(BUR, 2008)
La prima volta che ho letto il termine “memoir” mi è sembrato un po’ fighetto, mi sembrava la solita e banale scusa per non usare il termine italiano “autobiografia”.
Ma la differenza è sostanziale invece: l’autobiografia deve rispettare eventi e avvenimenti in maniera cronologica e fedele, mentre il memoir si basa sulla memoria pura che spesso si discosta dalla cronologia dilatando eventi ed emozioni in relazione al momento che sta vivendo chi scrive.
E questo “Il club dei bugiardi” è uno dei migliori esempi degli ultimi tempi.
Mary Karr ripercorre la sua infanzia dura e cruda a Leechfield (che letteralmente vuol dire campo di sanguisughe) nel Texas dei primi anni Sessanta, passata assieme a sua sorella maggiore di due anni Lecia e a una madre e un padre alcolisti, dove il complimento più educato era “Non saresti capace di svuotare uno stivale pieno di piscio neanche leggendo le istruzioni sotto al tacco”.
Oltre alle cicatrici indelebili e ai traumi che il rapporto burrascoso fra i suoi genitori le provocherà, la piccola Mary dovrà fare i conti con altri tipi di violenze…
Ma il suo libro bello e duro (proprio come doveva essere la vita di una bambina spesso abbandonata a se stessa nel Texas di quegli anni), scritto con uno stile limpido e scorrevole, ci dice anche come alla fine Mary abbia imparato a superare e convivere con il proprio dolore.
Tosto, davvero.