“Fantasmi a Roma” di Antonio Pietrangeli

(Italia, 1961)

Questa commedia fantasy racchiude alcuni fra i più importanti pilastri del nostro grande cinema. Il soggetto, infatti, è firmato dal padre del nostro Neorealismo Sergio Amidei, mentre la sceneggiatura è scritta da mostri sacri come Ennio Flaiano, Ruggero Maccari, Ettore Scola e lo stesso Antonio Pietrangeli, che poi lo dirige.

Per non parlare degli interpreti, fra cui spiccano un fascinosissimo Marcello Mastroianni, un grande Eduardo De Filippo e un coriaceo Vittorio Gassman. Da ricordare anche i bravissimi Tino Buazzelli (purtroppo doppiato), Claudio Gora che incarna sempre superbamente l’antipatico per eccellenza, e Lilla Brignone in quello struggente di Regina.

Il genere fantasy, nel nostro Paese e in quegli anni, aveva un ambito alquanto ristretto e poco seguito (“Omicron” diretto da Ugo Gregoretti nel 1963, è forse l’unico esempio del genere che ebbe un certo riscontro di pubblico e critica). Così questo film, dopo l’uscita nelle sale, venne rapidamente – e ingiustamente – dimenticato. Ma ancora oggi rappresenta uno dei picchi della nostra grande commedia.

Anche nella struttura “Fantasmi a Roma” si distingue dal genere classico. Infatti, il suo protagonista scompare a metà del film, per riapparire solo marginalmente alla fine. Fra i pochissimi altri esempi riusciti con una dinamica simile c’è “Psyco” del maestro Hitchcock, tanto per dire.

Ma tornando alla pellicola di Pietrangeli, ancora oggi seguiamo con trasporto e nostalgia la vita grama che conduce Don Annibale (De Filippo), principe di Roviano, che pur di non vendere l’antico palazzo di famiglia soffre la fame e il freddo. Così come assistiamo al salvataggio dello stesso storico edificio e dei fantasmi che lo abitano dalle scellerate ambizioni dell’ultimo erede Federico (Mastroianni, in uno dei suoi tre ruoli).

Poco è cambiato nella nostra mentalità, che aspira ad ottenere la vil pecunia nel modo più rapido e becero possibile. Peccato che Pietrangeli scomparve prematuramente solo pochi anni dopo, senza avere il tempo di donarci altri grandi film come questo o come “Adua e le compagne” o “Io la conoscevo bene”.

“I giovedì della signora Giulia” di Paolo Nuzzi, Massimo Scaglione e Piero Chiara

(Italia, 1970)

Chiamatemi pure un nostalgico del bianco e nero (anche se questo nello specifico è a colori), ma mi fanno impazzire e mi intrigano come pochi i vecchi sceneggiati della nostra – sparita e compianta – grande televisione.

Questo si ispira al romanzo omonimo di Piero Chiara – scrittore che personalmente apprezzo molto – grande narratore e castigatore dei vizi della ricca provincia italiana del nord, e ci porta nello specifico dentro la magione dell’avvocato Tommaso Esengrini (impersonato da un bravissimo e antipaticissimo Claudio Gora), che un giovedì sera chiama il suo “amico-nemico” di tribunale, l’ispettore Sciancalepre (che ha il viso del vero investigatore privato Tom Ponzi), per chiedergli un supporto morale e logistico visto che la moglie Giulia è scappata di casa.

Ricostruendo gli ultimi giorni prima della scomparsa, Sciancalepre viene a sapere che la signora era usa ogni giovedì andare a Milano per trovare la figlia adolescente, ospite di un rinomato collegio della città. E, soprattutto, il commissario scopre che la signora Esengrini aveva una relazione con tale Luciano Barsanti, che era pronto a iniziare una nuova vita con lei a Roma.

Ma nessuno, nemmeno lui, ha notizie della signora che alla fine viene classificata come persona scomparsa.

L’anno successivo, durante i lavori per costruire una piscina nel giardino di villa Esengrini, viene scoperto il corpo della signora Giulia all’interno di una vecchia cisterna che uno smottamento ha riportato alla luce.

L’indiziato principale del delitto diventa subito l’avvocato Esengrini, che però nega tutto portando l’attenzione del PM prima sul Barsanti e poi su Demetrio, il suo tuttofare e assistente personale di studio, abitante anche lui a Villa Esengrini e conoscente fin da bambino della signora Giulia…

La conclusione dello sceneggiato (prodotto da Pietro Germi, e si vede!) si discosta non poco da quella del romanzo – tranquilli non anticipo nessuna delle due – ma mantiene inalterata l’atmosfera cupa e inquietante dello scritto di Chiara.

Per amanti e fini intenditori.