a Londra, dove insieme potrebbero iniziare una nuova vita. Ma prima, per avere una minima sicurezza materiale, deve passare a chiedere aiuto presso la tenuta degli Hellman, dove si tiene un grande ricevimento in costume. Estella, invece di rimanere in auto come le ha chiesto la madre, si mette a curiosare e suo malgrado aizza i tre grossi dalmata della padrona di casa che, dopo averla inseguita, aggrediscono sua madre che precipita dalla scogliera.

Disperata e senza nessuno, Estella si nasconde in un camion e raggiunge Londra, dove incontra due suoi coetanei orfani, Jasper e Horace, che sbarcano il lunario rubando in strada, e vivono in un vecchio edificio abbandonato.

Dieci anni dopo, a metà degli anni Settanta, Estella (Emma Stone) Jasper (Joel Fry) e Horace (Paul Walter Hauser) sono un trio di ladri e truffatori ormai di “successo”, grazie soprattutto al genio della ragazza che è davvero brava a creare e realizzare travestimenti.

Il sogno di Estelle è, infatti, quello di diventare una stilista e segue con passione le novità che la regina indiscussa della moda planetaria, la Baronessa (una brava e perfida Emma Thompson) lancia sul mercato. Un giorno Jasper e Horace le regalano la possibilità di realizzare il suo sogno, ma…

Non era certo semplice raccontare una nuova e originale genesi di una cattiva di prim’ordine come Crudelia De Mon. Ma il team scelto dalla Disney ha creato una storia davvero divertente e accattivante, fino all’ultimo fotogramma. E vi raccomando di rimanere a guardare anche tutti i titoli di coda…

Oltre alle ottime interpretazioni delle due attrici protagoniste, il film vanta una colonna sonora davvero di alta qualità con brani indimenticabili che hanno segnato la fine degli anni Sessanta e la prima metà dei Settanta, nonché dei costumi da Oscar.

Ma tranquilli, è in pre-produzione “Crudelia 2”.

“La favorita” di Yorgos Lanthimos

(USA/UK/Irlanda, 2018)

Il regista greco Yorgos Lanthimos (già autore del surreale “The Lobster“) ci racconta una carnale storia d’intrighi a corte nell’Inghilterra dell’inizio del XVIII secolo.

La regina Anna Stuart (Olivia Colman) per il suo carattere scostante e per la sua salute minata dalla gotta, ha di fatto abbandonato il governo del regno nelle mani della sua amica intima Lady Sarah Marlborough (una bravissima Rachel Weisz) che in tutti i modi favorisce il primo ministro Godolphin e indirettamente suo marito alto ufficiale dell’esercito di sua maestà, impegnato in una sanguinosa e dispendiosa guerra contro il regno di Francia.

A corte arriva la giovane Abigail Hill (un’altrettanto brava Emma Stone) cugina di Sarah, ma caduta in disgrazia a causa dei debiti di gioco del padre, che l’ha “donata” a un suo creditore. La ragazza è molto scaltra e in breve tempo riesce a farsi notare dalla regina. All’inizio Sarah rimane divertita dalla spregiudicatezza della cugina, poi comprende che Abigail è disposta a tutto pur di prendere il suo posto nel letto della sovrana, dando il via così a una sanguinosa battaglia all’ultimo sangue…

Come sempre Lanthimos firma una pellicola grottesca, cruda e sanguigna scritta da Deborah Davis e Tony McNamara. Con un cast davvero superbo fra cui spicca Olivia Colman – che come la Weisz aveva partecipato a “The Lobster” – che giustamente ha vinto la Coppa Volpi alla Mostra del Cinema di Venezia e l’Oscar come miglior attrice non protagonista per questa sua interpretazione, “La favorita” ci punge la coscienza.

“Maniac” di Cary Fukunaga e Patrick Somerville

(USA, 2018)

Scritta da Cary Fukunaga e Patrick Somerville, e prodotta da Netflix, questa serie fantasy/grottesca tocca uno dei temi più spinosi della soceità umana: la famiglia.

Owen (un bravo Jonah Hill) è il figlio “stolto” e nevrotico della facoltosa famiglia Milgrim, il cui patriarca Porter (Gariel Byrne) poco accetta e sopporta. Ma Owen improvvisamente diventa fondamentale: la sua testimonianza può scagionare da una grave accusa – vera – di molestie sessuali suo fratello maggiore.

Se l’accusa venisse provata metterebbe in discussione l’intero impero dei Milgrim, e così Porter è disposto a far mentire suo figlio Owen in tribunale. Il giovane, sconvolto e turbato, decide di rifuggiarsi presso una grande casa farmaceutica che per qualche giorno sperimenterà su di lui un nuovo metodo per annullare il dolore morale ed emotivo delle persone.

Annie (una davvero brava Emma Stone) è una giovane donna tossicodipendente che è stata abbandonata, insieme alla sorella, dalla loro madre in tenera età.

Il suo martirio e la sua ossessione – e la sua droga – è assumere un nuovo farmaco sperimentale che le permette di rivevere il dramma del successivo distacco dalla sorella. Quando la sua scorta di pillole si esaurisce, Annie decide anche lei di fare da cavia per la sperimentazione del nuovo metodo contro il dolore morale ed emotivo. Ma…

Dieci puntate completamente fuori le righe, ma realizzate con grande maestrie e irrivenerenza. Con macroscopici riferimenti allo stile cinematografico e televisivo degli anni Ottanta, “Maniac” diverte fino all’ultima puntata.

Grande parte secondaria per una straordinaria Sally Field che mostra sempre la sua grande arte e il suo intramontabile fascino.

“Birdman (o l’imprevedibile virtù dell’ignoranza)” di Alejandro González Iñárritu

(USA, 2014)

Di teatro al cinema ne abbiamo visto tanto. Non sono pochi, infatti, i film che raccontato che c’è, e cosa si consuma dietro il palcoscenico. Ma spesso di tanta pellicola non sappiamo che farne.

Non sono molti infatti i film belli sul teatro, sia commedie che drammatici, che lasciano il segno come “Servo di scena” o “Rumori fuori scena”. A questa non così lunga lista deve essere aggiunto “Birdman (o l’imprevedibile virtù dell’ignoranza)” del regista messicano Alejandro González Iñárritu, già autore fra gli altri di pellicole come “Amores perros” o “”21 grammi”, e trionfatore agli ultimi Oscar col film “Revenant-Redivivo” con cui ha vinto il suo secondo e consecutivo Oscar come miglior regista.

“Birdman” ci racconta la pesante ingerenza di Hollywood su Broadway, di come i grandi incassi e i film spettacolari incidano direttamente sulla vita e, soprattutto, sull’arte di attori che spesso proprio da Broadway partono per raggiungere l’Eldorado del cinema, nella quale poi però rimangono impantani a vita non riuscendo più a tornare indietro.

Per questo González Iñárritu sceglie tutti attori – bravissimi, è giusto ricordarlo – che a Hollywood hanno girato film su supereroi: Michael Keaton è stato il Batman di Tim Burton, Edward Norton ha impersonato Hulk, Emma Stone è stata la fidanzata dell’Uomo Ragno, e Naomi Watts la Ann Darrow del “King Kong” di Peter Jackson. Un’alchimia perfetta per raccontare come la celebrità a volte sia nemica dell’arte.

Candidato a nove statuette, ne ha portate a casa – meritatamente – quattro fra le più importanti: miglior film, miglior regia, miglior sceneggiatura originale e miglior fotografia.

Da vedere.