“Oscar insanguinato” di Douglas Hickox

(UK, 1973)

Il premio Oscar, in realtà, con questo film non ha nulla a che fare. E’ stato il genio – fin troppo spesso incompreso… – dei nostri distributori a infilarcelo tentando di rendere la pellicola più accattivante per un pubblico nostrano che evidentemente reputava troppo basico per apprezzare un “semplice” premio teatrale inglese.

Perché il riconoscimento in questione è, infatti, un ambitissimo Emmy che una squadra di critici teatrali, spocchiosi e presuntuosi, assegna ogni anno all’artista del palcoscenico che ritiene più degno.

Un paio di anni prima il veterano Edward Lionheart (un grande Vincent Price), noto attore shakespeariano, era convinto di meritarlo ma alla cerimonia, vedendo premiare un giovane e secondo lui inesperto collega, aveva dato in escandescenza presentandosi poi nella casa di uno dei critici per protestare. Lì, però, era stato sbeffeggiato tanto che alla fine Lionheart aveva deciso di gettarsi dal terrazzo direttamente nel Tamigi.

In maniera assai cruenta vengono uccisi inesorabilmente i critici della giura e solo Peregrin Devlin (Ian Hendry) uno di essi, intuisce che le modalità degli omicidi ricalcano quelle di alcune famose opere del grande William Shakespeare, unico autore mai interpretato da Lionheart. Ma l’attore è morto ormai da tempo, anche se il suo cadavere non è mai stato ritrovato.

Così Devlin e la Polizia si rivolgono a Edwina Lionheart (Diana Rigg, che solo qualche anno prima aveva impersonato la sfortunata coniuge dell’agente 007 James Bond) che di mestiere fa la truccatrice. Ma per la giovane è solo un inutile motivo per riaprire una ferita ancora non del tutto cicatrizzata…

Deliziosa pellicola divenuta un vero e proprio cult – il cui titolo originale è “Theatre of Blood” – grazie soprattutto al suo indimenticabile protagonista e ai versi dell’immortale Bardo che fanno da sottofondo a uno dei temi più efficaci e irresistibili della storia umana: la vendetta. “Il conte di Montecristo” docet…

Il tema della spietata e cruenta vendetta è il centro anche della pellicola “L’abominevole Dr. Phibes” sempre con un grande Vincent Price, prodotta e realizzata sempre in Gran Bretagna due anni prima.

Scritto da John Kohn, Stanley Mann e Anthony Greville-Bell questo “Oscar insanguinato” ha un cast di prim’ordine composto oltre che dal protagonista anche dai migliori caratteristi del cinema britannico del momento come Harry Andrews, Robert Morley, Joan Hickson e Michael Hordern.

Anche se a volte la regia psichedelica e frenetica rimane troppo legata alla moda del periodo storico in cui è stato realizzato, questo film merita di essere visto anche solo per ascoltare una delle voci cinematografiche e teatrali più famose del Novecento – come era quella di Vincent Price, che non a caso Quincy Jones e Michael Jackson vollero nel video del brano “Thriller” – interpretare i versi fra i più belli mai prodotti dalla civiltà umana, e recitati con barocca e spietata bellezza.

E poi diciamoci la verità, ovviamente solo moralmente e non certo fisicamente come nel film, ma ogni tanto alcuni sedicenti e boriosi “critici” non se la meriterebbero una bella strigliata?

Nella versione distribuita nei nostri cinema, noi italiani abbiamo la grande fortuna di poter godere di un altro grande indimenticabile artista: Emilio Cigoli che doppia superbamente Price ricordandoci, se davvero ce ne fosse bisogno, la grandezza del Bardo anche nella nostra lingua.

“Quando la città dorme” di Fritz Lang

(USA, 1956)

Il maestro Fritz Lang ci regala uno dei ritratti più duri e cinici del giornalismo d’assalto americano. E non solo della carta stampata: il genio tedesco infatti intuisce già il peso che avrà la televisione, il nuovo mezzo di comunicazione di massa, anche se il quel periodo molti ancora la considerano un semplice complemento d’arredo che solo i privilegiati possiedono e guardano nel loro salotto.

New York, un assassino seriale – e anche su questo Lang è davvero un precursore delle mode che di lì a qualche decennio affascineranno lettori e spettatori – con gravi disturbi psichici uccide un’altra giovane donna che vive da sola, lasciando il messaggio “Chiedi alla madre” scritto sul muro con un rossetto della vittima.

Come tutti i quotidiani della città, anche il “New York Sentinel”, fondato da Amos Kyne, si avventa sulla notizia. Lo stesso Kyne, che possiede altri numerosi giornali, presiede la testata dal letto cui una grave malattia lo ha recluso. Fra i suoi giornalisti Kyne ha sempre avuto un debole per Ed Mobley (Dana Andrews) che ha vinto un premio Pulitzer poco tempo prima, e che conduce una rubrica quotidiana sulla neo nata televisione Kyne. Proprio mentre incarica Ed di occuparsi del caso, Kyne muore, lasciando tutto al suo unico figlio, viziato e gaudente, Walter (Vincent Price).

