“Django Unchained” di Quentin Tarantino

(USA, 2012)

Il grande, geniale e folle Quentin Tarantino ci regala un’altra stupenda pellicola da godere fotogramma per fotogramma.

E, come sempre, nei fiotti splatter di sangue, Tarantino ci mette un tema duro e spietato come il razzismo e le atroci persecuzioni che hanno subito i neri nell’America della prima metà dell’Ottocento.

Come accade spesso nella storia i più spietati non sono solo i padroni viziati e arroganti come Calvin J. Candie (un bravissimo, come sempre, Leonardo DiCaprio), ma i kapò come il “negro Stephen” (uno stratosferico Samuel L. Jackson da triplo Oscar), vera mente oscura di Candyland.

Ma con l’arrivo del dottor King Schultz (un affabile e implacabile Christoph Waltz che si aggiudica la sua seconda statuetta come miglior attore non protagonista) e dell’uomo libero Django (Jamie Foxx) le cose cambieranno per sempre.

Oscar (ovviamente) anche come miglior sceneggiatura originale, “Django Unchianed” è l’ennesimo omaggio del cineasta statunitense al grande cinema italiano (almeno c’è lui che si ricorda chi siamo stati…) che ha il suo apice nella scena con Franco Nero e lo stesso Foxx, che gli dice il suo nome:

– Django …la D è muta – dice Foxx.

– Lo so! – risponde stizzito Franco Nero.

EDDAJE (stavolta la D non è muta!)