“Un biglietto in due” di John Hughes

(USA, 1987)

Negli edonistici anni Ottanta essere un esperto di marketing presso una nota ditta di cosmesi con sede nella scintillante Manhattan era, per molti e non solo statunitensi, il massimo delle ambizioni lavorative oltre che alquanto cool.

Per questo l’altero ed “educatamente” arrogante Neil Page (Steve Martin) si sente fiero del suo lavoro, della sua posizione sociale e, soprattutto, della sua famiglia fatta dall’avvenente moglie Susan (Laila Robins) e dai tre piccoli figli che vivono in una lussuosa villa nei pressi di Chicago.

A causa del prolungarsi di una riunione con il Presidente e Amministratore Delegato della sua ditta, Neil deve correre all’aeroporto per prendere l’aereo che lo porterà a casa due giorni prima del Ringraziamento.

Ma, proprio mentre sembra riuscire a prendere un rarissimo taxi libero, sulla sua strada incappa in Del Griffith (uno strepitoso John Candy) commesso viaggiatore e logorroico rappresentate di anelli in plastica per tende da doccia.

Proprio a causa di Del, Neal perderà l’aereo prenotato e assieme a lui inizierà un viaggio “infernale” verso casa che, per colpa di una violenta bufera di neve, diventerà incredibilmente lungo e complicato…

Deliziosa commedia piena di gag ancora oggi molto divertenti con l’incontro-scontro di due personalità opposte e divergenti.

Scritta dallo stesso Hughes, questa commedia rappresenta anche una poi non tanto velata critica all’American Way Of Life di quegli anni, concentrata tutta sui vincenti e gli arroganti e spietata con i deboli e i perdenti.

Purtroppo la prematura scomparsa di Candy impedì che la coppia di protagonisti potesse ripetersi in un’altra pellicola.   

Anche se ormai pure i Metallica si sono tagliati i capelli, gli anni Ottanta sono ancora vivi e combattono accanto a noi!

“Una pazza giornata di vacanza” di John Hughes

(USA, 1986)

John Hughes (1950-2009) è stato uno dei rappresentati di spicco del Brat Pack, il movimento culturale che comprende autori, registi e attori che hanno realizzato film di successo, soprattutto sugli adolescenti, negli anni Ottanta.

E’ infatti lui il regista e sceneggiatore di pellicole come “Breakfast Club” o “La donna esplosiva” che hanno raccontato in maniera originale e molto ironica la generazione che viveva la propria adolescenza negli edonistici Ottanta. Ma è stato anche l’autore di sceneggiature di film come “National Lampoon’s Vacation”, “Bella in rosa”, l’esilarante “Un biglietto in due” (che ha anche diretto), “Io e zio Buck”, e “Mamma ho perso l’aereo”, solo per citarne alcuni, diventando autore fra i più richiesti per il cinema dedicato alle famiglie.

Nel 1986 scrive e dirige “Una pazza giornata di vacanza” che – insieme a “Breakfast Club” con cui ne condivide l’ambiente scolastico – è forse uno dei manifesti adolescenziali più efficaci di quegli anni.

Ferris Bueller (un Matthew Broderick nella sua più iconica interpretazione del decennio) è uno studente apparentemente modello che tutta la cittadina, nei pressi di Chicago, nella quale vive stima e adora. Solo sua sorella minore Jeanie (Jennifer Grey, giusto prima che indossi i panni di Frances “Baby” Houseman in “Dirty Dancing – Balli proibiti”, altra grande icona cinematografica degli Ottanta) sa che è un gran bugiardo e manipolatore, capace di ingannare anche i propri genitori. Ferris non lo fa per cattiveria o lucro, ma solo per vivere la propria adolescenza al meglio e goderne ogni attimo insieme alla sua ragazza Sloane (Mia Sara).

Per questo, invece che la classica automobile, come premio per il suo alto rendimento scolastico ha chiesto un personal computer (il riferimento a “War Games – Giochi di guerra” del 1983, con lo stesso Broderick, naturalmente non è casuale) con il quale riesce, per esempio, a entrare nel database della sua scuola e modificare i proprio voti, alla faccia del Preside Roony (Jeffrey Jones altro attore cult del decennio) che qualche sospetto alla fine comincia ad averlo.

Ma Ferris ha piena fiducia nei propri mezzi e soprattutto nel proprio cervello, e così decide di passare un’intera giornata a Chicago, bigiando la scuola insieme a Mia e al suo migliore amico Cameron (Alan Ruck), ma…

Divertente pellicola che racchiude un’infinità di simboli e must degli anni Ottanta, solo per i quali merita di essere rivista. Così come la sua colonna sonora – elemento sempre molto curato da Hughes in tutti i suoi film – che racchiude l’anima della musica del periodo. E come “Breakfast Club” ci racconta il conflitto generazione fra genitori e figli, dove i primi però erano quei figli rabbiosi che contestavano aspramente i loro genitori negli anni Sessanta. Rispetto a quegli anni, negli Ottanta il conflitto è invece più edulcorato e sottile, ma proprio per questo bisognerebbe chiedersi quali danni ha provocato a lungo termine? …Ai posteri l’ardua sentenza.

Intanto rivediamoci questo film che ci dimostra come gli anni Ottanta siano ancora vivi e combattano accanto a noi!

Per la chicca: piccolo cameo per l’ancora sconosciuto Charlie Sheen, altro simbolo del cinema e della televisione dei decenni a seguire.

“Breakfast Club” di John Hughes

(USA, 1985)

Per prima cosa prendi quello che usi per sentire la musica e metti “Don’t You (Forget About Me)” dei Simple Minds …fatto?

Bene, adesso possiamo cominciare: questo piccolo film – nel senso di produzione a basso costo – con allora cinque giovani protagonisti non troppo conosciuti e girato quasi interamente dentro una scuola, è una delle più significative fotografie dei teenager dei famigerati anni Ottanta.

Cinque studenti – cinque stereotipi classici di adolescenti americani: il secchione, il quarterback della squadra della scuola, la più carina, la più sfigata e l’aggressivo introverso – si ritrovano a dover passare tutto il sabato pomeriggio insieme per scontare cinque diverse punizioni.

Il preside, che li sorveglia dal proprio studio, gli assegna un tema da svolgere: “Chi sono io?”. Ma nessuno ha voglia di scrivere e così i cinque preferiscono parlare.

Alla fine della giornata ognuno di loro avrà compiuto un lungo e profondo viaggio dentro se stesso…

Un manifesto intimista di una generazione che ha rischiato di annegare per cercare se stessa e che – come la Settimana Enigmistica! – vanta da anni innumerevoli imitazioni, richiami e citazioni sia nella musica che nel cinema.

Un esempio recente è il “Noi siamo infinito”di Stephen Chbosky (che, guarda un po’, nel 1985 aveva 15 anni).

Adesso puoi alzare il volume e sentire al meglio la canzone scritta appositamente per il film e interpretata magistralmente dai Simple Minds!