“Le venti giornate di Torino – Inchiesta di fine secolo” di Giorgio De Maria

(Frassinelli, 2017)

Giorgio De Maria (1924-2009) è stato un autore e musicista fra i più eclettici del panorama italiano del Novecento. Insieme a Italo Calvino, Sergio Liberovici, Emilio Jona e Michele Straniero fondò nel 1958 il gruppo “Cantacronache” che, unendo la cultura letteraria a quella musicale, lavorò per il recupero della canzone politica italiana a partire da quella della Resistenza fino ad arrivare a quella giacobina. Con Liberovici, Jona e Straniero pubblicò nel 1964 “Le canzoni della cattiva coscienza”.

De Maria fu anche critico teatrale per “L’Unità” dalla fine degli anni Cinquanta a metà degli anni Sessanta. Artista poliedrico, firmò nel 1963 la commedia in tre atti “Apocalisse su misura” per il Teatro Stabile di Torino e collaborò come autore con la RAI ad alcuni programmi dedicati al teatro.

Scrisse anche quattro romanzi: “I trasgressionisti” (1968), “I dorsi dei bufali” (1973), “La morte segreta di Josif Giugasvili” (1976) e “Le venti giornate di Torino – Inchiesta di fine secolo” che venne pubblicato dalla piccola casa editrice Il Formichiere nel 1977.

Il romanzo passò praticamente inosservato e nessuno critico o “esperto” del settore ne parlò. De Maria si dedicò ad altro e non pubblicò più niente fino alla sua morte. Il suo carattere deciso e indipendente, probabilmente, non aiutò il romanzo ad avere l’appoggio dei salotti culturali che tanto influivano sulla riuscita commerciale di un testo. E così nel nostro Paese furono in pochi a leggerlo.

Nel 2017, otto anni dopo la sua morte, il giornalista australiano Ramon Glazov, folgorato dal suo stile e dall’originale storia narrata, lo traduce in inglese e “Le venti giornate di Torino – Inchiesta di fine secolo” viene pubblicato dalla Norton, casa editrice americana che fino a quel momento aveva pubblicato negli Stati Uniti solo un altro autore italiano: Primo Levi.

Il libro diventa un caso letterario visto che viene apprezzato non poco negli Stati Uniti dove molti paragonano il De Maria di questo libro, giustamente, ad Egdar Allan Poe e a Howard Phillips Lovecraft. Il successo porta la Norton a tradurre il libro anche in altre lingue. Da noi, visto l’eco negli Stati Uniti, Frassinelli dopo molti decenni lo ripubblica.

Ci troviamo così in una Torino misteriosa e onirica, che sembra appena ripresasi da una grande inquietante e sanguinosa tragedia, che però nessuno sembra ricorda bene. Solo il protagonista, l’io narrante, vuole tentare di ricostruirla scrivendo un saggio dedicato proprio alle “Venti giornate di Torino”, consumatesi esattamente dieci anni prima.

Parte così dalla sorella di Giovanni Berghesio, la prima vittima accertata il cui corpo venne trovato in mezzo alla strada, nel centro storico della città sabauda, spappolato visto che era stato sbattuto contro un basamento da una forza immane. La sorella del Borghesio, con una certa riluttanza, accetta di parlare del fratello, della sua grave insonnia che in quel periodo lo aveva colpito assieme ad altri suoi concittadini che vagavano nella notte senza tregua.

Anche se alla morte del Berghesio erano presenti altre persone, come poi accadde per quasi tutte le altre vittime, nessuna ricordava con precisione la dinamica né l’assassino, e così gli inquirenti, nonostante i lunghi e insistenti interrogatori brancolavano nel buio. Il protagonista decide di incontrare un altro testimone diretto degli eventi, l’avvocato Andrea Segre, che gli sottolinea come l’inizio dei tragici eventi delle venti giornate concise con l’apertura della “famigerata” Biblioteca.

La Biblioteca, che poi il Comune fece chiudere, era il luogo in cui tutti i cittadini potevano portare i loro scritti privati e personali, che a richiesta gli altri potevano leggere. Non si trattava di narrativa o saggistica, ma di veri e propri diari personali in cui le persone dichiaravano i propri più reconditi e intimi segreti, spesso inconfessabili. E forse la morbosità dei lettori nell’entrare direttamente nell’anima di chi scriveva, intuisce il protagonista, era uno dei motori delle venti giornate…

De Maria firma un romanzo surreale, fantastico – in tutti i sensi – e, soprattutto, terrificante. Una discesa agli inferi, inesorabile e senza esclusione di colpi. Davvero un’opera originale e indimenticabile, fra le più significative del nostro Novecento letterario.

E poi l’autore, nel 1977, proprio come fece il grande Verne su numerose invenzioni scientifiche, anticipa nella sua opera quello che, alcuni decenni dopo, dominerà la cultura planetaria: il social. Perché l’essenza della Biblioteca di questo libro è proprio il più spinto e spietato voyeurismo emotivo e comportamentale, associato ad un irrefrenabile esibizionismo emotivo, entrambe tanto presenti in molti che usano e frequentano oggi i social.

A distanza di quasi cinquant’anni rimane inspiegabile l’oblio di questo libro. Se alla fine ci si palesa la verità sulle venti giornate di Torino, rimane ancora un insondabile mistero come possa essere passato inosservato dagli “esperti” e dai famigerati letterati professionisti, per tanti decenni, un romanzo così.

Ma, fortunatamente, anche fuori dai confini italici ci sono persone che leggono e amano i nostri libri, indipendentemente dalla casa editrice dalla quale sono pubblicati, visto che …li leggono.