Mobley, che ha contatti con la Polizia, decide di sfidare pubblicamente l’assassino per stanarlo e così, durante una puntata della sua rubrica, dopo averlo pesante preso in giro annuncia il suo fidanzamento con la collega Nancy, trasformandola di fatto in un’esca. Intanto Walter Kyne, preso possesso dell’impero del padre, decide di creare il nuovo ruolo di direttore generale. Ruolo per il quale lui, non senza divertimento, mette in lizza il responsabile dell’agenzia giornalista Kyne Mark Loving (George Sanders), il direttore del “New York Sentinel” J.D. Griffith (Thomas Mitchell), e il responsabile delle fotografie Harry Kritzer (James Craig), dando inizio ad una lotta senza esclusione di colpi. Ma…

Nel cast anche una bravissima e tenebrosa Ida Lupino nel ruolo della giornalista Mildred Donner, amante di Loving. Nell’affresco generale di Lang, che con la morte del vecchio Kyne (figura ispirata al vero Joseph Pulitzer) vede “morire” il vero giornalismo, alla fine paradossalmente quello che appare più comprensibile – anche se certo non giustificabile – è proprio l’assassino che, nonostante qualche stereotipo, possiede una sua folle e limpida dinamica (così come Peter Lorre nello straordinario “M il mostro di Dusseldorf”).

Tutti gli altri, invece, hanno aspetti criticabili e deprecabili, pronti a tutto pur di ottenere un proprio tornaconto.

Immortale.

Vincent Price

Il 25 ottobre del 1993 se ne andava Vincent Price.

Nato a Saint Louis il 27 maggio 1911, Vincent Price è il rampollo di una ricca famiglia americana: suo nonno inventò la prima crema di lievito tartaro rendendo più che benestanti tutti i suoi eredi.

Appassionato d’arte, si laurea a Yale in storia dell’arte e prosegue i suoi studi a Londra. L’amore per la recitazione arriva attraverso il teatro, ma presto il cinema si accorge di lui: fascinoso, con due occhi blu penetranti, una voce calda e sensuale, e soprattutto alto 193 centimetri.

Ovviamente i suoi sono i ruoli del cattivo o del perfido: nel 1948 interpreta il malvagio cardinale Richelieu ne “I tre moschettieri “ con Gene Kelly e Lana Turner.

Alla fine degli anni Quaranta, alla radio, presta la sua voce a Simon Templar, l’eroe della serie “Il Santo” che nei decenni successivi approderà anche alla televisione e poi al cinema.

E’ negli anni Cinquanta che passa ai film dell’orrore – anche se partecipa al grande “Quando la città dorme” di Fritz Lang del 1956 – con “La maschera di cera” (1953) e il memorabile “L’esperimento del Dottor K” (1958), da cui Cronenberg realizzerà il terrificante remake “La mosca” nel 1986.

Lo stesso Price ha raccontato più di una volta le difficoltà che ebbe per girare la scena finale del film, quando doveva interpretare la “mosca” con la testa del Dottor K che veniva finalmente uccisa: nessuno del cast riusciva a smettere di ridere.

Con gli anni Sessanta arriva la collaborazione col geniale produttore e regista Roger Corman che lo porta ad interpretare film come “Il pozzo e il pendolo” (1961), “I racconti del terrore”(1962) e “La maschera della morte rossa”(1964).

Lo stesso anno interpreta quello che poi sarebbe diventato un cult:  “L’ultimo uomo della Terra” diretto da Ubaldo Ragona e Sidney Salkow, con Giacomo Rossi Stuart e Franca Bettoia, girato a Roma nel quartiere EUR, e tratto dal romanzo di Richard Matheson “Io sono leggenda” – che tornerà numerose volte sul grande schermo in vari adattamenti fra cui spiccano “La notte dei morti viventi “ di George Romero del 1969 e il bellissimo “1975: occhi bianchi sul pianeta Terra” di Boris Sagal del 1971.

Con gli anni Settanta l’horror diventa più cupo e interiore e Price presta le sue fattezze a due grandi pellicole, allora etichettate semplicemente di serie B ma oggi giustamente rivalutate: “L’abominevole Dr. Phibes”(1971) di Robert Fuest, e “Oscar insanguinato” (1973) diretto da Douglas Hickox in cui Price interpreta un attore shakespeariano stroncato dalla critica che torna per vendicarsi spettacolarmente contro i suoi detrattori.

Col passare del tempo le caratteristiche del film del terrore cambiano ma Price rimane vivo nell’immaginario collettivo: è sua la voce terrificante che accompagna l’avvento degli zombie nel video “Thriller” di Michael Jackson del 1983.

Tim Burton lo vuole nel suo “Edward mani di forbice” (1990), ma durante le riprese la sua parte viene ridotta a causa della malattia che lo sta consumando e che pochi anni dopo lo ucciderà.

Per noi Vincent Price è soprattutto un volto dei film dell’orrore, ma grazie (o questa volta a causa?) del doppiaggio ci siamo persi la sua voce profonda e inquietante, con una dizione perfetta che ha stregato generazioni di spettatori.